Cultura
I caduti originari da Pantelleria, dalla parte dei vinti
“Mi chiedo se l’Italia di oggi – e quindi noi tutti – non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà [Applausi]. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni”. Queste le parole pronunciate da un galantuomo qual è Luciano Violante, al momento del suo insediamento quale presidente della Camera dei Deputati nella tornata del 10 maggio 1996 (XIII Legislatura della Repubblica Italiana). Parole coraggiose e controcorrente per un uomo di sinistra (quella vera!) mai rinnegate. Anni dopo a un giornalista che gli chiedeva di quella parte del discorso “sui ragazzi di Salò”, alla perentoria domanda “Lo rifarebbe?”, rispose lapidariamente “Certo che lo rifarei. Fare politica significa sforzarsi di capire le ragioni degli avversari. Non guardarsi allo specchio”. Potremmo riportare anche le parole di Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, antifascista e partigiano vero, che il 14 ottobre 2001, davanti a un folto pubblico di ex partigiani disse “Questa unità nazionale che sentiamo essenziale per noi – scandì con voce ferma – quell’unità che, in fondo oggi, a mezzo secolo di distanza, dobbiamo pur dirlo, era il sentimento che animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse; che le fecero credendo di servire ugualmente l’onore della propria Patria”. Potremmo continuare, riportando al riguardo il pensiero di tante altre famose personalità, ma ci fermiamo. Questa premessa è stata ritenuta necessaria per evitare che la solita vestale integralista si stracciasse le vesti e gridasse al sacrilegio. La Storia, quella con la esse maiuscola, ha già parlato e deciso chi stava dalla parte “giusta” e chi da quella “sbagliata”. Purtroppo per noi italiani è sempre stato difficile fare i conti con la nostra Storia e avere una memoria condivisa. Pensate che ancora
non abbiamo chiuso i conti con il periodo post-unitario e si parla ancora di necessaria repressione del brigantaggio, mentre era soltanto una ribellione delle popolazioni meridionali ai metodi brutali di un vero e proprio esercito d’occupazione, qual era quello Piemontese. Certo l’Unità d’Italia era nell’ordine ineludibile delle cose da farsi, ma non in quel modo, con quella Malaunità che portò a massacri indiscriminati nell’ordine di decine di migliaia di vittime, a innumerevoli paesi devastati e incendiati, a stupri di massa e infine costrinse centinaia di migliaia di meridionali sulla triste strada dell’emigrazione. E quella ribellione “giusta”, o almeno da capire, ancora la chiamano brigantaggio nei nostri libri di testo per la scuola! Figuratevi quindi se abbiamo chiuso i conti e abbiamo una memoria condivisa su pagine di storia a noi più vicine. Si ha addirittura terrore di sfogliarle. Una di queste è sui “ragazzi di Salò”, eppure sono passati più di 75 anni. E noi, a costo di far arrabbiare qualcuno, abbiamo deciso di ricordare ai Panteschi questi caduti dalla parte dei “vinti”. Probabilmente il gruppo di Panteschi che nel 1943 scelse Salò, ovvero la Repubblica Sociale Italiana, non fu un numero esiguo, almeno dalle tracce che abbiamo trovato. Dei caduti ne abbiamo trovato, per il momento, cinque. Escluso uno, che all’epoca aveva 44 anni, gli altri sono tutti giovani che vanno dai 18 ai 25 anni e, stranamente, ben tre portano lo stesso cognome e nome, quello di Valenza Giovanni (allo stato delle ricerche non sappiamo se erano parenti tra di loro, ma propendiamo di sì). Cominciamo col più giovane tale Andreani Marcello di Ettore, nato a Pantelleria il 28 luglio 1926. Si era arruolato nella X MAS di Junio Valerio Borghese e militava, quale marò col grado di Sotto Capo, nel famoso battaglione Barbarigo, costituito a La Spezia nel novembre 1943. Cadeva con le armi in pugno, combattendo contro gli americani sul fronte di Nettuno. Era la domenica del 7 maggio 1944 e Marcello Andreani aveva solo 18 anni. Il suo corpo venne sepolto presso l’Abbazia di Valvisciolo, in provincia di Latina. Greco Concetto di Domenico è il caduto più anziano, avendo al momento della sua morte 44 anni. Era nato a Pantelleria il 2 dicembre 1900 ed era un appuntato della I Legione della Guardia di Finanza repubblicana, di stanza a La Spezia. Moriva, in quest’ultima città, sotto uno dei periodici e pesanti bombardamenti anglo-americani in data 10 aprile 1944. Valenza Giovan Battista di Giovanni era nato a Pantelleria il 29 luglio 1919. Anch’egli si era arruolato nella X MAS di Borghese ed era stato imbarcato, in qualità di marò Sotto Capo, sul Mas 562. Questo Mas, dopo aver operato prima nel Canale di Sicilia e poi nel Tirreno, al momento dell’armistizio del ’43 era stato catturato dai tedeschi a Voltri (Genova). Successivamente veniva ceduto alla marina repubblicana di Salò. Giovan Battista Valenza trovò la morte in combattimento, allorché il Mas 562, su cui era imbarcato, nella notte tra il 30 giugno e il 1 luglio 1944 tentò di violare la rada di Portoferraio in mani
