Cultura
Pantelleria e la fuga dei coatti

Fuga di coatti dall’isola
Sul finire dell’Ottocento diverse furono le fughe di domiciliati coatti, condannati per reati comuni, dall’isola di Pantelleria verso la vicina Tunisia, servendosi di barche rubate ai locali, quasi tutte però si risolsero in un fiasco.
Ne raccontiamo due per la loro specifica particolarità.
Correva l’anno 1886
Nel corso del mese di luglio dell’anno 1886 otto condannati coatti rubarono un’imbarcazione di un
pantesco e puntarono verso le vicine coste tunisine.
Ma gli evasi era gente troppo terragna e per
niente esperta di cose di mare, per cui andarono alla deriva, senza raggiungere la meta prefissata,
per numerosi giorni nel tratto di mare tra Pantelleria e Capo Bon.
Il sole torrido di luglio picchiava su di loro senza pietà, procurando ai poveri corpi vistose piaghe
rese ancora più dolorose dalla salsedine. Il tutto era poi aggravato dall’assoluta mancanza di cibo,
ma soprattutto di acqua. Ben presto nella barca non vi furono altro che individui in un perenne
doloroso dormiveglia, scandito da incubi, allucinazioni e farneticazioni.
Quando la barca si trasforma in cibo
I crampi della fame divennero così intollerabili, che gli evasi cominciarono a mangiarsi, incredibile
a dirsi, letteralmente la barca. Staccavano pezzetti di legno dello scafo e li masticavano lentamente,
ma poiché quei pezzetti erano impregnati di salsedine ciò aumentava spasmodicamente la loro sete.
Risolsero quest’ultimo tormento con un rimedio peggiore del male, bevendo le loro urine, quindi
immettendo sempre più tossine in circolo nei loro corpi.
Un giorno la salvezza sembrò a portata di mano, infatti la barca degli evasi incrociò un piroscafo
inglese. Ai disperati segni di richiesta di soccorso la nave in un primo momento si fermò, come
volesse soccorrerli come imponeva d’altronde la legge del mare, poi però subito dopo proseguì,
incurante, la sua navigazione. Sembrava veramente la fine, ma il buon Dio aveva deciso di porre
fine alle inaudite sofferenze di quegli sfortunati coatti. Così la barca giunse finalmente nei pressi di
Capo Bon.
Finalmente la salvezza
Avvistata, fu soccorsa e portata a La Goletta di Tunisi. Lo spettacolo che si presentò agli
occhi dei soccorritori fu davvero miserando: uno dei coatti giaceva morto stecchito, gli altri,
scheletrici, sembravano anch’essi più morti che vivi.
Il giornale l’Unione di Tunisi, pubblicando la notizia, scrisse lapidariamente: “Le sofferenze dei
fuggitivi sono incredibili. Basti il dire che avevano mangiato dei pezzi di legno della barca: e bevute
le orine”.
Alle autorità tunisine non ci volle molto a capire che i sette superstiti non erano altri che gli evasi
dal domicilio coatto di Pantelleria, di cui si aveva avuto notizia nei giorni precedenti.
Fu quindi
avvisato il vice-console onorario italiano de La Goletta, che si recò sul posto con tre giannizzeri (guardie). Una volta rifocillati, i sette furono poi condotti nel carcere di La Goletta, in attesa dell’estradizione da parte della Prefettura di Trapani.
Il Giornale di Udine del 31 luglio 1886, raccontando del triste episodio, stigmatizzava il comportamento, davvero poco onorevole, del piroscafo inglese con queste parole di fuoco: “Al largo avevano incontrato un vapore inglese che ai loro segnali si era fermato e poi temendo forse imbarazzi quarantenari, aveva continuato la sua rotta, contro tutti i principii di umanità. E’ cosa spiacevole che s’ignori il nome di quel bastimento, giacché sarebbe il caso di segnalarlo al mondo civile come un campione d’infamia”.
