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Cultura

Pantelleria, di castellani e di pirati dal XIII al XV secolo – 2. Un intenso periodo spagnolo

Redazione

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Anno 1399

Re Martino

Re Martino concede la signoria di Pantelleria al genovese Giovanni di Barnabo di San Lazaro dell’Albergo degli Squarciafico, che di fatto, con le sue galee, era già padrone dell’isola fin dal 1395.
Sua figlia Livia va in sposa al nobile don Giovanni Perollo. Giovanni di San Lazaro viene ucciso nel castello durante una sommossa popolare.
Arma degli Squarciafico: Di rosso alla croce irregolare d’oro, potenziata, ripotenziata in banda verso il canton sinistro del capo e verso il destro del capo, movente in sbarra dalla potenza diritta della traversa; lo stesso verso la punta dalle estremità della potenza del piede.

Anno 1416

Il castellano Matteo Sanchi de Sancta Fimi e i saraceni catturati

Diventa castellano di Pantelleria Matteo Sancho de Sancta Fimia. Il castello in quel tempo ha anche un vicecastellano, un cappellano religioso e 25 militi.
Matteo Sancho è patrono di una galeotta, con la quale conduce la guerra da corsa sulle coste della vicina Barberia. Comandante della galeotta è l’abile corsaro Maymuni, un musulmano di Pantelleria.
I saraceni catturati nei raid vengono poi venduti quali schiavi nei mercati di Sicilia.
Arma dei Fimia: Spaccato con la fascia in divisa d’oro; nel primo d’azzurro, al destrocherio vestito d’argento, la mano di carnagione, impugnante un mazzetto di fiori al naturale; nel secondo di rosso, a tre bande d’oro.

Anno 1420

Don Petrus de Leon

 E’ regio capitano dell’isola di Pantelleria don Petrus de Leon.
Arma dei de Leon: En campo de plata, un león rampante de gules. Bordura de gules, con ocho aspas de oro (Nel campo d’argento, un leone rampante di rosso. Bordura di rosso, con otto croci di Sant’Andrea d’oro).

Anno 1422

L’infeudazione dei Bellvis

Viene insignito del feudo di Pantelleria il valenziano Francesc Bellvis, regio falconiere. Il Bellvis è patrono di una galera e di un brigantino ed è solito arruolarne gli equipaggi tra i galeotti delle carceri di Palermo.
Con l’infeudazione dei Bellvis, nel corso degli anni a venire, non vi sarà sempre perfetta coincidenza tra la persona del feudatario dell’isola e quella di castellano della stessa.
A volte il castellano sarà uomo di fiducia del feudatario o della regia corte, caso quest’ultimo che può creare pericoli di usurpazioni come accadrà per i de Nava.
Arma dei Bellvis: D’oro, a tre fascie di rosso. Anno 1437 – Muore il feudatario di Pantelleria, Francesco Bellvis, e gli succede nel dominio il figlio di nome anche lui Francesco Bellvis. Questi sposa la nobile Maria Cardona, che gli dà una figlia, Giovanna.

Anno 1440, circa

La forza della guarnigione

E’ castellano dell’isola Guglielmo Belflor.

Arma dei Belflor: D’azzurro, al giglio di giardino allargato e bottonato d’oro. Intorno al 1440 il castello dell’isola è munito di sette bombarde, di cui però soltanto tre sono perfettamente funzionanti. La forza della guarnigione ascende ad una trentina di uomini.

Anno 1443

Il castellano castigliano Gonsalvo de Nava

Diventa castellano dell’isola di Pantelleria il castigliano Gonsalvo de Nava, capitano di una galea con la quale conduce una guerra da corsa contro i barbareschi. All’epoca il castello contava 30 militi e costava al regio erario 300 once.
Alla morte di Gonsalvo, gli succede quale capitano d’arme dell’isola (ma di fatto ne è il signore) il figlio Alvaro de Nava.
Arma dei de Nava: Bandato ondato d’oro e di rosso di sei pezzi. Alias: D’azzurro, al monte di due cime di rosso sostenente due leoni affrontati e combattenti dello stesso.

Anno 1492

Don Luigi Requesens è il nuovo signore di Pantelleria al costo di 1.800 fiorini

Don Luigi Requesens è il nuovo signore di Pantelleria a seguito di cessione del feudo, per la somma di 1.800 fiorini, da parte di donna Giovanna Bellvis, erede di Francesco II Bellvis e che ha vinto la causa, presso il tribunale di Valencia, per il reintegro dei suoi diritti feudali contro l’usurpazione dei de Nava. In virtù di questo feudo i Requesens attingeranno in seguito il titolo nobiliario di Principi di Pantelleria.
Arma dei Requesens: Inquartato: nel 1° e 4° d’azzurro, a tre torri d’oro poste 1, 2; nel 2° e 3° d’oro a quattro pali di rosso e la bordura dentata d’oro. Alias: Inquartato: nel 1° e 4° palato di rosso e d’argento; nel 2° e 3° d’azzurro, a tre torri d’argento, e la bordura dello scudo d’argento.

