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Cultura

Pantelleria – Quei giorni di guerra: “Mi portarono in Tunisia dove venni consegnato ai francesi”

Redazione

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a cura di Orazio Ferrara

Dal libro di Giuseppe Ferrara “Memorie di un 2° Capo della Regia Marina” (Aviani Editore, 2011)

Nell’isola facevano spesso scalo gli aerei tedeschi diretti in Africa settentrionale, fu proprio l’equipaggio di uno Junker a regalarmi un bel cane lupo femmina di nome Iole. Il cane assai affettuoso ed ubbidiente con me e mia moglie, con gli altri dimostrava un carattere non proprio docile; tanto che una volta, stando con mio suocero, sgozzò una capra e mio suocero fu costretto a pagare il danno al proprietario.

Nell’inverno ’42 – ’43 le notizie dai vari fronti non erano favorevoli per le nostre armi, specialmente sul fronte nord-africano, quello a noi più vicino.

Attacco e resa di una piazzaforte In Africa le cose continuavano a non andare bene per i nostri soldati, impegnati nella sanguinosa battaglia di Tunisia. Quando poi alla fine di aprile del ’43 vidi arrivare, nel porto di Pantelleria, delle motozattere stracariche di soldati tedeschi, che sostavano il tempo necessario per il rifornimento della nafta e subito ripartivano per la Sicilia, capii che era in corso la ritirata e che presto sarebbe toccato a noi. Terminava la felice stagione dell’isola quale sentinella non combattente. La mattina di sabato 8 maggio 1943 non ero in servizio e mi trovavo sul tetto della nostra abitazione di via Trapani a preparare un gabbione per i colombi, di cui ero e sono un appassionato. All’improvviso sentii come un rombo di tuono continuo, che aumentava man mano d’intensità. Poi sbucarono dalla parte del mare: erano decine e decine di aerei; sembravano le nuvole nere di un temporale. Non scappai perché restai come pietrificato. In un attimo sorvolarono il paese per andare a sganciare il loro carico di bombe sull’aeroporto. Dalla mia posizione, mi sembrò di assistere ad una vera e propria eruzione vulcanica tanto fu l’intensità di quel bombardamento. Se quel giorno il Comando Alleato, invece dell’aeroporto, avesse dato ordine ai quadrimotori di bombardare Pantelleria centro, ci sarebbero stati in pochi minuti sei o settemila morti tra i civili. Quel primo attacco aereo fu come un segnale d’avvertimento. La gente abbandonò in massa il paese, rifugiandosi nelle case di campagna e nei molti ricoveri e gallerie, di cui l’isola era attrezzata. Da quel momento iniziò il calvario. Nei primissimi giorni saltò in aria la centrale elettrica e non avemmo mai più corrente.

Nei 35 giorni d’inferno fino al momento della resa, l’aviazione anglo-americana compì un totale di circa 140 incursioni, ed ognuna era effettuata da centinaia di aerei, cioè una media di 4 incursioni al giorno, senza contare gli attacchi dal mare da parte della flotta inglese. Sapremo a guerra finita che tra bombe d’aerei e granate navali furono lanciate su Pantelleria circa 20mila tonnellate d’esplosivo, una media di 1 tonnellata a testa per abitante, sia civile che militare, sia bambino che vecchio. Ancora oggi nelle accademie militari di tutto il mondo si studia la conquista di Pantelleria come il primo ed unico caso di una piazzaforte caduta per la sola azione dell’aeronautica.

