Cultura
Semi di finocchio, sapienti elementi per pietanze e tisane. Proprietà e controindicazioni
Semi di finocchio e tisana: proprietà benefiche e controindicazioni
Alla scoperta di proprietà benefiche e controindicazioni
di Filomena Fotia da Meteoweb.eu
I semi di finocchio sono molto apprezzati per le loro proprietà medicinali e nutrizionali. Ricchi di fibre, vitamine e minerali come calcio, magnesio e ferro, svolgono un ruolo benefico nella salute generale. Sono conosciuti per le loro proprietà carminative, che aiutano a ridurre i gas intestinali e i gonfiori, alleviando i sintomi della indigestione. Questi semi hanno anche proprietà antispasmodiche che aiutano a rilassare i muscoli lisci del tratto gastrointestinale, riducendo i crampi. Sono tradizionalmente utilizzati come rimedio per la tosse grazie alle loro proprietà mucolitiche. Inoltre, il loro sapore dolce e aromatico li rende popolari come condimento in molte cucine. Infine, possiedono proprietà diuretiche, che possono aiutare a eliminare l’eccesso di liquidi dall’organismo.
Scopriamo quindi, in dettaglio, quali sono benefici, proprietà e controindicazioni di questo alimento e della sua tisana, tante curiosità e info utili.
Cosa sono i semi di finocchio e finocchietto
I semi di finocchio provengono dalla pianta di finocchio (Foeniculum vulgare), una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Apiaceae (o Umbelliferae). I semi di finocchietto provengono dal “finocchietto selvatico“, una pianta erbacea perenne tipica delle regioni mediterranee. In entrambi i casi i semi sono piccoli, ovali e di colore verde-marrone. Sono noti per il loro aroma distintivo, che è dolce e leggermente anisato. Sono ampiamente utilizzati in cucina, soprattutto nella cucina mediterranea e indiana, sia come condimento che come ingrediente in preparazioni culinarie varie.
Nell’uso culinario, entrambi sono utilizzati come condimento: i semi di finocchio tendono ad avere un sapore più dolce e aromatico, mentre il finocchietto ha un sapore leggermente più pungente e selvatico. In ogni caso, l’uso moderato e consapevole di questi semi può apportare benefici alla salute.
Benefici e proprietà dei semi di finocchio e finocchietto
I semi di finocchio e finocchietto sono spesso utilizzati indistintamente in molte culture, sebbene derivino da varianti diverse della stessa pianta. Entrambi hanno una serie di benefici e proprietà simili:
Proprietà Digestive: sono noti per le loro proprietà carminative, che aiutano a ridurre il gas intestinale e a prevenire il gonfiore. Possono anche promuovere la digestione e alleviare i sintomi della indigestione;
Antispasmodiche: questi semi possiedono proprietà antispasmodiche che aiutano a rilassare i muscoli lisci del tratto gastrointestinale, riducendo i crampi e i spasmi;
Mucolitiche: tradizionalmente sono stati utilizzati come rimedio contro la tosse grazie alle loro proprietà mucolitiche, che aiutano a liquefare il muco;
Diuretiche: hanno proprietà diuretiche, che aiutano a eliminare l’eccesso di liquidi dall’organismo;
Antiossidanti: contengono composti fenolici che conferiscono proprietà antiossidanti, utili per combattere i radicali liberi nel corpo;
Fonte di Nutrienti: sono una buona fonte di vari minerali come calcio, manganese, ferro, magnesio e potassio, oltre a vitamine come la vitamina C;
Allattamento: in alcune culture, i semi di finocchio sono consumati dalle madri che allattano per aumentare la produzione di latte;
Proprietà antimicrobiche: alcuni studi suggeriscono che i semi di finocchio e finocchietto possano avere effetti antimicrobici contro certi patogeni.
Come per qualsiasi altro integratore o rimedio naturale, è importante consultare un medico prima di utilizzarli per scopi terapeutici.