…e correva pure l’anno 1897 con un noto camorrista
Il secondo episodio che andiamo a raccontarvi su una fuga di coatti dall’isola di Pantelleria accadde
nella notte del 7 luglio dell’anno 1897.
Quella notte quattro coatti rei di delitti comuni, con a capo
certo Flaumeni, noto e temuto camorrista, rubarono nel porto un’imbarcazione a remi di un locale.
Fecero inoltre una vela di fortuna con un lenzuolo e delle aste rubate in precedenza ad un macellaio
del posto, quindi remarono e veleggiarono alla volta delle coste tunisine.
Soltanto nella tarda mattinata dell’8 ci si accorse dell’evasione dei quattro e della mancanza della barca nel porto. In quel torno di tempo era assente, perché fuori dall’isola, il vice-ispettore, dott. Plessi, responsabile della colonia dei coatti. Intanto i fuggiaschi avevano accumulato già numerose ore di vantaggio.
Che fare? Come sempre nell’isola non mancavano né il coraggio e né spirito di decisione. Presero subito in mano la situazione il sindaco don Giovanni Errera e il comandante del porto, Antonio Lo Pinto, i quali ordinarono di armare una lancia con sette marinai e tre agenti di P.S. armati di carabine.
Uno dei più attivi tra i marinai imbarcati era il malcapitato cui avevano
rubato la barca.
Alle ore 10 cominciò quindi l’inseguimento, in cui i marinai panteschi cercarono di rosicchiare,
ricorrendo alle loro abilità marinaresche, il considerevole vantaggio accumulato dai fuggitivi.
Nel
primo pomeriggio a 25 miglia dall’isola, quando già si scorgevano nitidamente le coste africane, la
barca dei coatti evasi fu avvistata. Si serrò sotto, pronti per l’abbordaggio, mentre i fucili venivano
spianati. Gli evasi si resero conto che si trovavano di fronte a gente che non scherzava affatto, per
cui si arresero immediatamente, chiedendo perdono del loro gesto sconsiderato.
Alle ore 18 di quello stesso giorno la lancia rientrò nel porto di Pantelleria, trainando al seguito la
barca con dentro i quattro coatti fuggitivi, scornati e confusi. Frattanto sui moli s’era radunata gente
ad applaudire quei loro coraggiosi compaesani, che avevano così prontamente sventato l’evasione.
Non sembra superfluo aggiungere che i Panteschi contrastarono sempre decisamente eventuali
tentativi di fuga da parte dei coatti comuni, colpevoli per lo più di odiosi reati, mentre non
contrastarono, anzi in taluni casi favorirono (vedi il caso Galleani), la fuga di coatti politici.
E
questo comportamento va a tutto onore dei nostri antenati.
Orazio Ferrara
Foto: camerone dei coatti a Pantelleria (schizzo del confinato Giuseppe Scalarini)
Cultura
La migliore pasta alla Norma a Catania si mangia da Buatta

Il ristorante di via dei Crociferi si aggiudica il primo posto nel programma d Joe Bastianich, Foodish
La ricetta della chef Dina Ferrari ha conquistato il conduttore italo-americano
Catania, 16 Ottobre 2025 – Buatta vince la sfida dedicata alla pasta alla Norma a Catania e
conquista il primo posto nel programma di Joe Bastianich, Foodish, in onda da lunedì a venerdì su
TV8.
Il conduttore italo-americano ha scelto la pasta alla Norma della chef Dina Ferrari del ristorante
Buatta, in una competizione tutta gastronomica che ha coinvolto quattro ristoranti del capoluogo
etneo. Joe Bastianich ha elogiato in particolare la chef Dina Ferrari per” la tecnica nella
preparazione delle melanzane, proposte in tre diversi tagli e consistenze”, sottolineando come
“questo equilibrio renda il piatto unico”. Ha apprezzato inoltre la dolcezza armonica della salsa,
definendo il piatto “perfetto” nell’insieme.
