Connect with us

Cultura

I cognomi dell’isola di Pantelleria / XIV parte Da Ganci a Giannusa

Orazio Ferrara

Published

-

 

di Orazio Ferrara

GANCI Cognome di origini siciliane, in particolare del Palermitano. Si ritrovano in Pantelleria nella seconda metà del Seicento (battesimo del 31 luglio 1662), nei registri parrocchiali dell’isola spesso si riscontra anche la grafia De Ganci. Intorno al 1770 vive Salvatore Ganci, sposato con Grazia Antonia Casano. Circa il 1813 nasce Giuseppe Ganci, che poi sposa Pasca Belvisi. Dai due nasce Pietro Ganci, che contrarrà matrimonio in data 28 luglio 1889 (domenica) con Antonina Gabriele, figlia di Giombattista Gabriele e Angela Aghilon.

GANDOLFO Antica famiglia notabile siciliana, con nucleo originario nella Sicilia Occidentale. Nelle più vecchie carte parrocchiali dell’isola la grafia del cognome è De Gandolpho (battesimo del 20 luglio 1608). Arma araldica: D’azzurro, con un castello sormontato da tre torri merlate di tre pezzi, aperto e finestrato del campo, accostato da due leoni, affrontati e controrampanti, il tutto d’oro.

GARSIA Nelle carte parrocchiali più vecchie ritroviamo spesso anche Garcia, che è poi la versione originale spagnola. Il capostipite nell’isola è un soldato dei Tercios spagnoli proveniente da Gibilterra, tale Gioanne Garsia “bombarderi” ovvero cannoniere del castello a mare. Questo Gioanne o meglio Giovanni lo ritroviamo menzionato negli atti battesimali del 28 maggio 1598 e del 21 agosto 1600 ed è sposato con certa Vitria. Un ramo dei Garsia panteschi attingerà il titolo di barone nell’anno 1724. Una vasta contrada dell’isola, ai piedi del monte Gibéle, è detta ‘U chianu du Barune (Il piano del Barone), in quanto fu ceduta al barone don Michele Garsia dai Requesens, principi di Pantelleria. La predetta località in epoca precedente era conosciuta come Triqnakhalè, uno dei tanti bellissimi nomi arabi che caratterizzavano e caratterizzano ancora in parte le contrade dell’isola, nel significato di “Sentiero delle palme” da Tariq / Triq sentiero o passaggio e Nakhla palma. Arma dei Garsia: D’azzurro, con un uccello gaza d'argento, posato in una pianura erbosa al naturale, bagnata in punta da un fiume d' argento. Altero e orgoglioso il motto dell’omonima Casata spagnola: “De García arriba nadie diga” (Sopra Garsia nessuno dica). Sempre sul finire del Cinquecento vive nell’isola Francesco Garsia, probabilmente fratello del già citato Gioanne e forse anch’egli soldato della guarnigione (numerosi i militi della guarnigione spagnola che erano fratelli tra loro, per lo più si trattava di figli cadetti di antiche Casate nobiliari

spagnole). Questo Francesco Garsia aveva sposato certa Lucia, da cui ha: Vito Garsia (n. 1585) che il 30 settembre 1606 (sabato) contrae matrimonio con Silvera Valenza; Leonarda Garsia (n. 1589) sposata il 25 settembre 1606 (lunedì) con Augusto Valenza; Tommaso Garsia (n. 1590) che il 12 gennaio 1620 (domenica) sposa Giovanna Brignone.

GIALLOMBARDO (estinta) Il cognome Giallombardo è specifico del Palermitano. Ricordiamo Salvatore Giallombardo, figlio di Arturo e Concetta Paggetti, nato in Pantelleria, tenente del 64° Reggimento fanteria Cagliari, decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare con la seguente motivazione: “Comandante della compagnia comando reggimentale, trascinava i suoi fanti a superare sbarramenti di fuoco avversario, animandoli col suo esempio coraggioso. Val Savine – Le Planey – Costone Notre Dame di Delivrance, 21-25 giugno 1940-XVIII”.

GIAMPORCARO Cognome di origini siciliane, in Pantelleria provengono da Partinico. Arma: D’azzurro, alla gemella d’argento posta in sbarra accompagnata in capo da un sole figurato d’oro, e in punta da un leone del medesimo con la testa rivolta linguato di rosso. Nunzio Giamporcaro, nato circa l’anno 1821 a Partinico da Vito e Anna Martinez, si sposa in Pantelleria il 16 giugno 1845 con Anna Almanza. Dalla coppia nasce Vito Giamporcaro, che contrarrà matrimonio con Caterina Silvia, figlia di Giuseppe e Maria Garsia. A Vito Giamporcaro è intitolato il dinamico e creativo Centro Culturale sito alla via Alessandro Manzoni in Pantelleria.