Le controindicazioni
Il consumo di semi di finocchio e finocchietto è generalmente considerato sicuro se moderato e come parte di una dieta equilibrata. Tuttavia, ci sono alcune potenziali controindicazioni da tenere a mente:
Reazioni allergiche: alcune persone possono essere allergiche al finocchio e, di conseguenza, potrebbero sviluppare reazioni allergiche dopo aver consumato i semi;
Interazione con farmaci: i semi di finocchio possono interagire con alcuni farmaci, in particolare quelli che influenzano la coagulazione del sangue, poiché il finocchio può avere effetti anticoagulanti;
Estrogeni: il finocchio contiene composti che possono avere effetti simili agli estrogeni. Pertanto, coloro che hanno condizioni sensibili agli ormoni, come alcuni tipi di tumori al seno, ovari o utero, dovrebbero consumare finocchio con cautela;
Gravidanza e allattamento: anche se tradizionalmente utilizzato per aumentare la produzione di latte nelle madri che allattano, l’uso eccessivo di finocchio durante la gravidanza e l’allattamento dovrebbe essere evitato a meno che non sia consigliato da un professionista;
Fotodermatite: in rare occasioni, il contatto diretto con il finocchio, seguito da esposizione al sole, può causare fotodermatite, una reazione cutanea;
Consumo eccessivo: aome per molti alimenti e erbe, il consumo eccessivo può portare a problemi. In grandi dosi, il finocchio può avere effetti narcotici e potrebbe provocare difficoltà respiratorie, palpitazioni o nausea;
Qualità del prodotto: assicurarsi sempre di acquistare semi di finocchio o finocchietto da fonti affidabili per evitare contaminazioni o prodotti di bassa qualità.
In generale, se avete preoccupazioni sulla sicurezza o possibili interazioni, è sempre una buona pratica consultare un medico.
La tisana al finocchietto è cancerogena?
Non ci sono prove scientifiche solide che suggeriscano che la tisana al finocchietto sia cancerogena per l’uomo. Tuttavia, come per molti alimenti e sostanze, è importante considerare il dosaggio e la frequenza di consumo. Il finocchietto contiene un composto chiamato estragolo, identificato come potenzialmente cancerogeno in studi su animali quando somministrato in dosi molto elevate. Tuttavia, la quantità di estragolo nel finocchietto (e in altre piante che lo contengono) è generalmente considerata troppo bassa per rappresentare un rischio significativo per gli esseri umani quando consumata come parte di una dieta normale o come tisana occasionale.
A cosa serve la tisana (o l’infuso) di finocchio e finocchietto: i benefici
La tisana o l’infuso di finocchio e finocchietto sono bevande salutari preparate lasciando in infusione i semi di finocchio o finocchietto in acqua calda. Questi infusi hanno una lunga storia di uso tradizionale e sono conosciuti per i seguenti benefici:
Azione digestiva: la tisana di finocchio è spesso raccomandata per alleviare disturbi digestivi come gonfiore, gas e indigestione. Aiuta a rilassare la muscolatura liscia del tratto gastrointestinale, promuovendo una digestione più agevole;
Proprietà carminative: entrambi gli infusi sono noti per ridurre il gas intestinale, aiutando a prevenire o alleviare il meteorismo;
Effetto diuretico: possono aiutare ad eliminare l’eccesso di liquidi dal corpo, risultando utili in caso di ritenzione idrica;
Sollievo dalla tossicità: la tisana di finocchio può aiutare a ridurre la tossicità e pulire il sistema, promuovendo la funzione del fegato e dei reni;
Proprietà antispasmodiche: le bevande sono utili per alleviare crampi e spasmi, specialmente nel tratto gastrointestinale;
Effetto calmante: bere una tazza di tisana di finocchio può avere un effetto calmante sul sistema nervoso, riducendo lo stress e l’ansia;
Salute respiratoria: tradizionalmente, la tisana di finocchio è stata utilizzata come rimedio per disturbi respiratori come tosse e bronchite, grazie alle sue proprietà mucolitiche e anti-infiammatorie;
Rinfrescante per l’alito: masticare semi di finocchio o bere una tisana può contribuire a rinfrescare l’alito;
Antiossidanti: contiene composti fenolici che offrono proprietà antiossidanti, che aiutano a combattere i radicali liberi.
L’infuso di finocchio e finocchietto offre diversi benefici, ma, come per qualsiasi rimedio o integratore naturale, è importante consumarlo con moderazione e consultare un medico se si hanno condizioni mediche particolari o se si stanno assumendo farmaci.
