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Cultura

“L’amante generoso”, una storia d’amore e di pirati a Pantelleria

Nicoletta Natoli

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Pubblicata a Madrid nel 1613, la novella L’amante generoso è inclusa nella raccolta Le novelle esemplari, opera dello scrittore spagnolo Miguel de Cervantes. Appartiene al periodo in cui la maturità creativa dell’autore madrileno raggiunse il suo punto più alto, e, insieme al suo Don Chisciotte, aprì la strada per la letteratura iberica moderna.

Racconto di intrighi e di avventure, L’amante generoso può essere definita una novella idealistica con un lieto fine, nella quale l’amore e la libertà trionfano su tutte le avversità. I personaggi principali sono siciliani, e l’azione si svolge nel bacino del Mediterraneo, coinvolgendo numerose città siciliane, tra cui Trapani, città di origine dei due protagonisti, Palermo, Messina e Milazzo, e diverse isole, compresa Pantelleria, dove il protagonista Ricardo pensa di aver perso la sua amata a causa di un incidente della sua galea contro le rocce.

La descrizione che il protagonista, prigioniero dei pirati, fa del suo stato d’animo al momento dello sbarco con i pirati a Pantelleria ci permette di ricordare che per più di tre secoli, dal XVI agli inizi del XVIII, l’isola è stata costantemente assalita dai predoni, per la maggior parte turchi. Grazie alla sua posizione, infatti, essa è sempre stata sfruttata come un luogo di sosta ideale per fare provviste di cibo, per catturare panteschi da ridurre in schiavitù o per saccheggiare le case. In particolare, i turchi amavano approdare in un’insenatura circondata da rocce piatte che agevolavano la discesa, situata all’estremo sud di Pantelleria. Per questo motivo, oggi questo luogo affascinante si chiama Balata dei Turchi, dalla parola araba balat, che significa lastrone di pietra.

Ritornando alla trama della novella, essa verte intorno alla vita da schiavo raccontata da Ricardo, cavaliere siciliano catturato dai turchi. A Trapani viveva un’affascinante donzella di nome Leonisa, la cui grande bellezza era stata addirittura cantata dai poeti. Il giovane si era innamorato di lei ma non veniva ricambiato, poiché apparentemente lei aveva un debole per un tale Cornelio. Durante un litigio tra Ricardo, Cornelio e i suoi familiari in un giardino sul litorale, erano comparsi i turchi e avevano catturato Ricardo e Leonisa, mentre Cornelio era riuscito a scappare in tempo. In seguito, Ricardo credette che Leonisa fosse morta durante una tempesta a Pantelleria, che aveva provocato un incidente. Ma mentre era in corso un incontro tra i nobili turchi Ali e Hazán e il cadì della città, arrivò un ebreo che voleva vendere una bellissima cristiana, che altri non era che Leonisa.

Ali e Hazán decisero di acquistarla per il Sultano, ma segretamente anche loro aspiravano a godere dei servigi della giovane. Spinto dal loro stesso desiderio, il cadì prese una decisione: rimanere con lei e mandarla al Sultano per conto di Ali e Hazán. Più tardi, Ricardo si mise d’accordo con il suo amico Mahamut per entrare al servizio del cadì, che li incaricò ben presto di convincere Leonisa a soddisfare i suoi desideri.

Nel frattempo, Halima, la moglie del cadì, iniziò a provare qualcosa per Ricardo, motivo per cui affidò a Leonisa una missione simile. Dal canto loro, i nobili Ali e Hazán pretesero che la schiava venisse consegnata al Sultano, mentre Ricardo e Mahamut proposero al loro padrone uno stratagemma affinché durante il viaggio si potessero realizzare i suoi desideri, facendo sparire sua moglie. In questo modo si creò l’occasione per far incontrare di nuovo Ricardo e Leonisa, dopo che entrambi avevano vissuto esperienze molto forti. I due giovani si riconobbero immediatamente e si raccontarono tutto ciò che era loro accaduto nel periodo in cui non si erano visti, quando si credevano reciprocamente morti.

Ricardo e Mahamut elaborarono un loro piano per poter scappare con Leonisa, mentre anche Halima credeva di avere pronto il suo. Improvvisamente, il vascello del cadì si vide attaccato da due navi, una di pirati e un’altra di cristiani, che di fatto erano le navi dei nobili Ali e Hazán, decisi a catturare Leonisa. Entrambe le navi lottarono fino a distruggersi, e così Ricardo e Mahamut riuscirono a prendere in mano la situazione e a tornare contenti in Sicilia.

Una volta rientrato, Ricardo non volle alcuna ricompensa, poiché desiderava solo la felicità di Leonisa, e, infatti, la “restituì” al suo antico amante Cornelio, ma la ragazza lo sorprese piacevolmente, decidendo di stare con lui. Tutti, alla fine, vissero felici, liberi e soddisfatti.

La buona fama di Ricardo, uscì dai confini della Sicilia, e si estese in tutta Italia e in molti altri Paesi, dove fu conosciuto come “l’amante generoso”. E i suoi valori perdurarono nei tanti figli che ebbe da Leonisa, esempio di donna discreta, onesta, modesta e bellissima.