GIANNUSA Cognome specifico del Palermitano. Il capostipite in Pantelleria sembra sia stato Ercole Giannusa, nato in Pantelleria intorno all’anno 1772, il quale contrae matrimonio con Anna Garsia, da cui nasce Giuseppe Giannusa che sposerà Antonia Policardo in data 5 giugno 1842 (domenica). Dalla coppia Giannuso/Policardo nascono: Emmanuele Giannusa, sposato poi con Rosalia Policardo; Maria Giannusa coniugata il 31 gennaio 1874 (sabato) con Francesco Lorillo; Antonio Giannusa sposato il 1° febbraio 1890 (sabato) con Francesca Busetta. (14 – continua)

Foto: Arma dei Garsia

Advertisement
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cultura

Cucina italiana patrimonio Unesco. Il contributo di Pantelleria

Direttore

Published

on

Lo zibibbo di Pantelleria contribuisce al prima dell’Italia nei patrimoni dell’agroalimentare

La notizia con titoloni la apprendiamo da SkyTg24 che spiega come si sia arrivati all’approvazione della candidatura all’unanimità, “riconoscendo il valore culturale e comunitario delle tradizioni culinarie italiane“.

Così l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite annovera ufficialmente la cucina italiana nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, “riconoscendone il ruolo sociale, culturale ed identitario” .

L’aspetto sociale della cucina italiana
Della cucina italiana è stato soprattutto valorizzata la pratica quotidiana, molto radicata, della  sulla condivisione del cibo, sulla trasmissione dei saperi gastronomici e sul rispetto degli ingredienti, punti cardini per l’Unesco nel senso di comunità e condivisione
Infatti, la cura che gli italiani mettono nella cucina, dalla scelta dei prodotti, alla preparazione degli alimenti, all’apparecchiare la tavola per condividere cibo, conversazioni, rappresenta un modo no solo di trasmettere la memoria di un paese, ma anche la relazione tra le persone.

Il dossier di Pier Luigi Petrillo 
Il dossier, studiato a New Delhi e redatto da Pier Luigi Petrillo, pone l’accento sugli “sforzi compiuti dalle comunità italiane negli ultimi sessant’anni, con il contributo di istituzioni e realtà culturali attive nella tutela e nella divulgazione delle tradizioni gastronomiche. Tra queste, l’Unesco cita la rivista La Cucina Italiana, l’Accademia Italiana della Cucina e la Fondazione Casa Artusi, considerate testimonianze dell’impegno nel preservare e trasmettere saperi, tecniche e valori legati al cibo“. Il lavoro congiunto di questi organismi ha consentito di mettere in evidenza il carattere partecipativo e diffuso delle pratiche culinarie nazionali, offrendo una visione articolata del patrimonio immateriale associato alla cucina.

L’Italia prima nei patrimoni legati all’agroalimentare
 Questo riconoscimento all’Italia consolida un record nell’agroalimentare a livello internazionale. “Su ventuno tradizioni riconosciute dall’Unesco, nove riguardano infatti pratiche collegate al cibo e alla cultura agricola. Oltre alla cucina italiana, figurano l’arte dei pizzaiuoli napoletani, la transumanza, la costruzione dei muretti a secco, la coltivazione ad alberello dello zibibbo di Pantelleria, la dieta mediterranea, la cerca e cava del tartufo, i sistemi irrigui tradizionali e l’allevamento dei cavalli lipizzani. Questo insieme di riconoscimenti sottolinea la continuità tra storia agricola, tradizioni locali e innovazione, elementi che rappresentano un tratto distintivo del patrimonio culturale del Paese e contribuiscono alla sua valorizzazione a livello internazionale“.

Continue Reading

Cultura

La Ruota nella Terra di San Paolo: un trovatello a Solarino nel 1820

Laura Liistro

Published

on

Nel pomeriggio del 24 luglio 1820, alle ore sedici, nella piccola comunità di San Paolo Solarino, allora ancora feudo dei Requesens e lontana dall’essere il Comune autonomo che diventerà solo decenni più tardi, veniva registrato un episodio che, pur nella sua drammatica ordinarietà, ci restituisce un vivido spaccato della società siciliana nel pieno dell’epoca borbonica.

Il ritrovamento nella notte

Estratto documento pagina 1 in cui si descrive il ritrovamento

Secondo quanto riportato negli atti civili dal don Giuseppe Miano, Eletto di Polizia e Ufficiale dello Stato Civile, nella notte tra il 23 e il 24 luglio, alle ore due, la campanella posta accanto alla ruota dell’Annunziata, presso la Casa dei Proietti in una strada del borgo al n. 29, squillò nel silenzio della notte.
Quel suono, breve e discreto, era tutto ciò che restava del gesto anonimo di chi, nell’oscurità, aveva deposto un neonato, incapace — o impossibilitato — di occuparsene.
La prima a intervenire fu Maria Sbrinsi, quarant’anni, impiegata nella Casa dei Proietti, che insieme al “Parrucu” Don Antonino De Benedittis, figura religiosa e assistenziale di riferimento, trovò il bambino “involuto in alcuni pannolini”, ma “senza alcun segno apparente sul corpo”.
Nessuna medaglietta, nessun nastro diviso in due, nessun biglietto: nessun indizio di una possibile futura rivendicazione materna.
Un trovatello anonimo, consegnato al destino.
Come prevedeva la consuetudine — e la paura di una mortalità infantile altissima — il neonato fu battezzato lo stesso giorno da Don Antonino De Benedittis, che gli diede il nome di Concetto.
Un nuovo nome per una nuova vita, almeno nelle intenzioni delle istituzioni assistenziali dell’epoca.

