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Cultura

Pantelleria e la sua mascotte per la torpediniera Cigno: una cagnolina di nome Leda

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La regia nave Cigno, torpediniera della classe Spica tipo Climene, si distinse particolarmente nel secondo conflitto mondiale per la sua combattività, partecipando come unità di scorta ai nostri convogli di rifornimento per la Libia prima e per la Tunisia dopo. La Cigno, costruita dai Cantieri Navali di Ancona ed entrata in servizio il 15 marzo 1937, aveva un dislocamento di 1.010 tonnellate a pieno carico e poteva raggiungere la velocità di 34 nodi orari. L’armamento era costituito da 3 cannoni da 100/47 OTO Mod. 1931, da 4 impianti binati di mitragliere da 13,2 mm Breda Mod. 31, da 4 tubi lanciasiluri da 450 mm, da 2 lanciabombe di profondità e da attrezzature per il trasporto e la posa di 20 mine. Nel corso dell’anno 1941 le mitragliere da 13,2 mm, ormai sorpassate, vennero sostituite dalle ben più efficaci mitragliere da 20/65 mm, inoltre si aggiunsero altri 2 lanciabombe di profondità. Nella sua scorta ai convogli per l’Africa Settentrionale la Cigno salpava solitamente dal porto di Trapani e, o all’andata o al ritorno, spesso faceva una breve sosta gettando l’ancora nella rada antistante il porto di Pantelleria. Una lancia della torpediniera andava quindi a riva, subito dopo, mentre il guardiamarina si recava in Capitaneria per eventuali urgenti comunicazioni, i marinai davano vita ad una sorta di primitivo baratto con gli isolani. Il tutto in una manciata di ore. Quelli della Cigno offrivano prodotti particolarmente ricercati in quel tempo di guerra quali caffè, zucchero, sigarette, ma anche scatolette di carne e confezioni di gallette, in cambio i panteschi davano vino, moscato, passito, uva passola, dolci tipici del posto, pollame e conigli.

Lo scambio di prodotti 

Lo scambio era sì particolarmente vivace e contrastato, ma per la verità non ci furono mai litigi di sorta e alla fine ambedue le parti risultarono sempre contente e soddisfatte. Si stabilì così un’intensa e immediata corrente di simpatia tra i panteschi e i marinai della Cigno, tanto che quando quest’ultima fu affondata nel ’43 con la perdita di gran parte dell’equipaggio, nell’isola vi fu profonda commozione e costernazione come se la comunità avesse perduto dei suoi figli. Pantelleria non dimenticò mai quei prodi, tant’è che 75 anni dopo, con deliberazione della Giunta Municipale n° 41 del 15 marzo 2018 uno slargo alla via Palazzetto Errera venne intitolato “Slargo Caduti Torpediniera Cigno”. Il gesto del pietoso ricordo fa onore a quegli amministratori e alla cittadinanza tutta.

Ma torniamo alla nostra storia. Nella primavera del 1941, nelle ore pomeridiane, gettò l’ancora nella rada di Pantelleria la torpediniera Cigno. Ben presto fu calata la lancia, dove presero posto un guardiamarina e quattro marinai con altrettanti grossi pacchi per il consueto baratto.

La banchina fu

presto raggiunta con la solita voga accelerata e, mentre il guardiamarina si recava in Capitaneria, i marinai iniziarono con gli isolani lo scambio delle merci. Dopo qualche ore la lancia ritornò alla nave e fu issata a bordo. Come sempre si radunò gran parte dell’equipaggio per vedere e commentare il frutto del baratto appena concluso, ma nel mentre si apriva la grossa cesta del pollame e dei conigli saltò fuori scodinzolando un piccolo bastardino di cane. Era di colore bianco pezzato di nero. Il cucciolo, anzi la cucciola come sentenziò dopo una rapida occhiata l’infermiere di bordo, cominciò subito a far festa ai marinai presenti, che la osservavano piacevolmente sorpresi. La decisione fu subitanea e unanime, dal quel momento quella cagnetta sarebbe stata la mascotte della Cigno. Del fatto fu immediatamente informato il comandante, il capitano di corvetta Nicola Riccardi, che si dichiarò pienamente d’accordo. Anche per il nome non si perse tempo, si sarebbe chiamata Leda.