Orazio Ferrara

Foto: galea barbaresca

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Cultura

Cucina italiana patrimonio Unesco. Il contributo di Pantelleria

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Lo zibibbo di Pantelleria contribuisce al prima dell’Italia nei patrimoni dell’agroalimentare

La notizia con titoloni la apprendiamo da SkyTg24 che spiega come si sia arrivati all’approvazione della candidatura all’unanimità, “riconoscendo il valore culturale e comunitario delle tradizioni culinarie italiane“.

Così l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite annovera ufficialmente la cucina italiana nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, “riconoscendone il ruolo sociale, culturale ed identitario” .

L’aspetto sociale della cucina italiana
Della cucina italiana è stato soprattutto valorizzata la pratica quotidiana, molto radicata, della  sulla condivisione del cibo, sulla trasmissione dei saperi gastronomici e sul rispetto degli ingredienti, punti cardini per l’Unesco nel senso di comunità e condivisione
Infatti, la cura che gli italiani mettono nella cucina, dalla scelta dei prodotti, alla preparazione degli alimenti, all’apparecchiare la tavola per condividere cibo, conversazioni, rappresenta un modo no solo di trasmettere la memoria di un paese, ma anche la relazione tra le persone.

Il dossier di Pier Luigi Petrillo 
Il dossier, studiato a New Delhi e redatto da Pier Luigi Petrillo, pone l’accento sugli “sforzi compiuti dalle comunità italiane negli ultimi sessant’anni, con il contributo di istituzioni e realtà culturali attive nella tutela e nella divulgazione delle tradizioni gastronomiche. Tra queste, l’Unesco cita la rivista La Cucina Italiana, l’Accademia Italiana della Cucina e la Fondazione Casa Artusi, considerate testimonianze dell’impegno nel preservare e trasmettere saperi, tecniche e valori legati al cibo“. Il lavoro congiunto di questi organismi ha consentito di mettere in evidenza il carattere partecipativo e diffuso delle pratiche culinarie nazionali, offrendo una visione articolata del patrimonio immateriale associato alla cucina.

L’Italia prima nei patrimoni legati all’agroalimentare
 Questo riconoscimento all’Italia consolida un record nell’agroalimentare a livello internazionale. “Su ventuno tradizioni riconosciute dall’Unesco, nove riguardano infatti pratiche collegate al cibo e alla cultura agricola. Oltre alla cucina italiana, figurano l’arte dei pizzaiuoli napoletani, la transumanza, la costruzione dei muretti a secco, la coltivazione ad alberello dello zibibbo di Pantelleria, la dieta mediterranea, la cerca e cava del tartufo, i sistemi irrigui tradizionali e l’allevamento dei cavalli lipizzani. Questo insieme di riconoscimenti sottolinea la continuità tra storia agricola, tradizioni locali e innovazione, elementi che rappresentano un tratto distintivo del patrimonio culturale del Paese e contribuiscono alla sua valorizzazione a livello internazionale“.

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Cultura

La Ruota nella Terra di San Paolo: un trovatello a Solarino nel 1820

Laura Liistro

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Nel pomeriggio del 24 luglio 1820, alle ore sedici, nella piccola comunità di San Paolo Solarino, allora ancora feudo dei Requesens e lontana dall’essere il Comune autonomo che diventerà solo decenni più tardi, veniva registrato un episodio che, pur nella sua drammatica ordinarietà, ci restituisce un vivido spaccato della società siciliana nel pieno dell’epoca borbonica.

Il ritrovamento nella notte

Estratto documento pagina 1 in cui si descrive il ritrovamento

Secondo quanto riportato negli atti civili dal don Giuseppe Miano, Eletto di Polizia e Ufficiale dello Stato Civile, nella notte tra il 23 e il 24 luglio, alle ore due, la campanella posta accanto alla ruota dell’Annunziata, presso la Casa dei Proietti in una strada del borgo al n. 29, squillò nel silenzio della notte.
Quel suono, breve e discreto, era tutto ciò che restava del gesto anonimo di chi, nell’oscurità, aveva deposto un neonato, incapace — o impossibilitato — di occuparsene.
La prima a intervenire fu Maria Sbrinsi, quarant’anni, impiegata nella Casa dei Proietti, che insieme al “Parrucu” Don Antonino De Benedittis, figura religiosa e assistenziale di riferimento, trovò il bambino “involuto in alcuni pannolini”, ma “senza alcun segno apparente sul corpo”.
Nessuna medaglietta, nessun nastro diviso in due, nessun biglietto: nessun indizio di una possibile futura rivendicazione materna.
Un trovatello anonimo, consegnato al destino.
Come prevedeva la consuetudine — e la paura di una mortalità infantile altissima — il neonato fu battezzato lo stesso giorno da Don Antonino De Benedittis, che gli diede il nome di Concetto.
Un nuovo nome per una nuova vita, almeno nelle intenzioni delle istituzioni assistenziali dell’epoca.

