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Cultura

I cognomi dell’isola di Pantelleria / XXXI parte Da Ripolli a Rizzo

Redazione

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RIPOLLI In origine Ripol, Repol, Rapol. La provenienza è spagnola e sono militari all’atto dello sbarco nell’isola. Nel ‘500 numerosi Ripol vengono nominati negli atti riguardanti i reggimenti dei Tercios di Napoli. Blasone spagnolo della famiglia: Partido. Primero: en azur, tres barras, de oro; Segundo: en gules, una banda, de oro, engolada en dragantes, de sinople, retocados de oro, y en lo alto, una cruz de Santo Domingo. Bordura de gules con ocho aspas de oro (Partito. 1°: In azzurro, tre barre, di oro; 2°: In rosso, una banda, di oro, ingoiata en dragantes, di verde, ritoccata di oro, e in alto, una croce di Santo Domingo. Bordura di rosso con otto croci di oro).

Arma dei Ripoll di Valenza e di Maiorca (da cui con buone probabilità provengono quelli di Pantelleria): En campo de oro, un gallo de azur, con la cresta de gules, en actitud de romper a cantar (In campo d’oro, un gallo di azzurro, con la cresta di rosso, in attitudine di prorompere a cantare). Nella seconda metà del 1500 vive in Pantelleria Petri Hieronimo Ripoll, nato circa il 1570, che sposa tale Anna. Dalla coppia nasce nel 1595 Giàime o Jacob Ripoll, che poi contrae matrimonio con Melchiora o Melchiorra Ferreri in data 30 gennaio 1617.

Giacobo Ripoll e Melchiorra Ferreri generano: Agnese Ripoll (n. 1625 – m. 1695), andata in sposa il 22 luglio 1645 (sabato) a Diego Giglio, e Diego Ripoll, che il 1° maggio 1644 (domenica) sposa Caterina Talora. Da quest’ultima coppia nasce Giacomo Ripoll, che a sua volta contrae matrimonio con Giuseppa Silvia in data 8 agosto 1670 (venerdì). Il cognome nella versione attuale si ritrova nel battesimo del 7 settembre 1735 con tale Giuseppe Giacomo Ripolli. Nei primi decenni del ‘700 un don Salvatore Ripolli è arciprete e rettore della chiesa Matrice dell’isola.

RIZZO Cognome originario della Sicilia, ma prima ancora del Napoletano. E’ uno dei più vecchi in Pantelleria, riscontrandosi già nel ‘400 nella versione Rizu, Riczo. Blasone del ramo siciliano: Scudo vaiato d’oro e d’azzurro, col capo del primo caricato da un riccio al naturale, abbassato sotto altro capo d’ oro caricato da un’ aquila spiegata di nero, membrata, imbeccata e coronata d’oro. Intorno all’anno 1570 tale Salvatore Rizzo (n. ca 1550) contrae matrimonio in Pantelleria con certa Margherita. Da questa coppia nascono Giovanni Rizzo (n. ca 1575) e Salvatore Rizzo (n. ca 1580).

Giovanni Rizzo si sposa nel 1595 con Angela, da cui ha Francesco Rizzo, Nicolò Rizzo (sposato il 4 giugno 1623, domenica, con Francesca Delfino) e Andrea Rizzo (sposato l’8 gennaio 1633, sabato, con Antonia Garsia). Salvatore Rizzo contrae matrimonio il 10 ottobre 1604 (domenica) con Antonia Romano, da cui nasce Leonardo Rizzo, che in seguito sposa il 7 ottobre 1628 (sabato) Anna Sana. Da quest’ultimi il 20 gennaio 1631 (lunedì) nasce Pietro Rizzo, che successivamente sposa il 5 agosto 1654 (mercoledì) Augusta Gabriele, nata il 3 ottobre 1637 (sabato) da Antonio Gabriele e Caterina Stuppa. Da Pietro Rizzo e Augusta Gabriele nascono: Rosa Rizzo (1655-1734), sposata il 30 giugno 1695 (giovedì) con Antonio Morana; Francesca Rizzo, sposata nel 1680, con Giovanni Casano 1655; Giombattista Rizzo, sposato il 9 giugno 1697 (domenica) con Maria Lo Pinto, da cui Pietro Rizzo e Rosa Rizzo.