L’amore di Leda e Cigno

E non poteva essere altrimenti, Leda e Cigno, un amore millenario che si perdeva nella notte dei tempi della mitologia. Intanto il conflitto continuava e la torpediniera Cigno era continuamente impegnata in missioni belliche. Tutti i marinai erano all’occasione compagni di gioco della cagnetta-mascotte che li riconosceva uno per uno. Rimpinguata di cibo dagli stessi, essa crebbe a vista, restando però alla fine una cagnetta di piccole dimensioni. La sua cuccia fu costruita a ridosso del cannone di poppa, mentre l’armaiolo Cuccurullo le fece un collare con la piastrina di riconoscimento, su cui era inciso al davanti “Leda R.M. Italiana” e al retro la data d’imbarco. Non si menzionò il nome della nave in quanto, come da precise e rigorose disposizioni, in caso di naufragio quel nome non si rendesse così noto al nemico. E proprio per un eventuale e malaugurato naufragio il cannoniere Impalomeni fece per Leda un apposito giubbotto di salvataggio con del sughero ricoperto di vivace stoffa rossa da scorgersi anche tra le onde. Da quella primavera del 1941 la torpediniera Cigno partecipò a numerosissime missioni di guerra, molte delle quali assai pericolose e spesso in diretto combattimento col nemico. E sempre ne uscì in qualche modo indenne o con danni non gravi.


I suoi marinai la ritenevano una nave fortunata e ne davano il merito alla sua mascotte, la piccola e discola cagnetta Leda. Si sa che nell’angolo più riposto del cuore di ogni marinaio alberga da sempre una forma larvata di superstizione (non ci credo, ma però…). Quella cagnetta, col suo andare velocemente da poppa a prua scodinzolando, rasserenava e rincuorava i marinai anche nelle ore più cupe e disperate, come nelle tragica notte di Santa Lucia del dicembre ’41 quando furono affondati i nostri due incrociatori leggeri Alberico da Barbiano e Alberto di Giussano. La Cigno, facente parte di quella squadra, dopo uno scontro a fuoco con la nave nemica Isaac Sweers raccolse oltre 500 naufraghi, riportandoli in salvo a Trapani.

Nell’andirivieni delle missioni della Cigno in Mediterraneo, Leda ebbe modo di conoscere tutti i porti e le loro banchine, da Napoli a Trapani, da Tobruk a Tripoli, da Tunisi, a Biserta. Il copione era sempre lo stesso, scendeva a terra e andava a gironzolare nei dintorni e a cercare bambini con cui giocare, immancabilmente dopo qualche ora di libertà tornava a bordo, non poche volte accompagnata da un cagnetto innamorato, che quasi sempre si fermava al limite della passarella. Però c’era il solito bastardino temerario che voleva salire anch’esso, a questo punto il marinaio di guardia aveva un bel po’da fare per fermare l’intruso. Un giorno dell’inverno di guerra ‘42/’43 la torpediniera Cigno gettò l’ancora nella rada di Pantelleria.

La scomparsa di Leda

Come al solito Leda prese posto nella lancia e andò a riva con i marinai. Si allontanò quindi per il suo consueto giretto. Generalmente i marinai la ritrovavano poi al ritorno sul molo presso la lancia. Ma quel giorno la cagnetta non c’era ad aspettarli. Frenetiche ricerche, chiamandola ripetutamente per nome.

Ma niente, Leda sembrava scomparsa nel nulla. Si aspettò alquanto tempo, ma invano.

La guerra non permetteva sentimentalismi di sorta, fu quindi giocoforza ritornare a bordo. Qui si dovette dar conto del triste accadimento agli altri membri dell’equipaggio, perché tutti si erano ormai affezionati a quella cagnetta. Al momento di togliere l’ancora e salpare la costernazione tra i marinai era generale. Qualcuno disse che in fondo era meglio così perché Leda era ritornata al luogo natio, ma qualcun altro espresse ad alta voce quello che pensavano tutti; perdendo la sua mascotte porta-fortuna anche la fortuna si sarebbe allontanata dalla Cigno. Si corse ai ripari, appendendo il rosso giubbotto di salvataggio presso il cannone di poppa, dov’era la cuccia della cagnetta. Era il simulacro della mascotte scomparsa e forse poteva bastare ad allontanare i pericoli della guerra. Ma non bastò.