Stare sotto un bombardamento senza poter far nulla, anche se si è riparati in un ricovero, è una cosa allucinante. Se poi i bombardamenti si ripetono nel corso della giornata, e ciò avviene per giorni e giorni, si rischia d’impazzire. Com’era impazzito il mio povero cane lupo Iole, che appena sentiva il rombo degli aerei prima mugolava, poi diventava furioso. Al deposito carburanti di Villa Silvia non ci restava che affidarci ai Santi, se una sola bomba l’avesse centrato, di noi sarebbero restati solo atomi sparsi. Eppure tra i marinai ai miei ordini non ci fu mai una lamentela, una protesta, compirono il loro dovere in silenzio fino all’ultimo giorno. Durante questi bombardamenti mio suocero, Salvatore Salsedo, ebbe praticamente distrutto l’intero patrimonio immobiliare. In macerie la bella palazzina a due piani in corso Vittorio Emanuele, così pure in macerie quella ad un piano di via Giovanni Bovio e il negozio di via Trapani. Diroccata nella rampa di scale la palazzina di via Trapani, dove abitavamo. I miei suoceri, insieme con mia moglie e mia figlia, si erano rifugiati nei dammusi (case tipiche dell’isola) di contrada Grazia, dal bel nome arabo di Nauvriccibab cioè valle dei mandorli in fiore. Infine non bastando le bombe, ci si misero anche i tedeschi, facendo saltare in aria con la dinamite i dammusi di Bukkuram, di proprietà di mia suocera Almanza Rosa, in quanto gli stessi erano stati adibiti a depositi di munizioni e non si voleva che cadessero nelle mani degli anglo-americani. In pochi giorni svanì nel nulla un patrimonio accumulato con il sudore di molte generazioni, Comunque i miei suoceri furono in buona compagnia, perché alla fine delle ostilità Pantelleria centro non esisteva più, erano state distrutte il 95% delle abitazioni. Una volta fui sorpreso durante un bombardamento nei pressi del cimitero e mi rifugiai lì dentro. Ebbi una visione agghiacciante: tombe scoperchiate, ossa sparse ovunque, perfino corpi. Era il risultato di un precedente attacco aereo che aveva colpito il luogo sacro. Neanche i morti trovarono pace in quei giorni d’inferno a Pantelleria. La vita che si conduceva allora, spesso saltando i pasti, senza dormire, con l’acqua razionata, sempre con la vita in pericolo, non si può descrivere adeguatamente, eppure non ci fu mai un moto di ribellione della popolazione, né sbandamento dei reparti militari.

Questo dato dovrebbe far riflettere sul silenzioso sacrificio di tutta quella gente, sacrificio sporcato da una resa, che ancora oggi presenta aspetti oscuri (tradimento?) mai chiariti.

Voglio solo ricordare che in quei giorni circolava, tra i nostri soldati una giaculatoria, che recitava così: ammiraglio Cesarano più inglese che italiano, ammiraglio Pavesi piuttosto che morti meglio arresi. Sono convinto che se l’ammiraglio Gino Pavesi avesse dato l’ordine della resistenza ad oltranza, i reparti si sarebbero comportati bene. Infatti la voglia di resistere c’era, l’avevano dimostrato le nostre batterie che, con pezzi antiquati della prima guerra mondiale piazzati allo scoperto, avevano abbattuto più di una trentina di aerei anglo-americani. Anche se avevano pagato a caro prezzo il loro coraggio. La batteria di Punta Croce, comandata da Bertucci, fu colpita in pieno da una bomba da 500 chili. Degli uomini, con cui avevo tante volte chiacchierato nelle lunghe sere d’estate, si trovarono solo brandelli dei corpi. La batteria di Cuddie (colline) Rosse, che ne aveva mandato giù più d’uno di apparecchi nemici, fu colpita anch’essa; una bomba centrò poi l’entrata del ricovero dove si erano rifugiati gli addetti. Seppelliti vivi per ore, tra essi mio cognato Agostino Salsedo della MILMART, si salvarono scavando al buio con le mani e le baionette. Agostino restò senza voce per giorni. Anche le altre batterie pagarono il loro tributo di sangue, una trentina di morti ed un centinaio di feriti, in maggioranza camicie nere della MILMART.

Negli ultimi giorni, in qualche incursione, invece di bombe piovvero migliaia e migliaia di manifestini, erano firmati dal generale Spaatz che ci invitava alla resa senza condizioni. Usammo quei manifestini per carta igienica. Intanto tutte le donne e i bambini, che si erano rifugiati nei ricoveri dell’aeroporto, vennero fatti evacuare con gli ultimi voli in Sicilia. Sembrò che ci si preparasse alla resistenza ad oltranza. Certo avemmo paura, ma stringemmo lo stesso i denti. Invece fu ordinata la resa dell’isola da parte dell’ammiraglio Pavesi. Era l’11 giugno del 1943. Di tutta la questione della resa e se ci sia stato tradimento o meno non voglio parlare. Dopo la guerra seguii con attenzione il processo intentato da Pavesi ed altri ammiragli contro lo storico Trizzino, che li aveva accusati di tradimento nel suo libro “Navi e poltrone “.

