cronaca
Il dramma degli scienziati afghani perseguitati per le loro ricerche
Per vent’anni la ricerca scientifica è fiorita in Afghanistan. Dopo la caduta dello stato islamico e la creazione del nuovo governo nel 2004, i finanziamenti internazionali hanno fatto prosperare università e ricerca. Ma ora molti ricercatori sono costretti alla fuga. E chi resta deve affrontare tagli o perdite di fondi, oltre a minacce di persecuzione.
La prestigiosa rivista Nature si è occupata di questa triste realtà in un articolo del 27 agosto di cui vogliamo riportare un estratto. Attraverso interviste e testimonianze di ricercatori che lavoravano negli atenei afghani viene dipinto un quadro davvero tragico. La perdita della cultura è la perdita della civiltà.
Hamidullah Waizy, geologo ricercatore del Politecnico di Kabul, il 15 agosto stava selezionando i candidati per un lavoro al Ministero delle Miniere e del Petrolio di Kabul quando gli viene detto di scappare perché i talebani erano entrati in città. La mattina dopo, Waizy assiste attonito all’invasione delle strade da parte dei militari armati.
Waizy, recentemente nominato direttore generale della prospezione e dell’esplorazione delle miniere presso il suddetto Ministero, terrorizzato dalla rapida caduta della città, vive da quel giorno nel limbo, stretto tra le mura della sua abitazione.
Ed è così un po’ per tutti gli scienziati dei centri di ricerca di Kabul. La maggior parte di università e uffici pubblici restano infatti ancora chiusi. I talebani vogliono che i funzionari continuino a lavorare, ma non è chiaro come questo possa avvenire. “Il futuro è molto incerto”, ha detto laconico Waizy.
Quando i fondamentalisti reggevano il paese (tra 1996 e 2001) applicavano brutalmente una versione conservatrice della Sharia islamica, caratterizzata da violazioni dei diritti delle donne e soppressione della libertà di espressione. Negli atenei non si faceva ricerca. Anzi, mancava totalmente la cultura della ricerca. Ma dopo la caduta dello stato islamico e la creazione del nuovo governo (nel 2004), i finanziamenti internazionali si sono riversati in Afghanistan facendo prosperare università e ricerca. La Banca Mondiale e varie organizzazioni internazionali hanno versato centinaia di milioni di dollari agli atenei per sostenere insegnamento, formazione e ricerca.

(Credit immagine: Kiana Hayeri, The New York Times, Redux, Eyevine. In Nature n. 597, 15-16, 2021, Studenti laureati presso l’American University of Afghanistan nel 2019)
Ecco alcuni dati che possono fare meglio comprendere la situazione. Dal 2010 a oggi sono state istituite (e/o ripristinate) circa 25 università pubbliche e decine di università private. La popolazione studentesca nelle università pubbliche è cresciuta, dal 2001 al 2018, da 8.000 a 170.000 unità. Un quarto delle presenze erano donne. Una vera conquista in uno stato islamico. Sebbene il contributo dell’Afghanistan nelle riviste internazionali sia rimasto esiguo, il numero di articoli registrati annualmente nel database Scopus, dal 2011 al 2019, è salito da 71 a 285.
Molti ricercatori afghani sono andati all’estero per perfezionare la loro istruzione, con la prospettiva di rientrare in patria arricchiti di nuove competenze e pronti ad aiutare a costruire la loro nazione. Come Najibullah Kakar, scienziato specializzato in rischio geologico al GFZ German Research Center for Geosciences, il centro di ricerca nazionale per le Scienze della Terra a Potsdam, Germania. Ha contribuito, nel 2014, a installare la prima rete sismica dell’Afghanistan per studiare la tettonica delle placche e informare la popolazione sui pericoli naturali. Ma ora tutto sembra perso e il gruppo sta cercando di lasciare il paese.
Ma lasciare l’Afghanistan sembra ormai quasi impossibile. L’organizzazione umanitaria Scholars at risk (Sar) di New York City, che trova nelle università del mondo rifugi sicuri per gli studiosi minacciati, afferma di aver ricevuto, solo nel mese di agosto, più di 500 richieste. Gli studiosi temono rappresaglie se il loro campo di ricerca è in contrasto con l’interpretazione della Sharia da parte dei talebani. Molte donne temono di essere prese di mira per il loro genere e per l’attivismo per i diritti delle donne. Gli uomini temono di essere puniti per aver insegnato alle donne. Altri che potrebbero essere aggiunti alla lista dei nemici perché hanno studiato all’estero o perché hanno collaborato con team internazionali. Temono che i talebani mettano un freno alla ricerca, che taglino fondi oltre alle libertà personali.
Tutto è a rischio ora. I risultati ottenuti negli ultimi 20 anni. La libertà di pensiero. I diritti delle donne. I diritti delle ricercatrici.