(31 – continua)

Foto: Arma dei Rizzo

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Cultura

La Ruota nella Terra di San Paolo: un trovatello a Solarino nel 1820

Laura Liistro

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Nel pomeriggio del 24 luglio 1820, alle ore sedici, nella piccola comunità di San Paolo Solarino, allora ancora feudo dei Requesens e lontana dall’essere il Comune autonomo che diventerà solo decenni più tardi, veniva registrato un episodio che, pur nella sua drammatica ordinarietà, ci restituisce un vivido spaccato della società siciliana nel pieno dell’epoca borbonica.

Il ritrovamento nella notte

Estratto documento pagina 1 in cui si descrive il ritrovamento

Secondo quanto riportato negli atti civili dal don Giuseppe Miano, Eletto di Polizia e Ufficiale dello Stato Civile, nella notte tra il 23 e il 24 luglio, alle ore due, la campanella posta accanto alla ruota dell’Annunziata, presso la Casa dei Proietti in una strada del borgo al n. 29, squillò nel silenzio della notte.
Quel suono, breve e discreto, era tutto ciò che restava del gesto anonimo di chi, nell’oscurità, aveva deposto un neonato, incapace — o impossibilitato — di occuparsene.
La prima a intervenire fu Maria Sbrinsi, quarant’anni, impiegata nella Casa dei Proietti, che insieme al “Parrucu” Don Antonino De Benedittis, figura religiosa e assistenziale di riferimento, trovò il bambino “involuto in alcuni pannolini”, ma “senza alcun segno apparente sul corpo”.
Nessuna medaglietta, nessun nastro diviso in due, nessun biglietto: nessun indizio di una possibile futura rivendicazione materna.
Un trovatello anonimo, consegnato al destino.
Come prevedeva la consuetudine — e la paura di una mortalità infantile altissima — il neonato fu battezzato lo stesso giorno da Don Antonino De Benedittis, che gli diede il nome di Concetto.
Un nuovo nome per una nuova vita, almeno nelle intenzioni delle istituzioni assistenziali dell’epoca.

Solarino nel 1820: una ruota che gira tra povertà e fede

Nel 1820 Solarino era ancora Terra di San Paolo, parte del feudo dei Requesens: un piccolo centro rurale, dipendente ecclesiasticamente e amministrativamente da Siracusa, lontano dalle trasformazioni che investivano i grandi centri dell’isola e, soprattutto, distante dai moti rivoluzionari che proprio in quell’anno scuotevano il Regno delle Due Sicilie.
La Casa dei Proietti dell’Annunziata costituiva uno dei rari presidi di assistenza per i neonati abbandonati, inserita nella più ampia rete di istituzioni caritative siciliane sviluppatesi tra XVI e XVIII secolo.
La ruota, dispositivo semplice ma cruciale, garantiva l’anonimato a chi non poteva rivelare la propria identità e offriva ai bambini una possibilità di sopravvivenza altrimenti negata.
Una volta registrato, il piccolo Concetto veniva affidato — come stabiliva la normativa borbonica — a una nutrice, pagata con una mesata in tarì, incaricata di allattarlo e crescerlo fino ai cinque anni. Solarino, non essendo ancora Comune, dipendeva per questi oneri dall’amministrazione superiore, mentre il tessuto sociale locale contribuiva spesso in modo informale all’accudimento dei bambini.
Trascorsa la prima infanzia, come molti altri proietti maschi, Concetto sarebbe stato avviato al lavoro presso artigiani o contadini, in un percorso che univa assistenza, controllo sociale e necessità economiche.

Una memoria che riaffiora

Estratto documento Nota Lato pagina in cui si dichiara battezzato il “trovatello “ con il nome Concetto