Trizzino fu assolto. La mattina dell’11 giugno ero in servizio al deposito carburanti di Villa Silvia. Mia moglie con la piccola José si era rifugiata in una galleria vicina. A questo punto mi sembra più opportuno riportare stralci dell’intervista, fattami da un inviato speciale del Giornale di Montanelli, in occasione di un ampio servizio per il cinquantenario della caduta di Pantelleria pubblicato sul numero dell’11 giugno 1993: “… dai muri circostanti, dalle rovine, hanno fatto capolino venti, trenta inglesi che ci tenevano sotto mira con i Thompson imbracciati. Uno di loro mi ha gettato a terra il berretto con la canna del fucile e allora non ho retto all’affronto e ho pianto… fuori dalla galleria ritrovai mia moglie – prosegue Ferrara – e un ufficiale australiano mi si avvicinò interpellandomi in dialetto italo-napoletano “Sei tu il capo?” “Sì” “Quanti uomini hai?” “Venti” “Perché vuoi andare a soffrire in prigionia? Ti teniamo qui e continuerai a fare quello che hai sempre fatto, dimmi dove sono ubicati depositi e materiali, collabora con noi e resterai accanto a tua moglie” “Sei un ufficiale, ribattei, per chi fai la guerra?” rettificò la posizione e rispose “Per Sua Maestà Britannica” “E io per Vittorio Emanuele e con voi non ci resto”. Mi portarono in Tunisia dove venni consegnato ai francesi: fame, insulti, percosse, pidocchi…”.

Prigioniero dei Francesi Villa Silvia, la postazione militare in cui fui catturato dagli inglesi, non era molto lontana dal porto, per cui fui tra i primi prigionieri a lasciare l’isola di Pantelleria a bordo di una grossa motozattera. Era, ripeto, l’11 giugno del 1943 ed avevo 27 anni. Intanto mia moglie Tina, con in braccio mia figlia, nella grande confusione di quei momenti mi aveva perso di vista dopo il mio colloquio con l’ufficiale australiano e quindi mi cercava ancora affannosamente tra le lunghe file dei prigionieri, incolonnati in attesa dell’imbarco, chiedendo notizie ai miei colleghi. Un corrispondente di guerra inglese immortalò la scena con la sua macchina fotografica.

La foto fu poi pubblicata, con una breve nota, da una rivista inglese, che ebbi la fortuna di avere tra le mani in prigionia; tirai così un grosso sospiro di sollievo sulla sorte dei miei cari. Conservo gelosamente il ritaglio di quel giornale, così come conservo ancora un’immaginetta sgualcita della Madonna della Foce, che mi fu assai di conforto nei molti momenti neri di quel triste periodo. Nei tanti mesi di prigionia non ebbi mai notizie di mia moglie, né quest’ultima di me, malgrado tutti e due ci scrivessimo regolarmente tramite la Croce Rossa. La motozattera ci sbarcò sulla vicina costa tunisina e da lì raggiungemmo il “campo di transito” di Medjez el Bab all’interno della Tunisia, dove restammo, trattati bene dagli inglesi, per una ventina di giorni. Una mattina ci fu una specie di selezione ed un grosso contingente di prigionieri fu consegnato ai francesi; capitai con quest’ultimi. Era il 1° luglio 1943. Allora non sapevo ancora di essere stato sfortunato in quella conta. Ignoravo, come tutti gli altri, che esisteva tra i campi di prigionia degli Alleati una diversa gradazione di vivibilità, a secondo della nazione che ne aveva la giurisdizione.