Il giudizio finale è stato di un “piatto eccellente”
Il programma Foodish vede sfidarsi quattro locali per conquistare un premio di mille euro e
aggiudicarsi il titolo di locale Foodish. Durante la puntata dedicata alla pasta alla Norma, Joe
Bastianich, accompagnato a Catania da Andrea Lo Cicero Vaina, ex pilone della nazionale di Rugby,
ha valutato ciascun piatto dei quattro ristoranti coinvolti.
Per la chef di Buatta, Dina Ferrari, “la pasta alla Norma appartiene profondamente alla tradizione
familiare, simbolo della mia infanzia e della casa. È stata un’occasione speciale, ricca di valore
affettivo e culturale – ha commentato Dina Ferrari –
La pasta alla Norma può sembrare un piatto semplice e povero, ma in realtà è complesso nella sua esecuzione. Ogni passaggio, dalla salsa di pomodoro alla frittura delle melanzane, dal taglio degli ingredienti fino alla cura dei dettagli,
richiede rigore e precisione. È questa attenzione meticolosa che ha trasformato un piatto tradizionale in un’eccellenza, convincendo Joe Bastianich ad assegnare la vittoria a Buatta”, ha concluso la chef Ferrari.
Il ristorante Buatta, nato nel 2015 dall’avventura imprenditoriale di due coppie di giovani catanesi,
Nicolò Giannotta e Agnese Privitera, Giorgia l’Episcopo e Damiano Valguarnera, si è affermato
nella prima apertura come uno dei primi locali che ha puntato sulle birre artigianali, sul Cunzatizzu
– un pane condito che nasce dallo stesso impasto della pizza – e sui piatti serviti nelle Buatte,
termine siciliano che indica i vasi in vetro dove si conserva il cibo. Buatta, oggi si rinnova nel segno
di una cucina ispirata al comfort food, a ricette che appartengono e identificano diverse culture – a
partire da quella siciliana fino ai classici della cucina americana – frutto di continue ricerche e della
creatività di Dina Ferrari.
Nel menù, oltre ai must come il Cunzatizzu e le Buatte, si trovano piatti come il pollo glassato, il
vitello tonnato, le polpette di melanzana, il taco di polpo e la premiata pasta alla Norma. Ricette
uniche che uniscono sapori familiari e ingredienti originali, aggiungendo spesso un tocco esotico.
La carta dei vini mostra sensibilità e attenzione ai vini naturali siciliani dei piccoli produttori e alle
bevande no alcohol come la kombutcha.
Ambiente
L’asino di Pantelleria un simbolo su Rai3. L’importanza di riportare la razza sull’isola

Italo Cucci “Siamo amici della natura, delle fauna e di tutto quello che manca al resto del mondo.” – Attesi entro il 2026 altri due puledrini di asino pantesco
Uno splendido servizio è stato dedicato all’asino di Pantelleria, dalla Rai nella rubrica “Il Settimanale“, in onda tutti i sabato dalle ore 12.30 su Rai3.
L’incipit caratterizzato dalla nascita di Ettore porta subito gli spettatori in uno stato di curiosità, sorpresa e meraviglia.
Sul giocoso puledrino molte aspettative per la comunità, perchè, come recita il collega la sua nascita dopo decenni per Pantelleria “rappresenta un recupero di identità storica”.
Le sue origini tunisine/algerine conferiscono maggior fascino alla storia e alla cultura di questo irresistibile animale che ha rischiato di estinguersi, ma grazie al lavoro sinergico del Dipartimento Regionale delle Foreste e dall’Università di Palermo, in trent’anni di studi, si contano 78 esemplari.
Dopo Ettore, si attende la nascita di altri due asini panteschi, con l’auspicio di arrivare a cento capi, ma l’obiettivo è di arrivare a 150, per scongiurare nuovi rischi di estinzione, come ha spiegato Giuseppe Pace.