Il giorno del tragico epilogo

E venne il giorno del tragico epilogo, dove mancò la fortuna, ma non il valore degli uomini della Leda. Era l’una di notte del 16 aprile 1943 quando dal porto di Trapani salpò alla volta di Tunisi la motonave Belluno, carica di materiale bellico strategico per le nostre truppe, che combattevano le loro ultime eroiche e disperate battaglie in terra d’Africa. Scortavano la nave la torpediniera Cigno e la gemella Cassiopea. Due ore dopo, per aggregarsi sempre alla scorta della Belluno, partivano da Palermo anche le torpediniere Climene e Tifone. Alle ore 02.38, a sud dell’isola di Marettimo, il convoglio di rifornimento, non ancora raggiunto dalle torpediniere salpate da Palermo, incappò, per sua malasorte, nei due caccia britannici HMS Paladin e HMS Pakenham, partiti poche ore prima da Malta.

Lo scontro era impari e l’esito scontato a favore degli inglesi, perché le due torpediniere per dimensioni e potenza di fuoco nulla potevano contro i due caccia avversari.

Malgrado ciò la Cigno, aprendo il fuoco, serrò coraggiosamente sotto al Pakenham, così anche la Cassiopea nei confronti del Paladin. Queste manovre suicide degli italiani erano state fatte per far allontanare, in sicurezza, dalla zona di combattimento la Belluno con il suo prezioso carico. Infatti la motonave riuscì a proseguire senza danni verso Tunisi. Intanto lo scontro divenne ben presto più duro e accanito. La Cigno colpì ripetutamente con le sue salve il Pakenham, uccidendo 10 uomini del suo equipaggio. Particolarmente accurato e preciso il tiro delle mitragliere del complesso di prora, diretto in coperta dal guardiamarina Armando Montani da Bologna di anni 23, già decorato di croce di guerra per un precedente atto di coraggio nel 1942. Purtroppo un colpo del Pakenham colpì la sala macchine della Cigno, immobilizzandola e quindi rendendola un bersaglio immobile sotto i devastanti e ripetuti colpi dei cannoni del caccia nemico.

Il relitto della torpediniera

In breve la torpediniera divenne un relitto galleggiante, che un successivo siluro spezzò letteralmente in due tronconi, i quali s’inabissarono rapidamente trascinando con loro, negli abissi marini, decine e decine di marinai. Anche lo scontro tra la Cassiopea e il Paladin stava volgendo al termine. Il caccia inglese aveva sì subito dei seri danni, ma il fuoco dei suoi cannoni sovrastava ormai quello di minore potenza della torpediniera italiana, peraltro già gravemente danneggiata. Sembrava ripetersi il triste copione della Cigno, quando improvvisamente il Paladin abbandonò il combattimento e si diresse velocemente verso il Pakenham in evidente difficoltà. Poco dopo le due unità della Royal Navy abbandonarono la zona. Nell’affondamento della torpediniera Cigno persero la vita 103 membri dell’equipaggio, se ne salvarono soltanto 43.

I caduti

Tra i caduti il prode guardiamarina Armando Montani. Si raccontò poi, da parte dei superstiti, che il Montani avesse continuato a far sparare le mitragliere fino a quando le onde lambirono la coperta, quindi, lanciatosi in acqua, si era messo in salvo su una zattera di fortuna. Ma vedendo due marinai dei suoi pezzi sul punto di affogare, non esitò a buttarsi nuovamente in mare e con sforzi inauditi a salvare ambedue, issandoli infine sulla zattera. Lo sforzo sovrumano però aveva schiantato il generoso cuore del guardiamarina, che così scomparve tra i gorghi del mare, ma prima ebbe la forza di gridare ai suoi marinai “Se vi prendono prigionieri non dite il nome della vostra nave”. Forse era stato proprio lui a non voler fare incidere il nome della nave sul collare della mascotte Leda. All’eroico guardiamarina veniva poi concessa la medaglia d’argento al valor militare (ma avrebbe meritato di certo quella d’oro). Bellissima la motivazione. A Montani Armando Guardiamarina, nato a Bologna il 29-1-1920. Alla memoria – Sul campo.