Foto: Pantelleria1942. Giuseppe Ferrara con la moglie Caterina Salsedo e il cane Iole

Cultura

Pantelleria, ancora pochi giorni per partecipare al premio di poesia “Memorial Lillo di Bonsulton” 2025

Direttore

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Inviate i vostri elaborati. Ecco le regole e termini del bando 

Manca poco per la scadenza dei termini di partecipazione al Memorial Lillo di Bonsulton.
Il concorso di poesia è libero e aperto a tutti, secondo le seguenti categorie:

  1. Giovani (Scuola Primaria e Secondaria di 1° grado)
  2. Ragazzi/e  (Scuola Secondaria di 2° grado)
  3. Adulti (due gruppi: filo-poeti e poeti già affermati).

Ciascuna di esse può scegliere di partecipare secondo:

  • Sez. A (componimento originale in Lingua italiana)
  • Sez. B (componimento originale in Dialetto pantesco).

Scadenza bando

I componimenti dovranno pervenire entro la data del 10 luglio 2025, ai seguenti indirizzi:

  • CentroCulturalevgiamporcaro@pecimprese.it,
  • gabrieleannarita@gmail.com).

La premiazione

La premiazione avverrà presso il  suggestivo Castello di Pantelleria, dalle ore 20.00 di domenica 03 agosto 2025.

Il concorso, giunto alla sua terza edizione si sta consolidando negli anni ed è dedicato all’indimenticabile autore pantesco di adozione, Calogero Fucà, che per la sua contrada di residenza veniva chiamato e conosciuto come Lillo di Bonsulton.

Amico dei panteschi, amico della natura, amico della poesia, era capace di improvvisare strofe in vernacolo pantesco, sul momento in base alla situazione o al paesaggio.

Socio del Centro Culturale Giamporcaro, si è guadagnato stima e affetto da parte dell’isola e, naturalmente, di tutti i componenti della compagine, al punto da dedicargli uno spazio letterario tutto suo.
A tre anni dalla sua prematura scomparsa, lo ricordiamo ancora con simpatia e con lo stimolo verso la scrittura, il dialetto e la convivialità.

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Ambiente

In preparazione il programma “Pantesco Asinesco – Pantelleria Asinabile Festival” dal 5 al 12 ottobre

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L’asino pantesco, al centro di nuove attività escursionistiche, didattiche, educative, ricreative e terapeutiche a Pantelleria che saranno presentate in occasione di

Pantesco Asinesco – Pantelleria Asinabile Festival che si terrà sull’isola dal 5 al 12 ottobre.

A conclusione dell’importante percorso formativo promosso dall’Ente Parco Nazionale Isola di Pantelleria, in collaborazione con il Dipartimento di Sviluppo Rurale e Territoriale della Regione Siciliana e con soggetti specializzati nel settore come ARIA APERTA SNC, Pet Therapy Doctor Dog APS e l’Asineria di Reggio Emilia, che ha portato alla formazione di figure professionali con competenze specifiche per l’uso dell’animale nelle attività del Parco, sarà ora possibile mette in atto interventi mirati che vedono l’asino pantesco protagonista.

In via di definizione il programma che vedrà Una settimana insieme agli asini. Giornate dedicate alla relazione e all’interazione con l’animale con attività educative per un utilizzo rispettoso che coinvolge e appassiona. L’iniziativa rivolta alle scuole di ogni ordine grado, alle associazioni, agli enti, alla cittadinanza residente e ai turisti, è un’occasione per creare un evento unico che raccoglie tutti coloro che vogliono avvicinarsi a questo animale attraverso nuove forme di coesione e conoscenza. Passeggiate, attività di relazione, momenti di gioco, stage di attività assistita con animali (IAA), incontri, dibattiti e tanti altri momenti di condivisione insieme ai simpatici amici quattrozampe.

La preparazione dell’evento di ottobre vede in queste giornate i sopralluoghi degli organizzatori tra Pantelleria e l’allevamento di San Matteo Erice del Dipartimento dello Sviluppo Rurale e Territoriale.