Quando è meglio bere la tisana o l’infuso?
La tisana o l’infuso di finocchio o finocchietto può essere consumato in diversi momenti della giornata a seconda delle necessità e dei benefici che si desidera ottenere:
Dopo i pasti: è uno dei momenti più comuni per bere una tisana di finocchio, soprattutto se si desidera beneficiare delle sue proprietà digestive;
La sera: bere una tisana di finocchio prima di andare a letto può avere un effetto calmante e rilassante, contribuendo a un sonno migliore.
Di giorno: se si cerca un effetto diuretico o si desidera beneficiare delle proprietà antiossidanti del finocchio, si può consumare l’infuso in qualsiasi momento della giornata. È anche un’ottima alternativa alle bevande con caffeina;
Quando necessario: per problemi occasionali come crampi o spasmi, la tisana di finocchio può essere bevuta non appena si avvertono i sintomi.
Sebbene il consumo di tisana di finocchio e finocchietto sia generalmente sicuro, è sempre una buona idea essere cauti se si prova per la prima volta, per verificare eventuali reazioni avverse.
I semi di finocchio a Pantelleria
I semi di finocchio sono utilizzati a Pantelleria anche in certe pietanze, come nella pasta con le sarde, impasto di pane o pizza, minestra di fagioli con l’chhio.
Insomma l’aroma di questo seme è versatile e sempre gradevole in qualsiasi versione.
Ambiente
Pantelleria, vendemmia 2025: i risultati tra siccità pregressa e peronospera
Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano
Ogni anno teniamo sott’occhio quella che una eccellenza indiscussa di Pantelleria: la viticultura.
Grazie a questa pratica di agricoltura decisamente eroica anche ai nostri tempi, l’isola ha conquistato uno spazio nei patrimoni dell’umanità, per cui l‘UNESCO ha conferito, lo ricordiamo, il riconoscimento proprio per la vite ad alberello.
Quest’anno abbiamo voluto fare un approfondimento, con una intervista, viste le recenti problematiche ambientali. Abbiamo contattato, all’uopo, Giovanni Bonomo, agricoltore eroico soprattutto per la passione che mette nel suo lavoro. Solerte, studioso, conosce i nomi latini di tutti o buona parte i parassiti che aggrediscono la vite, ma anche i capperi e altre colture importanti nella nostra economia. Con quel suo fare un pò romantico e un pò nostalgico, si sofferma ad analizzare soluzioni possibili per arginare problematiche simili, anche in modo sostenibile, si veda la conferenza che si terrà il 13 novembre prossimo e di cui parleremo in questo articolo.
E così, esordiamo: Signor Bonomo, com’è andata la vendemmia di quest’anno? “Partiamo dalla siccità dell’anno scorso che ha portato una certa sofferenza alle piante. Quest’anno invece è piovuto circa 600 mm, quindi un po’ d’acqua è entrata nel terreno, però le piante venivano da un periodo di indebolimento, in cui la vendemmia è stata pessima.
Quest’anno però le viti, queste viti che hanno piantato i nostri antenati, che le hanno scelte fondamentalmente molti migliaia di anni fa, potendo risalire sino ai fenici, perchè lo zibibbo arriva a Pantelleria con i fenici, hanno avuto un buon ristoro grazie appunto all’azione della pioggia. Seppur non sia stata abbastanza generosa.
Ma ciò che ha afflitto quest’anno le piante è stata la peronospera che ha inflitto loro un effetto di “bruciatura”.
Vuole spiegare a chi non è del settore cos’è la peronospera? “La peronospera, è un parassita, venuto dall’America, come anche lo Oidio, che in Italia si chiama malaria. Esso si riproduce, si replica, e alla fine le foglie tenere e i grappoli teneri che vengono colpite restano come “bruciate”. L’intera isola ha sofferto di questo “attacco”.
Siamo a novembre, la vendemmia ormai è arrivata quasi al termine. A Pantelleria si fanno più raccolti, ce li vuole spiegare? “Sì, oramai l’abbiamo terminata. La prima raccolta si fa all’incirca ad agosto, nelle zone troppo veloci, partendo dalla scogliera con le uve primizie.
