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Zibibbo e Cannella

Non è Pasqua senza l’uovo di cioccolata

Nicoletta Natoli

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La tradizione delle uova di cioccolato scambiate per Pasqua è abbastanza recente, e nel cristianesimo simboleggia la resurrezione di Cristo. Il dono di uova vere, però, decorate con disegni o dediche è legato alla festività fin dal Medioevo, e la scelta di regalarle non è casuale.

Fin dall’antichità l’uovo ha avuto un’enorme valenza simbolica, rappresentando la vita, la sacralità e la rinascita. Secondo alcune credenze mitologiche e pagane del passato, dall’unione della Terra e del Cielo, considerati due emisferi diversi, veniva fuori proprio un uovo. Nella cultura egizia, invece, l’uovo era l’origine di tutto, nonché il perno dei quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco.

Per quanto riguarda la tradizione dello scambio delle uova, essa è documentata già fra gli antichi persiani, che amavano regalarsele in primavera, poiché questa stagione è sinonimo di rinascita della natura, di una nuova vita. I primi cristiani a donarsi reciprocamente le uova furono i popoli della Mesopotamia, che le macchiavano di rosso per ricordare il sangue versato da Gesù Cristo sulla croce. Questi ultimi, come tutte le popolazioni di religione cristiana, rielaborarono la vecchia usanza facendo un parallelismo tra l’uovo, somigliante a un sasso, e il sepolcro di pietra che ospitò il corpo di Gesù. L’uovo sembra morto, ma contiene al suo interno una nuova vita sul punto di sbocciare, e dunque esso diventò il simbolo della resurrezione.

Nel Medioevo in Germania fu introdotta la tradizione di scambiarsi come regalo pasquale l’uovo, che aveva una colorazione dorata poiché veniva bollito avvolto in delle foglie o con dei fiori. In quest’epoca i padroni solevano regalare delle semplici uova decorate alla propria servitù, mentre per gli aristocratici e i nobili venivano appositamente create uova rivestite in argento, platino e oro.

Secondo una credenza piuttosto diffusa, se oggi a Pasqua ci scambiamo uova di cioccolato il merito è di Re Luigi XIV, che oltre a regalare uova ricoperte d’oro ai nobili e ai cortigiani, seguendo l’usanza che vi abbiamo raccontato, era un grande amante del cioccolato, tanto da avere presso la sua corte un maestro cioccolatiere personale. Fu proprio la sua golosità a dargli l’idea di donare uova dorate realizzate su una base di cioccolato al posto delle uova normali.

Infine, in ordine cronologico, l’ultima tradizione che si diffuse e che è arrivata ai giorni nostri, assumendo una sua valenza anche da un punto di vista commerciale, è quella del dono interno all’uovo, merito di Peter Carl Fabergé, orafo di corte dello zar russo Alessandro III. Questi lo incaricò di realizzare un dono speciale per sua moglie, e per l’occasione Fabergé creò un uovo in platino smaltato di bianco, al cui interno c’era un ulteriore uovo in oro, che a sua volta conteneva due doni, ovvero una riproduzione della corona imperiale e un pulcino d’oro. La zarina apprezzò talmente tanto questo regalo da introdurre l’usanza di regalare un uovo a Pasqua ogni anno, a condizione che fosse unico nel suo genere e contenesse una sorpresa.

Per concludere il nostro articolo, non possiamo che augurarvi una buona e dolcissima Pasqua!

 

 

Mi chiamo Nicoletta Natoli e sono nata a Palermo il 22 gennaio del 1982. Ho sempre sognato di lavorare nel campo delle lingue straniere, e ho avuto la fortuna di riuscirci diventando una traduttrice, anche grazie ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuta in tutte le mie scelte. Le mie più grandi passioni sono la musica, il calcio, i viaggi, la lettura, le serie TV e tutto ciò che riguarda la Spagna. Poco tempo fa la frequentazione di un corso di scrittura ha fatto nascere dentro di me la voglia di raccontarmi e di raccontare agli altri, e sono molto grata di avere l’opportunità di poterlo fare.

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Gastronomia

In cucina con lo Chef Beppe Fontana da Pantelleria: oggi rigatoni con cucuzza pantisca al forno

Nicoletta Natoli

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Segni particolari: piccola, tonda, dolce, delicata e di colore verde chiaro con striature bianche.

Di che cosa stiamo parlando? Della cucuzza pantisca, cioè della zucchina di Pantelleria per i lettori non isolani. È un’autentica eccellenza mediterranea, uno dei tanti motivi per visitare Pantelleria e immergersi nei suoi sapori.

Le caratteristiche della cucuzza

Caposaldo dell’agricoltura e della cucina di Pantelleria, la cucuzza potrebbe definirsi una perfetta abitante dell’isola. Tollera bene il caldo e le sue coltivazioni vengono comodamente affondate nel vulcanico suolo pantesco.  Può crescere in assenza totale di acqua, senza alcuna irrigazione. Ciò è possibile perché il fusto e le foglie della zucchina sono pelosi, e quindi possono ottenere l’acqua per il loro fabbisogno direttamente dall’umidità dell’aria.

La cucuzza, un vero patrimonio gastronomico

Per evitare ogni possibile rischio di estinzione, sono gli stessi agricoltori di Pantelleria a riprodurre i semi della cucuzza e a tramandarli.

La versatilità di questo ortaggio in cucina è evidente dal suo impiego in moltissime ricette. Fritta, al forno, bollita, ripiena e con la pasta sono soltanto alcuni esempi di come è possibile sfruttare la zucchina di Pantelleria.