La fine della Cigno

“Ripetutamente chiedeva ed otteneva l’imbarco su naviglio silurante. Destinato alle mitragliere su

una torpediniera più volte fatta segno, in numerose missioni di scorta a convogli a violenti attacchi aerei e subacquei, contribuiva all’abbattimento di numerosi aerei e alla salvezza di molti convogli. In rapido e duro combattimento notturno contro preponderanti forze navali nemiche, apriva il fuoco delle mitragliere con prontezza e decisione.

Colpita ed immobilizzata la propria unità restava al suo posto sino all’ultimo.

Raggiunta faticosamente una zattera esauriva le proprie forze per salvare ripetutamente altri naufraghi, rivolgendo altresì nobili parole di incitamento ai superstiti ai quali raccomandava, qualora fossero catturati dal nemico, di non rivelare il nome della loro nave. Infine scompariva nei flutti, conscio di avere, col proprio sacrificio, contribuito alla salvezza del convoglio.
Canale di Sicilia, 16 aprile 1943”.

Ma anche per il cacciatorpediniere inglese Pakenham, colpito più volte dalla Cigno, andò malissimo. Il Paladin cercò di trainarlo verso un porto alleato, ma per il peggioramento delle sue condizioni di galleggiabilità l’Ammiragliato britannico ordinò di affondarlo. Scompariva così negli abissi del mare, a nord di Pantelleria, l’HMS Pakenham da 2.270 tonnellate.

Era l’alba del 17 aprile 1943 ed era passata solo una manciata di ore dalla fine del Cigno.

Oggigiorno fanno sorridere (?) alcuni siti inglesi che citano la perdita del Pakenham senza mai collegarla direttamente con la piccola torpediniera italiana Cigno. Qualche giorno dopo la battaglia del 16 aprile nelle acque di Pantelleria veniva ritrovato il corpo di un marinaio della Cigno con un giubbotto di salvataggio con scritto il nome di Athos D’Orazi. E con quest’ultimo nome vennero quindi sepolti quei miseri resti nel cimitero dell’isola. Soltanto anni dopo salterà fuori la verità. Il corpo sepolto era di un altro marinaio, sempre della Cigno, che rispondeva al nome di Rolando Bulletti, toscano, di anni 22, dichiarato “disperso”.

A svelare il mistero era stato il fiorentino Athos D’Orazi non affatto morto, era stato lui, all’epoca dei fatti sergente sulla torpediniera affondata, a dare al suo compaesano quel giubbotto ritenendolo più sicuro. Successivamente i resti del Bulletti vennero traslati nel luogo natio e adesso riposano al cimitero di “La Querce” di Prato.

E la cagnetta-mascotte Leda?

Per quante ricerche effettuate non abbiamo trovato nulla. Eppure… un lumicino c’è nel buio assoluto. Sfogliando le nostre foto d’archivio su Pantelleria in guerra, abbiamo trovato una foto del giorno della resa dell’isola, che ritrae un gruppo di abitanti d’isola. Nella foto in questione si vede un ragazzo con un cagnetto in mano, che grosso modo rassomiglia, per dimensioni, colore e orecchie abbassate, a Leda in una foto scattata sulla Cigno a Tripoli, soltanto che quest’ultima foto è assai grossolana nei dettagli per fare un raffronto più preciso e giungere a delle conclusioni.

Noi comunque preferiamo immaginare che sia Leda, l’amata mascotte della Cigno, in ambedue le foto, e che quindi la cagnetta sia uscita indenne dai terribili bombardamenti alleati e abbia continuato a giocare con i ragazzi di Pantelleria, la sua terra natia.

Orazio Ferrara

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Sociale

Trapani, Danza senza confini: un successo di arte, cultura e inclusione

Marilu Giacalone

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Trapani, 30 aprile 2024 – Si è concluso con grande successo l’evento “I Dialoghi della Danza Contemporanea e di Ricerca”, svoltosi nei giorni scorsi a Trapani, organizzato da Moto Armonico Danza e MeMA – Music Mediterranean Association, in occasione della Giornata Internazionale della Danza promossa dall’International Dance Council – Unesco.

Tre giorni intensi dove la danza è stata indiscutibilmente la protagonista assoluta.

