Cultura
San Vito Lo Capo: è palermitano uno dei finalisti del Campionato italiano di Cous Cous Conad
Lo sfidante, Stefano Zamboni, è di Rovigo
Stasera la finale e, alle 22, il concerto gratuito dei Tarantolati Di Tricarico
Domani Lidia Schillaci e la Women Orchestra omaggiano Lucio Dalla in un recital
Sono il palermitano Benedetto Di Lorenzo, che lavora come capo partita al Blu Restaurant e Lounge a Locarno, in Svizzera, e il veneto Stefano Zamboni, chef consulente del gruppo Alto Adriatiko a Rosolina (Ro) i due chef finalisti del Campionato italiano di cous cous Conad, svolto nell’ambito del Cous Cous Fest (15-24 settembre a San Vito Lo Capo) che stasera, sabato 16 settembre, si affronteranno nella gara finale per la conquista del titolo. Di Lorenzo, classe 1993, gareggia con la ricetta dal titolo “Rientro in Sicilia”, un cous cous bagnato con un brodo dashi allo zafferano e a base di sashimi di tonno, bisque di gambero rosso di Mazara, capperi di Pantelleria in polvere e una jam di pomodoro a km 0, mentre Stefano Zamboni, di Rovigo, presenta un cous cous cosmopolita, a base, tra gli altri, di gamberi, muhammara, una crema al peperoncino, cetrioli e pomodori marinati e squacquerone di Romagna Dop.
Il vincitore farà parte della squadra italiana, capitanata dallo chef sanvitese Antonino Grammatico, in gara al Campionato del mondo di cous cous, al via da giovedì 21 settembre.
Il programma di domani, domenica 17 settembre
Spazio ai cooking show, con grandi chef sul palco che presenteranno le loro creazioni, naturalmente a base di cous cous. I visitatori potranno assaggiare le ricette, abbinate a vini siciliani, e dialogare con i protagonisti acquistando il ticket di 10 euro (sul sito www.couscousfest.it o alle biglietterie a San Vito Lo Capo). Alle ore 12 Leonardo La Sala del ristorante Divino di San Vito Lo Capo presenterà un Cous cous con juice di triglia, lampuga marinata al carrubo, pomodoro affumicato e aria alle mandorle in un appuntamento promosso dall’Assessorato regionale alle Attività Produttive. Alle ore 13:30 sul palco Rocco Pace del ristorante Crick e Crock di San Vito Lo Capo con le sue Cassatelle di cous cous, pesto di basilico e gambero rosa in guazzetto di mare, mentre alle ore 16 il talk and food “La valigia in cucina – In viaggio con Medici Senza Frontiere”, condotto da Tinto, con la partecipazione di Roberto Scaini, operatore umanitario di MSF e Abibata Konatè, presidente dell’Associazione Mamma Africa onlus. A conclusione cooking show con degustazione dello chef Issouf Sanogo che preparerà un attiekè della Costa d’Avorio con gamberi e zucchine. Alle 18:30 è il turno di Giovanni Torrente ed Enrico Figuccia che prepareranno una lasagna di cous cous con verdure e fonduta di formaggi siciliani. Il maestro Roberto Cascino presenterà invece un Cous cous dolce profumato alla citronella con frutta secca, salsa di biancomangiare e riduzione di Nero d’Avola profumato alla cannella. Si chiude, alle 20:30, con “Il ballo del Gattopardo”, un cous cous con sugo di aragosta, purea di piselli, petali di spigola marinata, olio al prosciutto, bottarga di uova di gallina e gelée di moscato a cura degli chef Francesco Bonomo e Michele Ciaccio.
Alle ore 22 sul palco in spiaggia la cantautrice palermitana Lidia Schillaci con l’Orchestra sinfonica Women Orchestra mette in scena il recital “Futura. Donne per Lucio”, un viaggio nella poetica rivoluzionaria di Lucio Dalla che vuole omaggiare uno dei più grandi cantautori italiani che quest’anno avrebbe compiuto 80 anni. A celebrarlo una formazione tutta al femminile che darà nuova vita alla poetica e alla musica di Dalla, in una versione del tutto inedita: la voce di Lidia Schillaci accompagnata dalla Women Orchestra, 20 musiciste guidate dalla direttrice Alessandra Pipitone.