americane. A contrastare il raid del Mas italiano intervennero due PT Boat (le Patrol Torpedo 306 e 308) e una T Boat (la Transport 309) americane. Il tragico epilogo per il naviglio italiano era scontato, considerata l’evidente disparità delle forze contrapposte. Al momento della morte Giovan Battista aveva 25 anni. Valenza Giovanni di Salvatore, nato a Pantelleria il 13 dicembre 1919, era un 2° Capo della X MAS, in forza al 21° Battaglione marò Scirè (personale proveniente in prevalenza dai sommergibilisti). Nel marzo del 1945 faceva parte del piccolo presidio repubblicano (32 accasermati) di Quarna di Sopra sulle montagne sovrastanti il lago d’Orta in Val d’Ossola. Nella notte sul 13 marzo 1945 la Brigata partigiana Moscatelli attaccò il presidio e ne ebbe ragione dopo un’ora di aspro combattimento. Privati delle armi, tutti i marò della X MAS furono poi rimandati liberi, ad eccezione dei loro sottufficiali: Giacomo Cichello di Zungri (Vibo Valentia), Carlo Alberto Mazzei di Livorno, Mario Silvestri di Ficulle (Terni) e Giovanni Valenza di Pantelleria. Unitamente a quest’ultimi furono trattenuti quali prigionieri tutte le Camicie Nere del presidio, anche quelle gravemente ferite. La faticosa marcia dei prigionieri lungo le impervie montagne, che circondano il lago d’Orta, durò ben due giorni, ma giunti a Boleto, proprio nei pressi del santuario della Madonna del Sasso, furono tutti sommariamente uccisi. I loro corpi vennero poi sepolti in una fossa comune nel luogo stesso della morte. Erano le ore 17:30 del 15 marzo 1945, come si evince dalla documentazione e testimonianza di un parroco del luogo. Valenza Giovanni di Salvatore, nato a Pantelleria il 27 febbraio 1921, era un Sotto Capo della Marina Repubblicana di Salò ed era imbarcato sulla corvetta Cervo (UJ 6086). Durante una missione di guerra, in data 9/10 novembre 1944, il dragamine, con tutti i suoi 32 uomini di equipaggio, andò perduto nel mare Adriatico al largo di Grado (GO). A tutt’oggi s’ignorano le vere cause dell’affondamento: un violento fortunale o l’urto con una mina.
Orazio Ferrara
Foto: spilla del Battaglione Barbarigo
Cultura
Pantelleria, I racconti del vecchio marinaio pantesco
In viaggio con patrun Vito
Il sole scendeva lento sul porto vecchio di Pantelleria, tingendo di rosso scuro le pietre di lava delle parate difensive del castello a guardia sempiterna dello specchio di mare antistante. Era un pomeriggio inoltrato di uno dei primi anni Sessanta e io, curioso come sempre di cose di mare, mi fermai ad osservare un vecchio marinaio seduto, tranquillo e silenzioso, su una bitta della banchina.
Poteva avere sui settant’anni e la salsedine e il maestrale di tutti quegli anni gli avevano modellato il viso come una fitta e intricata ragnatela, che non metteva affatto repulsione, anzi lo rendeva del tutto simpatico, facendomi subito riandare con la mente ai vecchi marinai di Salgari, i cui romanzi di mare in quel tempo erano una delle mie letture preferite. Il vecchio marinaio era intento a battere con forti colpi, ripetutamente. la sua pipa sulla suola di una scarpa, ma a me sembrò che non volesse scrollarsi soltanto della cenere, piuttosto dei pensieri molesti, carico gravoso e ineludibile che ti regala la vecchiaia. Alla mia domanda se avesse mai fatto parte di un equipaggio di un veliero pantesco dei tempi andati, alzò lo sguardo tra il meravigliato e l’indispettito e con la pipa a mezz’aria.
Ma cosa poteva mai interessare a quel ragazzotto, che sembrava tornare allora allora da una giornata di mare passata tra gli scogli di punta San Leonardo, di un tempo ormai irrimediabilmente perduto? Poi parlò con voce roca come ghiaia che si muove sotto le onde del mare e disse: “Sugn’ statu prima picciotto ‘ì varca appoi marenaro”.