“Attraverso tre importanti assi tematici – afferma Patrizia Lo Sciuto, danzatrice e coreografa – quali il pensiero della danza, la performance dal vivo e la danza nel sociale – abbiamo avuto l’onore di mettere in risalto la danza come linguaggio universale di inclusione, senza barriere culturali e fisiche. Desidero pertanto ringraziare l’associazione MeMa per la partnership, i partecipanti, i relatori, i performer e il pubblico. È stato un privilegio poter condividere tre giorni di arte, cultura e inclusione attraverso il meraviglioso universo della danza.”

“L’evento con cui si conclude questo ciclo di manifestazioni dedicato alla danza contemporanea – sottolinea il direttore artistico di MeMA, Giovanni De Santis – è, per MeMa, una testimonianza sul campo del suo nuovo orizzonte programmatico, che mira a superare il confine fisico della territorialità e quello tematico legato esclusivamente alla musica e all’organizzazione degli spettacoli. Il nostro intento è quello di coltivare e sostenere le molteplici espressioni dell’arte rappresentata e di lavorare affinché lo spettacolo sia anche strumento di inclusione e di miglioramento della qualità della vita nelle nostre comunità.”

Il primo giorno, nella suggestiva cornice barocca della ‘Chiesa Sant’Alberto’, sede della stagione concertistica dell’associazione MeMa, si è reso omaggio a Steve Paxton, luminare della danza e inventore della Contact Improvisation, il cui contributo artistico va ben oltre i confini della danza. La conferenza, tenuta dalla studiosa e critica di danza Daniela Cecchini, ha permesso di approfondire la straordinaria eredità di Paxton e il suo impatto sul mondo della danza, sin dagli anni ’70, favorendo nuove modalità di espressione e di ascolto del mondo.

Sold out nel secondo giorno, caratterizzato da una serie di performance dal vivo, che hanno affascinato ed emozionato il pubblico presente. Dai suggestivi assoli del repertorio della Compagnia Moto Armonico Danza, diretta da Betty e Patrizia Lo Sciuto, al magnifico duo “Amelia” interpretato da Priscilla Pizziol e Edoardo Sgambato, la danza ha saputo fluire con armonia, poesia e raffinatezza.

Infine, la giornata del  29 aprile in cui ogni anno si celebra la danza, si è svolto in collaborazione con il Comune di Erice, presso il Centro “Peppino Impastato”, l’incontro “La danza è per tutte e tutti” in cui è stato presentato il laboratorio di ‘Danza Movimento Terapia’ condotto dalla danzatrice e educatrice Giuliana Martinez dimostrando concretamente il potere trasformativo della danza, soprattutto quando è rivolto a persone con disabilità. 

Dopo i saluti della Sindaca del Comune di Erice Daniela Toscano, dell’assessora alla Cultura Rossella Cosentino e dell’assessora alla Pubblica Istruzione Carmela Daidone, la presidente dell’associazione “Le luci del dopo di noi” Anna Vattiata ha sottolineato l’importanza della pratica di attività artistiche come la danza per giovani con disabilità, poiché permette di migliorare la sfera psicofisica e di relazionarsi in gruppo.

In chiusura di questa tre giorni, con grande partecipazione di pubblico ed entusiasmo generale, la danza nel suo linguaggio universale ha dimostrato di essere capace di superare ogni differenza e di unirci in un’unica armonia.

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Cultura

Solarino (SR), lettera del 1906 per monumento ad Anita Garibaldi. L’importanza degli archivi comunali

Laura Liistro

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Archivi e Comunità è il sottotitolo per introdurre l’importanza culturale e sociale degli archivi comunali, colmi di documenti che hanno la necessità di uscire dalla cerchia degli esperti per rendersi utili alla società.
E’ una opportunità per trovare una nuova e più ampia legittimazione presso i cittadini che necessitano una conoscenza del proprio passato per una costruzione produttiva del futuro.

La lettera del 1906

E’ il caso di una storica lettera del 1906 ritrovata, qualche anno fa, nell’archivio comunale di Solarino (Sr).

Il focus di tal documento è  Presidente del Comitato Nazionale per l’erezione d’un monumento in Roma ad Anita Garibaldi, che invitò Sindaci, Direttori ed Insegnanti delle Scuole elementari d’Italia a voler promuovere delle sottoscrizioni da Centesimi Cinque per ogni alunno italiano, per dare un carattere plebiscitario all’ installazione sul Gianicolo del colossale monumento ad Anita Garibaldi dello scultore romano Mario Rutelli.