Solarino nel 1820: una ruota che gira tra povertà e fede

Nel 1820 Solarino era ancora Terra di San Paolo, parte del feudo dei Requesens: un piccolo centro rurale, dipendente ecclesiasticamente e amministrativamente da Siracusa, lontano dalle trasformazioni che investivano i grandi centri dell’isola e, soprattutto, distante dai moti rivoluzionari che proprio in quell’anno scuotevano il Regno delle Due Sicilie.
La Casa dei Proietti dell’Annunziata costituiva uno dei rari presidi di assistenza per i neonati abbandonati, inserita nella più ampia rete di istituzioni caritative siciliane sviluppatesi tra XVI e XVIII secolo.
La ruota, dispositivo semplice ma cruciale, garantiva l’anonimato a chi non poteva rivelare la propria identità e offriva ai bambini una possibilità di sopravvivenza altrimenti negata.
Una volta registrato, il piccolo Concetto veniva affidato — come stabiliva la normativa borbonica — a una nutrice, pagata con una mesata in tarì, incaricata di allattarlo e crescerlo fino ai cinque anni. Solarino, non essendo ancora Comune, dipendeva per questi oneri dall’amministrazione superiore, mentre il tessuto sociale locale contribuiva spesso in modo informale all’accudimento dei bambini.
Trascorsa la prima infanzia, come molti altri proietti maschi, Concetto sarebbe stato avviato al lavoro presso artigiani o contadini, in un percorso che univa assistenza, controllo sociale e necessità economiche.

Una memoria che riaffiora

Estratto documento Nota Lato pagina in cui si dichiara battezzato il “trovatello “ con il nome Concetto

L’atto del 24 luglio 1820 è molto più di una semplice registrazione amministrativa.
È una finestra su un mondo in cui fede, povertà, solidarietà e norme borboniche si intrecciavano nella gestione dei più fragili.
Il pianto del neonato Concetto — raccolto dalla ruota dell’Annunziata nella notte dei moti siciliani — è una delle tante voci che emergono dalla storia silenziosa della Terra di San Paolo.
Un episodio minore solo in apparenza: un frammento prezioso del vissuto collettivo, che ricorda quanto profonde siano le radici della cura, dell’abbandono e della misericordia nella comunità solarinese.
Rileggendo oggi quell’episodio, emerge quanto certe problematiche sociali, pur mutate nelle forme, restino purtroppo attuali.
L’abbandono dei neonati, allora affidato a una ruota discreta e protetta, oggi si manifesta in contesti drammatici e pericolosi: nei cassonetti, nei campi o in luoghi isolati, con rischi spesso mortali. La memoria di Concetto e della Casa dei Proietti ci ricorda che la soluzione non può essere solo l’atto di pietà, ma la costruzione di sistemi di protezione chiari, accessibili e sicuri, capaci di garantire dignità e vita ai più fragili.
Se la società odierna riuscisse a ripensare la cura dell’infanzia con la stessa attenzione, ma con strumenti moderni e coordinati — educazione, sostegno economico, punti di accoglienza sicuri — molte tragedie potrebbero essere prevenute.
In questo senso, la ruota dell’Annunziata non è solo un reperto del passato, ma un monito: la civiltà si misura dalla capacità di proteggere chi non ha voce, ieri come oggi.

 Laura Liistro

Fonte storica
Questa ricostruzione è tratta da un documento originale conservato presso l’Archivio Storico di Siracusa
Continue Reading

Cultura

Pantelleria, Ministero di Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi: 21 dicembre con il Vescovo

Direttore

Published

on

In Chiesa Matrice Ss Salvatore, domenica 21 dicembre sarò una giornata particolare per la comunità strettamente religiosa di Pantelleria. 
Se, infatti, da una parte avremo l’anniversario dell’arrivo sull’isola delle Suore delle Poverelle, dall’atro durante la stessa celebrazione Eucaristica di ringraziamento delle ore 11:00, il nostro Vescovo Angelo Giurdanella conferirà il Ministero dell’Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi.

Per saperne di più: Suore delle Poverelle, 80 anni di professione a Pantelleria. Messa con il Vescovo Giurdanella

Continue Reading

Seguici su Facebook!

Cronaca

Cultura

Politica

Meteo

In tendenza