 

Nicoletta Natoli

Mi chiamo Nicoletta Natoli e sono nata a Palermo il 22 gennaio del 1982. Ho sempre sognato di lavorare nel campo delle lingue straniere, e ho avuto la fortuna di riuscirci diventando una traduttrice, anche grazie ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuta in tutte le mie scelte. Le mie più grandi passioni sono la musica, il calcio, i viaggi, la lettura, le serie TV e tutto ciò che riguarda la Spagna. Poco tempo fa la frequentazione di un corso di scrittura ha fatto nascere dentro di me la voglia di raccontarmi e di raccontare agli altri, e sono molto grata di avere l’opportunità di poterlo fare.

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Cultura

Pantelleria, inaugurato il busto a dr. Zurzolo tra gente commossa, riconoscente e affiatata

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L’opera è stata realizzata dal M° Michele Cossyro

Si è svolta ieri, 7 dicembre 2025, la cerimonia di scopertura del busto dedicato al compianto dottor Michele Zurzolo.

In una silenziosa Piazza Perugia, le gente arrivava quasi in punta di piedi, per non disturbare un momento che sarebbe stato prezioso per quel sito e per la comunità pantesca tutta.
Il Sindaco Fabrizio D’Ancona ha aperto la celebrazione annunciando diversi interventi tra cui quello di Maria Casano, che ha promosso l’idea, quello della moglie Anna Maria Brignone, delle due nipoti.

“Il Dottore Michele Zurzolo, nel corso della sua vita professionale, si è dedicato anima e corpo a tutta questa comunità e oserei dire anche a tutta la cittadinanza di Pantelleria – Ha esordito il primo cittadino – Ma molti di voi hanno avuto anche la possibilità di conoscere un amico, una persona che ha fatto della sua professione una storia di vita.  Lui era una persona di altri tempi e lo ha dimostrato. Abbiamo ritenuto come di regola accade quando una persona si contraddistingue in questa vita terrena per le sue attività, per le sue azioni, per le sue gesta, di ricordarlo in una maniera particolare.  Abbiamo deciso di fare un busto commemorativo e di posizionarlo in questa piazza Perugia che è sostanzialmente il cuore di questa contrada.”

Di poi i ringraziamenti alla giunta comunale e, in modo particolare, ai consiglieri Giuseppe Maddalena e Nadia Ferrandes che hanno perorato il progetto, fino al suo completamento.
Così, dopo i toccanti pensieri dei familiari del dr. Zurzolo, l’intervento di Michele Cossyro. L’artista che ha portato il nome di Pantelleria nel mondo con le sue opere ha ben accolto l’invito a realizzare la richiesta, facendo una vera copia non solo delle sembianze, ma anche dell’espressione del medico. Realizzando un basamento singolare, in pietra lavica, ha poi come proseguito l’opera con il busto di bronzo, adesso lucido e liscio.  

Tra i presenti anche il presidente del Consiglio Comunale, Giuseppe Spata, diversi politici, i presidenti dei circoli e di alcune associazioni importanti, tutti testimoni della benevolenza, dell’umiltà, della nobiltà di un uomo coraggioso, che metteva il paziente sopra ogni altra esigenza e pensiero, elargendo diagnosi sempre precise e puntuali e mai sbagliate, nonostante la strumentazione dell’epoca, a Pantelleria.

Va ricordato, non in ultimo, che il Dr. Zurzolo era un grande studioso originario della Calabria, eppure, egli aveva eletto Pantelleria come sede della sua dimora e del suo lavoro, dove ha affrontato vita e professione sempre con un immancabile e inestimabile sorriso bonario e rassicurante.

La toccante cerimonia si è conclusa con la benedizione di Don Ramses.

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Cultura

Pantelleria, oggi presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore

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Questo pomeriggio, 7 dicembre 2025, dalle ore 16.30, presso i noti locali del Circolo Ogigia di Pantelleria Centro, si terrà la presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore.

Ad affiancare l’autore, Franca Zona e Giovanna Drago, apprezzate donne di cultura, che si alterneranno in una intervista conoscitiva del libro.

Antonino Maggiore, classe 1982, è un docente di musica presso la scuola primaria di Pantelleria, dove unisce rigore e creatività, nel quotidiano rapporto con l’infanzia.
Lo scrittore pantesco non è alla sua prima opera. Negli anni ha già pubblicato due raccolte poetiche: “Niente di importante” e una “Penna x amico“, grazie alle quali ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti.
Le note strane” è un romanzo autobiografico: in viaggio intimistico tra fragilità ed ironia, attraversando il confine spesso sottile tra disperazione e gioia, risa e pianto.

Con il delicato contributo musicale di Maria Bernardo, si profila un piacevole pomeriggio letterario, al caldo e tra “degustatori” di libri.