Queste primizie, una volta partivano per fare le cosiddette gabbiette ed essere distribuite come uva da tavola. Fatta questa prima raccolta, via via si risale di quota.”
Quali sono i vitigni della tradizione pantesca? “In gran parte è lo zibibbo, poi i panteschi avevano, un tempo per uso personale, il catarrato, il nero nostrale l’insolia, il garignano e altri vitigni secondari. Però ripeto, una volta questi coltivati per uso personale, l’uva che andava alla vendita era lo zibibbo.
“Questo perchè, in genere, l’agricoltore pantesco non gradisce tanto lo zibibbo, specie il vino dalla prima raccolta che sa essere stucchevole.
“Ma, negli ultimi decenni, sono cominciati ad arrivare i Merlot, i Cabernet, i Shiraz e via discorrendo così.”
Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano
La vendemmia di quest’anno ha prodotto un quantitativo e un qualitativo che ci (6:40) lascia soddisfatti? “Come quantitativo si potrebbe fare un po’ di più, se non venissimo da un anno molto arido, come qualità è molto buono. L’uva passa appassisce sempre a quel livello là, quindi poi sono sia i viticoltori con la loro cura, sia gli enologi che fanno dei grandi vini.
Questo quando non piove proprio quando è durante la vendemmia, perchè va a peggiorarsi la qualità dell’uva. Questo, per fortuna non si è verificato in questa annata.
Ho parlato ieri con l’Antonio D’Aietti l’enologo, forse il principale professionista dell’isola, e lui mi ha detto che stanno guardando gli ultimi arrivi delle varie particelle, delle varie produzioni: siamo sui un 22 mila, si potrebbe arrivare a 24-25 mila quintali.”

Tra qualche giorno si darà via a un corso formativo all’avanguardia, che vuole esporre l’isola ad uno step nel progresso dal punto di vista dei trattamenti. Organizzato dal Centro Giamporcaro e nato da una sua idea, cosa può anticiparci? “L’Università di Palermo ci ha indicato questo formatore, il prof. Luigi Rotondo. Il corso si terrà dal 13 al 16 ottobre e durerà 14 ore, distribuite in tre pomeriggi e una mattinata, cercando di conciliare l’orario con le esigenze degli agricoltori, che di solito lavorano sempre e non hanno mai tempo di fare i corsi.
L’idea è di chiarirci le idee sulla peronospora e altri parassiti, formando i lavoratori del settore anche con l’autoproduzione di alcuni preparati, per cercare anche di ridurre l’impatto chimico sulle coltivazioni, che poi la parte anche li mangiamo noi.”
“L’argomento è molto grande, rispetto anche a come si mantengono i terreni, tenendo presente pure l’età delle persone, i mezzi che hanno a disposizione, i guadagni.”
Abbiamo notato che questo corso è considerato talmente valido, che il centro Giamporcaro ha radunato parecchi sostenitori: oltre Comune e Parco Nazionale, il Consorzio Vini Doc, le cantine Pellegrino, Emanuela Bonomo e Donnafugata. Poi Fertigess e Stelmond Bio, ma anche l’Autonoleggio Policardo, seppur non sia del settore. “Infatti, già durante una riunione dello scorso marzo abbiamo invitato diverse aziende, le più importanti hanno risposto, quindi Donna Fugata, Pellegrino, adesso è arrivata anche Emanuela Bonomo. Abbiamo anche come sponsor il Noleggio Policardo che è sempre molto sensibile ad appoggiare iniziative per il territorio. Tutta questa gente ha creduto in questo progetto presentato dal Giamporcaro, con il suo presidente Anna Rita Gabriele. Il Giamporcaro dura da 30 anni con un grande lavoro alle spalle: è uno dei maggiori soggetti attivi dal punto di vista sociale, culturale, il tutto, essendo una associazione no profit lo fa gratuitamente per la comunità di Pantelleria.”
Cultura
Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura
Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.
Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.
Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.
In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.
Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.
Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?
Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura aziende che lo producono con 10 aggiunte.
A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.
Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.
Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.
Cultura
Pantelleria e l’asso degli aerosiluranti a Margana: Guido Robone
Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici
Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici, che andavano a rifornire l’isola di Malta ridotta ormai allo stremo dal lungo assedio delle forze dell’Asse.