Solarino nel 1820: una ruota che gira tra povertà e fede

Nel 1820 Solarino era ancora Terra di San Paolo, parte del feudo dei Requesens: un piccolo centro rurale, dipendente ecclesiasticamente e amministrativamente da Siracusa, lontano dalle trasformazioni che investivano i grandi centri dell’isola e, soprattutto, distante dai moti rivoluzionari che proprio in quell’anno scuotevano il Regno delle Due Sicilie.
La Casa dei Proietti dell’Annunziata costituiva uno dei rari presidi di assistenza per i neonati abbandonati, inserita nella più ampia rete di istituzioni caritative siciliane sviluppatesi tra XVI e XVIII secolo.
La ruota, dispositivo semplice ma cruciale, garantiva l’anonimato a chi non poteva rivelare la propria identità e offriva ai bambini una possibilità di sopravvivenza altrimenti negata.
Una volta registrato, il piccolo Concetto veniva affidato — come stabiliva la normativa borbonica — a una nutrice, pagata con una mesata in tarì, incaricata di allattarlo e crescerlo fino ai cinque anni. Solarino, non essendo ancora Comune, dipendeva per questi oneri dall’amministrazione superiore, mentre il tessuto sociale locale contribuiva spesso in modo informale all’accudimento dei bambini.
Trascorsa la prima infanzia, come molti altri proietti maschi, Concetto sarebbe stato avviato al lavoro presso artigiani o contadini, in un percorso che univa assistenza, controllo sociale e necessità economiche.

Una memoria che riaffiora

Estratto documento Nota Lato pagina in cui si dichiara battezzato il “trovatello “ con il nome Concetto

L’atto del 24 luglio 1820 è molto più di una semplice registrazione amministrativa.
È una finestra su un mondo in cui fede, povertà, solidarietà e norme borboniche si intrecciavano nella gestione dei più fragili.
Il pianto del neonato Concetto — raccolto dalla ruota dell’Annunziata nella notte dei moti siciliani — è una delle tante voci che emergono dalla storia silenziosa della Terra di San Paolo.
Un episodio minore solo in apparenza: un frammento prezioso del vissuto collettivo, che ricorda quanto profonde siano le radici della cura, dell’abbandono e della misericordia nella comunità solarinese.
Rileggendo oggi quell’episodio, emerge quanto certe problematiche sociali, pur mutate nelle forme, restino purtroppo attuali.
L’abbandono dei neonati, allora affidato a una ruota discreta e protetta, oggi si manifesta in contesti drammatici e pericolosi: nei cassonetti, nei campi o in luoghi isolati, con rischi spesso mortali. La memoria di Concetto e della Casa dei Proietti ci ricorda che la soluzione non può essere solo l’atto di pietà, ma la costruzione di sistemi di protezione chiari, accessibili e sicuri, capaci di garantire dignità e vita ai più fragili.
Se la società odierna riuscisse a ripensare la cura dell’infanzia con la stessa attenzione, ma con strumenti moderni e coordinati — educazione, sostegno economico, punti di accoglienza sicuri — molte tragedie potrebbero essere prevenute.
In questo senso, la ruota dell’Annunziata non è solo un reperto del passato, ma un monito: la civiltà si misura dalla capacità di proteggere chi non ha voce, ieri come oggi.

 Laura Liistro

Fonte storica
Questa ricostruzione è tratta da un documento originale conservato presso l’Archivio Storico di Siracusa
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Cultura

Pantelleria, Ministero di Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi: 21 dicembre con il Vescovo

Direttore

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In Chiesa Matrice Ss Salvatore, domenica 21 dicembre sarò una giornata particolare per la comunità strettamente religiosa di Pantelleria. 
Se, infatti, da una parte avremo l’anniversario dell’arrivo sull’isola delle Suore delle Poverelle, dall’atro durante la stessa celebrazione Eucaristica di ringraziamento delle ore 11:00, il nostro Vescovo Angelo Giurdanella conferirà il Ministero dell’Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi.

Per saperne di più: Suore delle Poverelle, 80 anni di professione a Pantelleria. Messa con il Vescovo Giurdanella

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