Dunque prima mozzo e poi marinaio, quindi una vita sul mare fin da giovanissimo Dette queste parole si tacque e caricò lentamente la pipa con del tabacco nero come la pece e l’accese. Sembrava che il colloquio fosse finito lì, quando riprese a parlare con quella sua voce roca, che sapeva di mare antico.
“Fici lu primu viaggiu da Pantiddraria a Napule ca varca ‘i patrun Vitu”. A questo punto, per il lettore che non intende bene il siciliano, continuo il racconto in italiano, salvo, per inciso, qualche espressione dialettale. “Allora ero picciotto ‘ì varca. Era il 1903, o forse il 1904, chi si nni ricorda cchiù e in quegli anni patron Vito era il capitano di veliero più sperto di Pantelleria e dopo ‘u Signuri nostru era il mare ad avere tutta la sua devozione.
In navigazione, pur con tutta la sua indiscussa bravura in cose di mare, non era mai arrogante perché soleva ripetere “Cu mari e cu venti ‘un tti fa valenti” (Con il mare e con i venti non essere arrogante o peggio spavaldo).
“Il veliero di patrun Vito non era grande, ma era solido e forte come una pietra nivura della nostra isola. Si chiamava “Madonna di Trapani” ed era stato varato nei cantieri di Amalfi nell’anno 1890, se non ricordo male. Ha navigato, attrezzato poi con un motore, fino alla vigilia dell’ultima guerra.
Ai miei tempi andava solo a vela. Aveva due alberi e bompresso e dispiegava una velatura, che lo faceva filare dritto sul mare come una freccia. Allora le barche avevano ancora un’anima di tela, bianca come le ali di un angelo. Il giorno della partenza, che per me era l’inizio del primo viaggio per mare come picciotto, la stiva era piena zeppa fino all’orlo. I sacchi più pesanti erano lì, i capperi di Bommarino. Quelli che si mettono sotto sale, carnosi, quelli che danno sapore a tutto quel che mangi. E poi, le cassette, con la stoffa sopra per non farle scaldare, dell’uva passa più bella, quella della contrada di Grazia di Sopra. Seccata al sole nostro africano, dolce come il miele, la nostra Zibibbo, trasformata in oro, doveva arrivare a Napoli al più presto possibile, dove la gente danarosa la voleva per i loro dolci.
Patron Vito fu categorico: da Pantelleria a Napoli senza scali in porti intermedi. Se Dio vuole, in tre giorni. E così fu. Uscimmo dal porto con il vento buono, lasciandoci presto alle spalle ‘a petra ‘i fora. La brezza gonfiava la vela maestra come il petto di un galletto in amore. Sette, a volte otto nodi, in pieno giorno. Un trotto regolare. Potevi quasi sentirla, la barca che mangiava il mare, spinta solo da quelle tele spiegate e dalla bravura di Vito e del nostromo Turi.
Il capitano Vito non dormiva. Stava lì, con il timone in mano, a parlare con il vento e con le onde, a sentire l’odore del mare che cambiava. Dalla costa siciliana fino a che non vedevi altro che blu. Non voleva fermarsi. Non per Messina, non per Salerno. Doveva essere un viaggio diretto. Un viaggio cui dovevano vantarsi, al ritorno, tutti i marinai dell’equipaggio nelle lunghe serate invernali pantesche davanti a un buon bicchiere di vino passito. La vita a bordo era semplice: pane, cipolla e qualche sarda salata.
Il silenzio
Ma la cosa più bella era il silenzio. Solo lo scricchiolio del legno, il vento che fischiava nelle sartie e il suono delle onde che si aprivano, inchinandosi, sotto la prua. Per tre giorni e tre notti vedemmo solo l’orizzonte. Poi, all’alba del quarto giorno, quando il sole cominciava a spuntare, eccola. La sagoma grande, colorata, di Napoli, all’ombra del suo gigante nero, il Vesuvio.
Solo in quel momento patrun Vitu tirò un sospiro che sembrava quello del mare intero. Attraccammo, e il carico era perfetto. I capperi profumavano, l’uva passa era intatta. Era così, allora. L’abilità e il coraggio di un uomo di mare pantesco e i frutti della sua terra.
Oggi, ci sono i motori, e quella meravigliosa sensazione di andare per mare spinti solo dal vento di ‘u Signuri nostru … quella non la senti più”. E si tacque, batté più volte la pipa sulla suola della scarpa per scrollare la cenere e si perse, silenzioso, nei suoi pensieri antichi incrostati di salsedine.