Cultura
Le “sgrappolatrici” di Pantelleria sul Tg Sicilia in un servizio di Laura Spanò – V I D E O
C’erano Rosa, Anna, Anita, Lina e le tre Marie a raccontare Pantelleria nell’operazione dello sgrappolamento
Le preziose e stupende “sgrappolatrici” tornano sotto i riflettori.
Laura Spanò, attenta e sensibile giornalista del Tg Sicilia, ha intercettato una nostra pubblicazione relativa al lavoro delle donne pantesche anche nel campo della vendemmia e della vinificazione. Meglio ancora nella produzione del passito.
Il certosino lavoro, che contribuisce alla produzione di una delle eccellenze eno-gastronomiche dell’isola, non è passato inosservato e così le signore delle contrade di Khamma e Tracino tornano a raccontare il loro compito. Si tratta di una miscela fatta di pazienza, sapienza e amicizia.
C’erano Rosa, Anna, Anita, Lina e tre Marie a tessere l’antica usanza dello sgrappolamento degli acini di zibibbo appassiti.
La Spanò, nel suo mirabile lavoro dedicato a Pantelleria, racconta le fasi di una agricoltura eroica che non ha tempo nè prezzo.
Il servizio
Cultura
Pantelleria, al via la Novena dell’Immacolata. Calendario completo delle celebrazioni
La Chiesa Matrice di Pantelleria ha reso noto il calendario delle messe e celebrazioni religiose in prossimità dell’Immacolata Concezione.
NOVENA DELL’IMMACOLATA DAL 29 NOVEMBRE AL 7 DICEMBRE
- Madonna della Pace (Tracino) novena segue S. Messa – durante tutta la novena dalle ore 16:30 alle 17:00 disponibilità dei sacerdoti per le confessioni
- San Gaetano (Scauri) novena segue S. Messa SS.Salvatore novena segue S. Messa – orari vedi nello schema eguente:

Cultura
Pantelleria, I racconti del vecchio marinaio pantesco
In viaggio con patrun Vito
Il sole scendeva lento sul porto vecchio di Pantelleria, tingendo di rosso scuro le pietre di lava delle parate difensive del castello a guardia sempiterna dello specchio di mare antistante. Era un pomeriggio inoltrato di uno dei primi anni Sessanta e io, curioso come sempre di cose di mare, mi fermai ad osservare un vecchio marinaio seduto, tranquillo e silenzioso, su una bitta della banchina.
Poteva avere sui settant’anni e la salsedine e il maestrale di tutti quegli anni gli avevano modellato il viso come una fitta e intricata ragnatela, che non metteva affatto repulsione, anzi lo rendeva del tutto simpatico, facendomi subito riandare con la mente ai vecchi marinai di Salgari, i cui romanzi di mare in quel tempo erano una delle mie letture preferite. Il vecchio marinaio era intento a battere con forti colpi, ripetutamente. la sua pipa sulla suola di una scarpa, ma a me sembrò che non volesse scrollarsi soltanto della cenere, piuttosto dei pensieri molesti, carico gravoso e ineludibile che ti regala la vecchiaia. Alla mia domanda se avesse mai fatto parte di un equipaggio di un veliero pantesco dei tempi andati, alzò lo sguardo tra il meravigliato e l’indispettito e con la pipa a mezz’aria.
Ma cosa poteva mai interessare a quel ragazzotto, che sembrava tornare allora allora da una giornata di mare passata tra gli scogli di punta San Leonardo, di un tempo ormai irrimediabilmente perduto? Poi parlò con voce roca come ghiaia che si muove sotto le onde del mare e disse: “Sugn’ statu prima picciotto ‘ì varca appoi marenaro”.
Dunque prima mozzo e poi marinaio, quindi una vita sul mare fin da giovanissimo Dette queste parole si tacque e caricò lentamente la pipa con del tabacco nero come la pece e l’accese. Sembrava che il colloquio fosse finito lì, quando riprese a parlare con quella sua voce roca, che sapeva di mare antico.