La stampa riferisce del congelamento di miliardi di dollari di finanziamenti esteri. Non è chiaro se o quando tali fondi saranno nuovamente elargiti ne’ come questo influenzerà università e ricercatori. Ma molti scienziati raccontano già di stipendi non pagati.
Finora 164 istituzioni in tutto il mondo hanno accettato di ospitare studiosi afghani e il Sar aveva fatto appello ai governi di Stati Uniti ed Europa per accelerare i visti e continuare i voli di evacuazione. Ma ormai l’aeroporto di Kabul è chiuso e invaso dai talebani. Fuggire via terra per ora sembra impossibile.
Gli scienziati non si preoccupano solo del loro futuro, ma anche di quello della ricerca. Temono che i talebani non diano priorità alla sperimentazione e che non ne riconoscano il valore. Una immane catastrofe per il futuro dell’Afghanistan. Senza studio, senza conoscenza, non si può costruire il futuro.
I ricercatori sperano di non essere abbandonati e fanno un appello: “Abbiamo speso tutto il nostro denaro, le nostre energie e il nostro tempo qui in Afghanistan per costruire un futuro più luminoso per noi stessi e per i nostri figli. Ma questo ritiro ha distrutto le nostre vite, le nostre speranze, le nostre ambizioni”.
(Credit immagine: Marcus Yam, Los Angeles Times, Shutterstock. In Nature n. 597, 15-16, 2021, Afghani che sperano di essere evacuati attraversano le strade inondate che conducono all’aeroporto di Kabul)
Giuliana Raffaelli
Ambiente
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Politica
L’Ars conferma la fiducia a Schifani, respinta la mozione dei gruppi di minoranza
L’Ars conferma la fiducia a Schifani, respinta la mozione dei gruppi di minoranza
L’Assemblea Regionale Siciliana , ieri sera, ha respinto la mozione di sfiducia al presidente della Regione, Renato Schifani, con 41 voti contrari e 26 a favore. La votazione è giunta dopo quasi cinque ore di dibattito in Aula, al termine del quale Schifani è intervenuto per una replica. Il presidente ha tracciato un bilancio di tre anni di attività del suo governo illustrando i risultati conseguiti a partire dal risanamento dei conti pubblici, dai progressi in campo economico e occupazionale, dagli interventi infrastrutturali nei trasporti, nello smaltimento dei rifiuti e nel settore idrico, fino ai miglioramenti nella sanità, nelle politiche sociali e ambientali e nel turismo. Nel suo intervento, Schifani ha evidenziato, tra l’altro, l’ulteriore miglioramento del giudizio di Moody’s che ha portato il rating della Regione Siciliana da “speculativo” a “stabile” e gli interventi in favore del sistema delle imprese.
«La maggioranza ha dato prova oggi di grandissima compattezza – ha detto il presidente della Regione – un dibattito acceso nel quale ho ascoltato tutti. Quello che ho riscontrato è l’assenza di una controproposta da parte dell’opposizione. Noi andiamo avanti con il nostro programma – ha aggiunto Schifani – non ho mai avuto dubbi sull’esito di questa di questa votazione, anche perché siamo dalla parte del giusto. Abbiamo il diritto e il dovere di governare, ce l’hanno chiesto i siciliani, ci hanno investito di questo ruolo e dobbiamo portarlo avanti».
Schifani in Aula ha inoltre ricordato che già nel 2002 aveva auspicato che la misura del carcere duro diventasse permanente e che venisse introdotto il sequestro “per equivalente” dei patrimoni mafiosi, obiettivi poi raggiunti anche grazie al suo impegno parlamentare. Il presidente ha rivendicato le scelte del governo in difesa della legalità e per la prevenzione di rischi di infiltrazioni mafiose negli appalti della Regione. A tal fine, il governo ha affidato i principali bandi a Invitalia e tutti i più importanti appalti sono sottoposti alla valutazione dell’Anac, tra questi quelli per i termovalorizzatori e per il polo pediatrico di Palermo.
Ambiente
Gangi, un albero per ciascun nato nel 2025
A Gangi si rinnova da cinque anni la tradizione di consegnare ai genitori un albero per ogni nato o adottato nell’anno in corso (2025). L’iniziativa, che si è svolta nella chiesa al “Monte”, è stata promossa dall’Ordine Francescano secolare di Sicilia “Immacolata Concezione” in collaborazione con il Comune di Gangi. Un Albero per ogni bambino nato è un’iniziativa tesa a concorrere alla salvaguardia del Creato.
Prima della consegna delle piantine alle famiglie è stata celebrata la Santa messa. Hanno presenziato alla cerimonia, assieme alle famiglie, la ministra dell’Ordine Francescano secolare di Gangi Antonella Ferraro, il sindaco di Gangi Giuseppe Ferrarello e l’assessore Nicola Blando.
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