L’ingresso è libero

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Cultura

I racconti del vecchio marinaio di Pantelleria: Il rito antico della dragunera

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Quel giorno lasciai gli scogli di San Leonardo più presto del solito, mentre i miei amici erano ancora a mollo a mare, in un’acqua trasparente e azzurrina come solo il mare di Pantelleria sa esserlo. Mi soffermai ancora una volta a leggere le scritte multicolori che rendevano meno triste il vecchio bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. L’amore di sempre: “ti voglio bene, “un cuore solo”, “ti amerò per sempre” precedute da un nome femminile e tante altre scritte, eredità amorose di generazioni di giovani panteschi. Una però faceva a pugni con tutte le altre, “Mariuccia buttana”. Doveva essere stato davvero un brutto tradimento, per bollarlo con un marchio di fuoco e per tramandarlo così ai posteri.

Giunsi sulla banchina e lo vidi seduto sulla solita bitta di fronte al castello, la nuvola azzurrina del fumo della sua pipa gli conferiva una strana aureola di mistero. Avevo deciso di porgli alcune domande, ma appena mi vide cominciò a parlare con voce arrochita dal tabacco e dalla salsedine. “Il veliero Madonna di Trapani era un vero e proprio gioiello della marineria pantesca. Due alberi, bompresso lungo come una lancia, vele latine che sapevano piegarsi al vento, ma non alla paura. Patrun Vitu, il suo comandante, era un uomo di mare e di silenzi infiniti, con le mani dure come la nostra pietra lavica e gli occhi di un verde misterioso, che avevano visto tempeste e miracoli. Nelle sue mani il timone seguiva docilmente l’invisibile linea della rotta fissata.

Quel giorno, ero ancora picciotto ‘i varca, avevamo da diverse ore passatu l’isola di Ustica e puntavamo, con tutte le vele spiegate su Trapani, fermarci qui la notte e il giorno seguente tornare a Pantiddraria, dove dovevamo sbarcare delle merci comprate a Napoli. Il mar Tirreno sembrava quieto e il vento amico, ma ‘ogni marinaio sa che “Cu ventu e cu mari nun si fa cuntrattu” (Col vento e col mare non si fa contratto). Così all’improvviso il cielo cambiò.

Una linea nera si stese sull’orizzonte, e il vento cadde morto di colpo. I marinai si guardarono l’un l’altro muti e attoniti. Il capitano Vito salì sul ponte e scrutò quel cielo nerastro e la vide: una dragunera (tromba marina), la maledizione antica e rabbiosa per chi va per mare. Essa, sottile e affilata, scendeva dal cielo come il dito di dio marino irato, girando vorticosamente sull’acqua.

Il nostromo Turi colse l’ansia e il timore degli altri uomini dell’equipaggio e chiese a patrun Vitu di virare. Ma Vito no, non solo perché la cosa era impossibile per mancanza di vento, ma perché egli era uomo che accettava intrepido le sfide in mare. Lui conosceva lu ritu anticu, lo aveva visto fare

da suo nonno e da suo padre prima di lui. Aprì il baule sotto il timone e ne trasse un coltello d’ossidiana, nero come la notte e affilato come il silenzio che precede la burrasca. Poi disse deciso “Mantenete la rotta, non si fugge davanti alla dragunera. Si tagghia”.

Si diresse a prua e la sua figura alta e possente sembrò dominare le onde. Il vento intanto aveva ripreso a soffiare forte e impetuoso che a momenti gli strappava il berretto. La dragunera si avvicinava, ululando conne una magara. Vito attese, fermo, come nu parrinu davanti all’artari. Quando la coda della tromba marina fu a portata, egli disse vecchie parole che non si potevano intendere, poi tracciò con il coltello d’ossidiana una grande croce nell’aria e recitò a voce alta questa preghiera:

Nniputenza di lu Patri,
Sapienza di lu Figghiiu,
pi virtù di lu Spiritu Santu
e pi nnomu di Maria
sta cuda tagghiata sia

Un suono sordo, come un lamento, si levò dal mare. La vorticosa colonna d’acqua si dissolse e il cielo si aprì all’azzurro. Tutti noi marinai, increduli, guardavamo ammirati e a un tempo intimoriti il capitano come si guarda un uomo che ha parlato allora allora con gli spiriti. Vito tornò al timone, rimise il coltello di ossidiana nel baule e disse solo: “Adesso a casa”. Al tramonto del giorno dopo Pantelleria ci apparve all’orizzonte, nera e fiera e materna. Il Madonna di Trapani, come sempre, entrò in velocità nello stretto passaggio che dava al porto vecchio. Solo capitan Vito e qualche altro patrun si potevano permettere di sfidare la scogliera cartaginese semisommersa.

La voce del subitaneo taglio della dragunera si sparse, in un battibaleno, in tutte le contrade dell’isola e da quel giorno ogni marinaio pantesco che incrociava patrun Vitu lo salutava con rispetto misto ad ammirazione. Perché non tutti sanno tagghiare la coda a una tromba marina. E soprattutto non tutti hanno il coraggio di farlo”.

Il vecchio marinaio si tacque definitivamente.
Girò le spalle e si mise a guardare, assorto, il mare come aspettasse l’arrivo di qualcuno, intanto la nuvola azzurrina del fumo della pipa, che lo avvolgeva in tenui volute, gli conferiva un certo non so che di misterioso.

Orazio Ferrara


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