L’atto del 24 luglio 1820 è molto più di una semplice registrazione amministrativa.
È una finestra su un mondo in cui fede, povertà, solidarietà e norme borboniche si intrecciavano nella gestione dei più fragili.
Il pianto del neonato Concetto — raccolto dalla ruota dell’Annunziata nella notte dei moti siciliani — è una delle tante voci che emergono dalla storia silenziosa della Terra di San Paolo.
Un episodio minore solo in apparenza: un frammento prezioso del vissuto collettivo, che ricorda quanto profonde siano le radici della cura, dell’abbandono e della misericordia nella comunità solarinese.
Rileggendo oggi quell’episodio, emerge quanto certe problematiche sociali, pur mutate nelle forme, restino purtroppo attuali.
L’abbandono dei neonati, allora affidato a una ruota discreta e protetta, oggi si manifesta in contesti drammatici e pericolosi: nei cassonetti, nei campi o in luoghi isolati, con rischi spesso mortali. La memoria di Concetto e della Casa dei Proietti ci ricorda che la soluzione non può essere solo l’atto di pietà, ma la costruzione di sistemi di protezione chiari, accessibili e sicuri, capaci di garantire dignità e vita ai più fragili.
Se la società odierna riuscisse a ripensare la cura dell’infanzia con la stessa attenzione, ma con strumenti moderni e coordinati — educazione, sostegno economico, punti di accoglienza sicuri — molte tragedie potrebbero essere prevenute.
In questo senso, la ruota dell’Annunziata non è solo un reperto del passato, ma un monito: la civiltà si misura dalla capacità di proteggere chi non ha voce, ieri come oggi.

 Laura Liistro

Fonte storica
Questa ricostruzione è tratta da un documento originale conservato presso l’Archivio Storico di Siracusa
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Cultura

Pantelleria, Ministero di Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi: 21 dicembre con il Vescovo

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In Chiesa Matrice Ss Salvatore, domenica 21 dicembre sarò una giornata particolare per la comunità strettamente religiosa di Pantelleria. 
Se, infatti, da una parte avremo l’anniversario dell’arrivo sull’isola delle Suore delle Poverelle, dall’atro durante la stessa celebrazione Eucaristica di ringraziamento delle ore 11:00, il nostro Vescovo Angelo Giurdanella conferirà il Ministero dell’Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi.

Per saperne di più: Suore delle Poverelle, 80 anni di professione a Pantelleria. Messa con il Vescovo Giurdanella

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Cultura

Pantelleria, Sold out per Antonino Maggiore e il suo libro “Le note stonate”

Direttore

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Presentazione con mini spettacolo per un pubblico di ogni età 

Sold out al Circolo Ogigia, sempre magistralmente capitanato da Florinda Valenzain occasione della presentazione del libro di Antonino Maggiore “Le note stonate”.
Il pomeriggio culturale Centro ha ottenuto un tale successo da superare le previsioni degli organizzatori.

Un pubblico così nutrito, sfidando il vento e il gelo, ha totalmente gremito la sala dello storico circolo di Pantelleria Centro. Persone di ogni età è accorsa a conoscere la nuova opera del musicista pantesco.
Moderata da Franca Zona, esperta e raffinata scrittrice, e da Giovanna Drago, insegnante sensibile e preparata, la presentazione ha alternato momenti di pura e intimistica commozione a quelli di leggerezza e sobrietà, esattamente come lo stesso libro, “Le note stonate” (Casa Editrice Menna – Avellino) fa e induce a fare durante la lettura.

Antonino Maggiore, presentato come uomo e come scrittore da Franca Zona, è  definito “maestro per passione”. “Le note stonate” viene  scritto in quattro giorni, o meglio notti. La stesura è nata come un “viaggio segreto” da condividere con poche persone. E così, inizialmente è stato: l’autore aveva mandato ciò che egli stesso ha definito un opuscolo, a Giovanna Drago la quale immediatamente inizia un’opera di convincimento alla pubblicazione che svolta quando la collega lo invita a riflettere sul ruolo degli insegnanti che devono essere anche degli educatori, in un contesto storico dove spicca la fragilità degli alunni.
Da qui, l’invio alla casa editrice e parte tutta questa nuova avventura da cui si appalesa la personalità di Antonino Maggiore. 
L’entusiastico approccio non solo alla lettura, ma all’ascolto del libro “Le note stonate” era palese ancor più pensando alle ondate di sentimenti e percezioni che da esso scaturiscono.

Per sorpresa del protagonista del pomeriggio letterario, un capannello di suoi alunni, ad un certo punto, lo ha circondato in un coro canoro, o meglio, in abbraccio canoro, affettuoso e leggiadro per la tenera età.
Un sipario, un piccolo ma dolce spettacolo che ha reso ancora più apprezzato l’evento de “Le note stonate”.

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