Orazio Ferrara
Personaggi
E’ morta Ornella Vanoni, un’artista di grande di stile, simpatia e sagacia
“Io voglio vivere finchè do alla vita qualcosa”
Il mondo della musica perde una vera icona… “senza fine”
La voce tra le più imitate e seducenti della musica italiana si è spenta per sempre.
Ornella Vanoni è morta a 91 anni, nella sua casa di Milano, colpita da un arresto cardiocircolatorio. I soccorritori sono arrivati quando ormai era troppo tardi.
Classe ’34, con lei si chiude un sipario dello spettacolo senza tempo e senza repliche. L’artista, che aveva esordito nello spettacolo a teatro con Strehiler, non era solo una cantante, era un simbolo capace di attraversare epoche senza mai diventare fuori moda.
All’attivo si contano quasi settant’anni di carriera e oltre 55 milioni di dischi venduti, che hanno scolpito la sua voce nella memoria mondiale.
La personalità forte, caratterizzata spesso da sferzate pungenti, era dotata di grande intelligenza e capacità da riuscire a cantare sul palco duettando con giovani big della canzone italiana.
Negli ultimi anni era diventata la presenza fissa più attesa da Fabio Fazio, forse più della Littizzetto, che superava in simpatia e spontaneità.
Lo scorso giugno venne insignita della laurea honoris causa. Durante la cerimoni seppe manifestare la sua regale umiltà.
Parlando della morte, la cantante milanese così si è espressa “Io non voglio morire troppo grande. Io voglio vivere finchè alla vita do qualcosa e la vita mi dà. Il giorno in cui non dò più o non mi dà, io non voglio vivere.”
Ieri sera se ne è così come ha vissuto, con stile, senza clamore.
Di lei rimarranno le sue canzoni intramontabili, impresse addosso al suo pubblico come cicatrici dolci.
Cultura
Gran Galà delle Lady Chef – Prima Edizione Siciliana
Il 24 e 25 novembre, presso l’Hotel Casena dei Colli di Palermo, si svolgerà la prima edizione del Gran Galà delle Lady Chef, promosso dall’Unione Regionale Cuochi Siciliani
Un evento che intende valorizzare il ruolo delle donne chef, protagoniste della cucina professionale siciliana, e celebrare la loro competenza, dedizione e passione.
Il comparto Lady Chef, nato ventinove anni fa, ha come obiettivo quello di mettere in risalto la figura femminile nelle cucine e di contribuire al superamento del divario di genere. Il Gran Galà sarà dunque un’occasione di incontro e di festa, ma anche di riflessione e confronto, nel segno dello spirito associazionistico che anima l’Unione Regionale Cuochi Siciliani.
All’interno della manifestazione si terrà la selezione regionale del Concorso Cirio, che decreterà la Lady Chef siciliana chiamata a rappresentare la regione nella fase nazionale dei Campionati della Cucina Italiana a Rimini
“Una vera e propria festa – ha dichiarato la Coordinatrice Regionale, Chef Rosi Napoli – che vuole essere anche un momento di condivisione, riflessione e confronto”. Le Lady Chef provenienti da tutte le province siciliane si ritroveranno a Palermo per vivere insieme due giornate intense, all’insegna della collaborazione e della professionalità.
“Celebreremo la bellezza – ha concluso Chef Napoli – quella che rimane anche sui volti stanchi dopo ore di lavoro. Celebreremo i sacrifici, la competenza e la forza delle nostre meravigliose Lady Chef.”
A moderare l’evento sarà la food blogger e Lady Chef, Barbara Conti, Segretario Provinciale APCI di Ragusa, che accompagnerà il pubblico in questo viaggio di memoria, territorio e passione culinaria.
Per consultare il programma completo epotere prendere parte alla Cena di Gala, aperta a tutti, andate sulla pagina facebook Lady Chef Regione Sicilia
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Gianbattista+Del+Campo
17:10 - Febbraio 8, 2021 at 17:10
Sono perfettamente daccordo,su totto ciò che lei ha scritto,la storia va letta da ambo le parti,il sapere solo ciò che i “vincitori” ci dicono porta ad una errata visione di periodi che hanno segnato intere generazioni. Dalla “mala unità” ,che io definirei piuttosto un invasione di ladri e assassini visto come hanno ridotto la nostra terra,a quei ragazzi e non solo che scelsero per il loro “Amor di Patria” di continuare la guerra contro gli alleati,e non dobbiamo dimenticare che la X del principe Borghese fu impegnata sopratutto ad evitare che i titini yugoslavi avanzassero oltre al dovuto (facendo un favore anche agli alleati) tant’è che quelli che si arresero furono tutti passati per le armi.
Le scelte si fanno nella vita e il giudicarle non spetta certo a noi. La storia va studiata senza discriminazioni.