“Fici lu primu viaggiu da Pantiddraria a Napule ca varca ‘i patrun Vitu”. A questo punto, per il lettore che non intende bene il siciliano, continuo il racconto in italiano, salvo, per inciso, qualche espressione dialettale. “Allora ero picciotto ‘ì varca. Era il 1903, o forse il 1904, chi si nni ricorda cchiù e in quegli anni patron Vito era il capitano di veliero più sperto di Pantelleria e dopo ‘u Signuri nostru era il mare ad avere tutta la sua devozione.
In navigazione, pur con tutta la sua indiscussa bravura in cose di mare, non era mai arrogante perché soleva ripetere “Cu mari e cu venti ‘un tti fa valenti” (Con il mare e con i venti non essere arrogante o peggio spavaldo).
“Il veliero di patrun Vito non era grande, ma era solido e forte come una pietra nivura della nostra isola. Si chiamava “Madonna di Trapani” ed era stato varato nei cantieri di Amalfi nell’anno 1890, se non ricordo male. Ha navigato, attrezzato poi con un motore, fino alla vigilia dell’ultima guerra.
Ai miei tempi andava solo a vela. Aveva due alberi e bompresso e dispiegava una velatura, che lo faceva filare dritto sul mare come una freccia. Allora le barche avevano ancora un’anima di tela, bianca come le ali di un angelo. Il giorno della partenza, che per me era l’inizio del primo viaggio per mare come picciotto, la stiva era piena zeppa fino all’orlo. I sacchi più pesanti erano lì, i capperi di Bommarino. Quelli che si mettono sotto sale, carnosi, quelli che danno sapore a tutto quel che mangi. E poi, le cassette, con la stoffa sopra per non farle scaldare, dell’uva passa più bella, quella della contrada di Grazia di Sopra. Seccata al sole nostro africano, dolce come il miele, la nostra Zibibbo, trasformata in oro, doveva arrivare a Napoli al più presto possibile, dove la gente danarosa la voleva per i loro dolci.
Patron Vito fu categorico: da Pantelleria a Napoli senza scali in porti intermedi. Se Dio vuole, in tre giorni. E così fu. Uscimmo dal porto con il vento buono, lasciandoci presto alle spalle ‘a petra ‘i fora. La brezza gonfiava la vela maestra come il petto di un galletto in amore. Sette, a volte otto nodi, in pieno giorno. Un trotto regolare. Potevi quasi sentirla, la barca che mangiava il mare, spinta solo da quelle tele spiegate e dalla bravura di Vito e del nostromo Turi.
Il capitano Vito non dormiva. Stava lì, con il timone in mano, a parlare con il vento e con le onde, a sentire l’odore del mare che cambiava. Dalla costa siciliana fino a che non vedevi altro che blu. Non voleva fermarsi. Non per Messina, non per Salerno. Doveva essere un viaggio diretto. Un viaggio cui dovevano vantarsi, al ritorno, tutti i marinai dell’equipaggio nelle lunghe serate invernali pantesche davanti a un buon bicchiere di vino passito. La vita a bordo era semplice: pane, cipolla e qualche sarda salata.
Il silenzio
Ma la cosa più bella era il silenzio. Solo lo scricchiolio del legno, il vento che fischiava nelle sartie e il suono delle onde che si aprivano, inchinandosi, sotto la prua. Per tre giorni e tre notti vedemmo solo l’orizzonte. Poi, all’alba del quarto giorno, quando il sole cominciava a spuntare, eccola. La sagoma grande, colorata, di Napoli, all’ombra del suo gigante nero, il Vesuvio.
Solo in quel momento patrun Vitu tirò un sospiro che sembrava quello del mare intero. Attraccammo, e il carico era perfetto. I capperi profumavano, l’uva passa era intatta. Era così, allora. L’abilità e il coraggio di un uomo di mare pantesco e i frutti della sua terra.
Oggi, ci sono i motori, e quella meravigliosa sensazione di andare per mare spinti solo dal vento di ‘u Signuri nostru … quella non la senti più”. E si tacque, batté più volte la pipa sulla suola della scarpa per scrollare la cenere e si perse, silenzioso, nei suoi pensieri antichi incrostati di salsedine.
Orazio Ferrara
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