Prepariamo una ricetta con la cucuzza di chef Beppe Fontana

Il nostro caro amico chef Beppe Fontana ci propone una gustosa ricetta: i rigatoni con la cucuzza pantisca cotta al forno! Come sempre, trovate la versione in siciliano e quella tradotta.

  • Tagghiàti a cucùzza pantisca a pezzi tunni
  • Facìtila còciri nto furnu cu n’anticchia d’ogghiu
  • Iuncìtici a mintuccia i na picchitta d’agghiu
  • Cucìti i rigatoni, doppu i scinnìti i ci mittiti nzèmmula a cucuzza nfurnata nto piattu
  • Prima i manciàri, ci grattàti i supra u caciurricotta

Bona manciata!

Ma adesso, cari lettori, non vi preoccupate se la vostra lingua madre non è quella del Pitrè o di Pirandello, perché non rimarrete a digiuno. Ecco a voi la traduzione della ricetta per preparare i rigatoni con la cucuzza pantisca al forno:

  • Tagliate la zucchina di Pantelleria in fette circolari
  • Fatela cuocere in forno con un po’ d’olio
  • Aggiungete la mentuccia e un po’ d’aglio
  • Cuocete i rigatoni, e dopo averli scolati uniteli alla zucchina infornata direttamente nel piatto
  • Prima di gustarli, grattugiateci sopra il cacioricotta

 

Buon appetito!

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Gastronomia

In cucina con Chef Beppe Fontana da Pantelleria: oggi ossobuco di rana pescatrice

Nicoletta Natoli

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Prepariamo insieme l’ossobuco di rana pescatrice in umido con capperi, olive e pomodorini:

  • Tagghiàti a cuda du rospu comu si ffussi n’uossobbuco
  • Facìti vùgghiri à focu lentu i chiàppira, l’alivi, i pumaruoru chiddi nìchi, u basilicò i l’agghiu
  • Mittìti a cuda du rospu intra u vugghiùtu
  • Facìti còciri u pisci na picca i minuti e poi quannu è quasi prontu ci iuncìti u vinu iancu.

Bona manciata!

Ma adesso, cari lettori, non vi preoccupate se la vostra lingua madre non è quella del Pitrè o di Pirandello, perché non rimarrete a digiuno. Ecco a voi la traduzione della ricetta per preparare l’ossobuco di rana pescatrice:

  • Tagliate la rana pescatrice come se fosse un ossobuco
  • Stufate i capperi, le olive, i pomodorini, il basilico e l’aglio
  • Mettete la rana pescatrice nello stufato
  • Dopo pochi minuti di cottura sfumate il tutto con il vino bianco.

Buon appetito!

Nicoletta Natoli

 

 

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Gastronomia

Sicilia in cucina – La “muddica atturrata”, nota anche come il formaggio dei poveri

Nicoletta Natoli

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Storia di uno dei simboli della cucina siciliana

L’elenco delle squisitezze che fanno parte del repertorio della cucina siciliana è praticamente infinito. Tra queste troviamo una preparazione semplicissima, quasi banale, che riesce a esaltare gli ingredienti a cui si accompagna, creando dei piatti che deliziano il palato. Stiamo parlando della “muddica atturrata”.

Etimologia della parola

Siamo sicuri di non atturrarvi con il racconto della sua storia, perché contiene un’interessante miscela tra gusto e leggenda. Partendo proprio dal punto di vista etimologico, la parola atturrata ci riporta indietro nel tempo, a quando nelle torrefazioni di Palermo si atturrava il caffè, cioè si tostava in maniera artigianale. Ma, nello stesso tempo, la parola si ricollega al dialetto siciliano attuale, in cui atturrare significa disturbare, infastidire. Chiaramente, il significato che ci interessa è quello legato al caffè, tanto è vero che la muddica atturrata è proprio la mollica del pane abbrustolita.

La pasta con la muddica atturrata

Questa deliziosa preparazione culinaria affonda le sue radici nella tradizione isolana, in un periodo in cui il pane raffermo era usato come formaggio grattugiato. Non è un caso, infatti, che la muddica atturrata sia conosciuta anche come “il formaggio dei poveri”, dal momento che il formaggio era un prodotto dal costo piuttosto elevato e, dunque, non tutti potevano permetterselo. Ma con l’inventiva che da sempre li caratterizza, i siciliani hanno ovviato a questo problema con l’utilizzo della mollica per preparare un ottimo piatto di pasta “mollicata”. Questo primo piatto a base di mollica di pane è diffuso in tutta la Sicilia, ma anche in Calabria e in Basilicata con determinate modifiche. A seconda della zona, tra gli ingredienti delle numerose varianti sicule figurano l’acciuga, il formaggio, il prezzemolo, l’aglio, l’uvetta e l’estratto di pomodoro. Quella che, ovviamente, non manca mai è un’abbondantissima dose di muddica atturrata.

La muddica nella leggenda

C’è una leggenda attorno a cui ruotano le origini di questa ricetta. Per scoprirla dobbiamo tornare indietro nell’Alto Medioevo e spostarci nel paese di Armento in provincia di Potenza, zona in cui ancora oggi la preparazione è apprezzatissima. Si dice che nel 976 una popolana preparò per la prima volta il piatto per onorare la vittoria dei suoi paesani, guidati dai monaci bizantini, contro gli invasori saraceni. Nel giorno stesso in cui si svolse la battaglia a questa donna sarebbe apparsa la Vergine Maria, che le avrebbe preannunciato la vittoria contro i nemici e regalato un ferretto per preparare la pasta per rimettere in forze i suoi paesani gloriosi. La popolana avrebbe aggiunto di sua iniziativa della mollica di pane raffermo, sbriciolata e fritta nell’olio, creando così la ricetta.

 

Nicoletta Natoli

 

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