Il monumento per Anita Garibaldi

Il monumento rappresenta un reale avvenimento accaduto in Brasile, quando “l’eroina dei due mondi” era a fianco di Garibaldi nella rivoluzione per l’indipendenza di quel Paese dal Portogallo.
La Donna viene rappresentata, a dodici giorni dopo il parto di Menotti mentre fugge con il fucile in pugno ed il figlio neonato stretto tra collo e petto.
La missiva in questione si presenta ingiallita dal tempo ed è sia uno spaccato di Storia nazionale che un salto nella società italiana dell’epoca. Inoltre, il linguaggio usato tra ‘Stato e Stato’ è molto chiaro e determinato.

Il ruolo delle scuole

Le scuole, infatti, in quegli anni, dovevano eseguire non tanto le indicazioni ministeriali, ma gli ordini imposti dal Governo.
Questo scritto che trovasi all’interno dell’Archivio comunale del Comune di Solarino è caratterizzato dallo entusiasmo e dal coinvolgimento del popolo italiano nell’omaggiare la Donna che, per anni ed in preda ad infinite difficoltà fu, al Duce Glorioso, “sorriso e fede nei giorni turbinosi delle battaglie”.

L’ufficio comunale, tempio della memoria della comunità, da troppi anni in stato d’abbandono, rappresenterebbe un bel mezzo per le nuove generazioni, per potersi confrontare con la realtà storica diversa in cui parole d’ordine erano: Italia ed italiani.

Sarebbe questo un tuffo nel passato, tra i nomi dei maestri solarinesi Coco e D’Agostino e gli alunni che parteciparono, con cinque lire, alla realizzazione del monumento ad Anita Garibaldi.
Una percezione diretta della forza tipica di quella classe politica che aveva fatto l’Italia e stava formando gli italiani nel rispetto del tricolore.

“L’opera degna di cittadini italiani”

“All’opera dunque, o valorosi educatori del popolo.
Onorando la memoria d’Anita, nella data centenaria di Garibaldi, noi compiremo opera degna di cittadini italiani.”

Con queste parole, il garibaldino Col. Augusto Elia, saluta ed invoca i Maestri italiani che, in verità, furono i veri mezzi che realizzarono l’Italia unita nella lingua e nella cultura.

L’importanza del ritrovamento di queste carte?
La dimostrazione di quell’Italia unita nei valori civili da nord a sud senza confini culturali ma con un solo obiettivo : la Nazione.

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Ambiente

Campobello – Pro Loco, tre incontri con gli studenti su “Il nostro territorio segno d’identità”

Redazione

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“IL NOSTRO TERRITORIO SEGNO DI IDENTITÀ”: A CAMPOBELLO TRE INCONTRI DELLA PRO LOCO CON GLI STUDENTI

[CAMPOBELLO DI MAZARA] “Il nostro territorio segno di identità” è il tema dei tre incontri che la Pro Loco Unpli Campobello di Mazara e delle frazioni ha organizzato presso l’Istituto comprensivo “San Giovanni Bosco-Luigi Pirandello” di Campobello di Mazara a partire da giovedì 2 maggio, nell’aula magna dell’istituto, con ingresso da piazza Addolorata. «A partire dalla valorizzazione del nostro territorio abbiamo pensato a questo breve percorso formativo per cittadini consapevolmente responsabili – ha detto Max Firreri, presidente della Pro Loco – coinvolgendo enti e istituzioni che ci collaboreranno».

Ecco il calendario di incontri

  • Giovedì 2 maggio, ore 15, “Conoscere e valorizzare i beni culturali del proprio paese: come?”.
  • Venerdì 3 maggio, ore 9, “Col mare si gioca ma va rispettato: le regole per non trattarlo male”, con la partecipazione degli uomini della Capitaneria di porto di Mazara del Vallo
  • Lunedì 6 maggio, ore 15, “Le ragioni di tutelare l’ambiente che ci circonda: quali buone pratiche”, con la partecipazione dell’ufficio ambiente del Comune.

«L’incontro sui beni culturali del paese sarà propedeutico all’iniziativa “Adotta un monumento” che la Pro Loco promuoverà a partire da settembre 2024 nell’istituto comprensivo del paese», ha concluso Max Firreri.

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