Importanza ed eco sono stati attribuiti, nel servizio, al recentissimo Festival Pantelleria Asinabile, organizzato dall’Ente Parco Nazionale Isola di Pantelleria che ha creato un sipario costruttivo ed energico per la presenza dell’asino sull’isola.
Anna Maria Cusimano, Guida del Parco, ha sottolineato come molti bambini abbiano perso il contatto con la natura e l’asino, con le giuste tecniche, può fare da ponte tra i piccoli panteschi e la natura stessa.
Ma i progetti che coinvolgono gli asini non sono finiti, anzi si parla di escursioni a piedi nei sentieri millenari di una isola tutta da esplorare, ammirare e annusare, come spiega Massimo Montanari, formidabile art director del festival Pantelleria Asinabile, rendendo l’isola una entità molto interessante e di richiamo.
Matteo Piceni, altra Guida del Parco, ha spiegato le qualità dell’asino proprio ad affrontare certe attività. La sua camminata ambiale, lo rende particolarmente adatto a certi percorsi svolti pacatamente, con lentezza e piacevole rilassatezza.
Di poi, interviene il Commissario Straordinario del Parco di Pantelleria, Italo Cucci “Siamo amici della natura, delle fauna e di tutto quello che manca al resto del mondo e questo ci rende orgogliosi.
“Mi ha emozionato la sua ascesa, quella dell’asino, nel mondo dei pet, addirittura per l’aiuto terapeutico che possono portare ai bambini, delle persone che hanno difficoltà e quelle che non ne hanno”.
Il servizio dal minuto 5.14, circa.
Cultura
Enti locali in Sicilia, al via IX corso Asael: formazione per sindaci, assessori e consiglieri

Enti locali in Sicilia, al via il IX corso Asael
Progetto formativo per sindaci, assessori e consiglieri
Undici incontri on line con docenti ed esperti di amministrazione e contabilità pubblica
Palermo, 18 ottobre 2025 – Undici incontri on line per formare sindaci, assessori e consiglieri di tutta la Sicilia. Partirà lunedì 20 ottobre la nona edizione del corso di formazione politico-istituzionale organizzato dall’Asael, l’Associazione siciliana amministratori enti locali.
Un appuntamento che ogni anno coinvolge centinaia di amministratori dell’Isola che avranno l’opportunità di approfondire le tematiche più attuali che riguardano comuni ed ex province. “Troppo spesso chi viene eletto non ha pienamente contezza del ruolo che andrà a ricoprire – spiega Matteo Cocchiara, presidente dell’Asael -. Da qui l’esigenza di un corso di formazione che fornisca gli strumenti e le conoscenze per poter servire al meglio le istituzioni, nell’interesse dei cittadini. Un obiettivo che l’Asael persegue da tempo e su cui chiede anche interventi normativi”.
Gli incontri si terranno sulla piattaforma Zoom, dalle 15.30 alle 18, e partiranno lunedì 20 ottobre con il primo webinar, fino ai primi di dicembre. Numerosi i relatori che si alterneranno tra docenti universitari, dirigenti in servizio o in pensione, esperti contabili e amministrativi.
Fra i temi in programma i compiti dei distretti socio-sanitari, il ruolo degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, il decreto salva-casa, l’autonomia differenziata, gli strumenti di programmazione. E ancora i bilanci, il dissesto finanziario, la gestione delle risorse umane, i tributi locali, la legislazione urbanistica, il Pnrr.
“Il corso è aperto a tutti gli amministratori – spiega Cocchiara – sia a quelli più esperti che a quelli eletti per la prima volta. Il sistema delle autonomie locali è in continua evoluzione e solo un costante aggiornamento può garantire a sindaci, assessori e consiglieri di padroneggiare la materia. Un’opportunità che l’Asael offre in modo totalmente gratuito a chi decide di impegnarsi nelle istituzioni: un compito che non è una professione ma che richiede professionalità e quindi competenza”.
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