La 278a era dotata del velivolo Savoia-Marchetti S.M.79 detto Sparviero, un aereo trimotore ad ala
bassa multiruolo. Si riconosceva immediatamente per la tipica “gobba” dietro l’abitacolo di volo,
gobba in cui alloggiavano mitragliere Breda-SAFAT da 12,7 mm. Per tale tipicità era denominato
dagli avieri scherzosamente anche col nomignolo di “gobbo maledetto”.
Distintivo della 278a:
quattro gatti, due bianchi e due neri. Motto: “Pauci sed semper immites” (Pochi ma sempre
implacabili).
Uno degli S.M.79 di stanza a Margana, identificato con il numero “278-1”, era l’aereo dal tenente
pilota Guido Robone da Como. Il Robone, quand’era ancora un giovane sottotenente, era stato uno
dei pochi ad aver superato la durissima selezione di piloti, che il 25 luglio 1940 a Gorizia erano
andati a costituire il primo “Reparto Sperimentale Aerosilurante”.
Di quel gruppo ristretto faceva
parte anche l’allora tenente Carlo Emanuele Buscaglia, che sarà poi uno dei più famosi aviatori
nella specialità degli aerosiluranti, riuscendo ad affondare oltre 100 000 tonnellate di naviglio
nemico. Le onorificenze concesse al Buscaglia testimoniano del suo indomito valore: Medaglia
d’oro, ben sei Medaglie d’argento, Croce di Ferro di 2ª Classe, due avanzamenti di gradi per merito
di guerra. E scusate se è poco. In molte missioni di guerra Robone fu gregario di Buscaglia
Da sottolineare che anche Buscaglia avrà modo di operare, col suo aerosilurante, da Pantelleria nel
giugno del 1942 al tempo della vittoriosa battaglia di “Mezzo giugno”, in cui la Royal Navy inglese
subirà una pesante e umiliante sconfitta.
Quando il tenente pilota Guido Robone giunse a Margana in quella calda estate del ‘41, lo
precedeva la fama di asso, come confermavano i nastrini azzurri appuntati sul petto di due medaglie
d’argento.
Le medaglie
Motivazione della prima medaglia: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante già provato per ardimento in molteplici rischiose e difficili azioni di guerra, il giorno 14 ottobre in ore notturne raggiunta una formazione navale nemica,
nonostante violentissima reazione contraerea, la attaccava decisamente riuscendo a colpire un
incrociatore.
Confermava cosi le sue elevate doti di combattente, alto senso del dovere e sprezzo del
pericolo
Cielo del Mediterraneo, 14 ottobre 1940-XVII”.
Motivazione della seconda: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, di provato valore guidava il proprio apparecchio all’attacco di formazioni navali nemiche in mare aperto ed in munitissime basi riuscendo a colpire col siluro tre unità.
II giorno 11 gennaio 1941 al rientro da una lunga azione di ricognizione
offensiva condotta in mare aperto con condizioni atmosferiche proibitive, a causa di perdita di
benzina si ritrovava senza carburante lontano dalla base su zona montagnosa. Anziché affidare la
propria salvezza al paracadute, preferiva effettuare un pericolosissimo atterraggio notturno di
fortuna con siluro a bordo riuscendo a portare in salvo l’equipaggio, l’arma e parte del materiale. Nel
nobile tentativo restava ferito.
Cielo del Mediterraneo, 2 novembre 1940-11 gennaio 1941-XIX”.
Dalle motivazioni precedenti si può comprendere bene quale tempra d’uomo e di pilota fosse il
Robone. D’altronde quest’ultimo, al suo arrivo a Pantelleria, era appena reduce da un altro
successo, conseguito nei mari prospicienti l’Africa Settentrionale decollando dal campo di Berka
(Bengasi).
Infatti alle ore 19:25 del precedente 21 aprile 1941, aveva attaccato con la solita
determinazione e con il consueto indomito coraggio una formazione navale britannica, silurando,
malgrado la furiosa contraerea, la petroliera British Lord di 6.000 tonnellate e danneggiandola
gravemente.
Dell’efficacia del siluramento si ebbe poi conferma anche dagli inglesi.
Orazio Ferrara
(1 – continua)
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