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Cultura

La poesia “Vintimila picciriddi” di Ignazio Buttitta diventa canzone con Rosario Lisma e I Musicanti di Gregorio Caimi

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La poesia “Vintimila picciriddi” di Ignazio Buttitta diventa canzone con Rosario Lisma e I Musicanti di Gregorio Caimi

 
Da oggi è possibile ascoltare il brano sulle maggiori digital store, distribuito dall’etichetta romana Cultural Bridge in 240 Paesi. Prodotto dall’associazione culturale “I Musicanti”, con le musiche e l’arrangiamento di Gregorio Caimi, “Vintimila picciriddi è certamente uno dei testi che meglio rivela l’impegno sociale e civile di Ignazio Buttitta – commenta Ignazio E. Buttitta, nipote del poeta – e la sua visione della letteratura come strumento per rappresentare e trasformare il mondo. L’iniziativa di diffondere attraverso una canzone questo messaggio ha avuto subito l’approvazione della Fondazione Buttitta perché è un’occasione per far conoscere e rivendicare il messaggio di Ignazio Buttitta che oggi è di tragica attualità”
 
 
“Vintimila picciriddi/ nte quarteri di Palermu/ c’hannu un nomi e un cugnomi/ comu l’hannu i nostri figghi;/si mittissiru nte chiesi/quantu ancili sfardati/e nuàtri addinucchiuni/p’accanzari u paradisu”. Un’esortazione ad inginocchiarci innanzi all’infanzia tradita e ridotta alla miseria, alla fame, alla sofferenza.

Rosario Lisma

Così inizia “Vintimila picciriddi”, una delle poesie più toccanti di Ignazio Buttitta, contenuta nella raccolta “Io faccio il poeta”, pubblicata per la prima volta nel marzo del 1972 dalla casa editrice Feltrinelli, in cui dà voce ai bambini poveri dei quartieri popolari di Palermo, con eccezionale forza espressiva e impegno civile. Da oggi questa poesia è diventata canzone ed è possibile ascoltarla sulle maggiori digital store, in 240 Paesi, con la distribuzione dell’etichetta romana Cultural Bridge. Si tratta di un brano prodotto dall’associazione culturale “I Musicanti”, con le musiche e l’arrangiamento di Gregorio Caimi: “Ero nel mio studio e, mettendo ordine tra i miei appunti digitali: foto, video, lettere, testi, viaggi…, mi sono imbattuto nella video registrazione di un nostro spettacolo del 2017, al teatro Sollima di Marsala da l titolo: “I figli di Rosa e Ignazio”. Non lo ricordavo così, aprii il file e ritrovai le parole di Guglielmo Lentini, Rosario Lisma e le nostre musiche. Sia Rosa che Ignazio erano lì con noi, ma restai scosso ed emozionato alle parole di Rosario che recitava: “Vintimila picciriddi”, con il nostro accompagnamento. Questa poesia è attuale, dissi tra me e me. È bellissima. Chiamai subito Rosario e gli proposi di cantarla ma gli dissi: “prima di accettare ascolta quello che ti invio”. Mi richiamò entusiasta. Da lì l’idea di registrare il brano e creare uno spettacolo nuovo sulla Sicilia e sui siciliani. Il 12 agosto all’interno della rassegna ‘a Scurata, nello spettacolo “L’isola nell’isola” canteremo Ventimila picciriddi”.
 
Il brano, registrato e mixato da Antonio La Rosa e Gregorio Caimi, ha visto impegnati i musicisti: Dario Li Voti, Alessio Cordaro, Natale Montalto, Ceo Toscano, Gregorio Caimi con le voci di Debora Messina e Rosario Lisma: “ ”Vintimila picciriddi” è una poesia degli anni ’70, scritta da un combattente, in un tempo in cui l’intellettuale era in un certo senso anche politico – afferma Rosario Lisma –. Ignazio Buttitta è una sorta di Majakovskij siciliano: con i suoi scritti denunciava le iniquità e rivendicava la giustizia sociale. Io ho già letto e interpretato questa poesia alcuni anni fa, e avevo notato che era legata ad una temperie ben precisa, quella dell’autore. Tuttavia oggi purtroppo assistiamo ad una nuova epoca in cui la miseria e l’ingiustizia colpisce direttamente proprio i bambini. Oggi queste ingiustizie sono molto più vive rispetto agli anni passati. Ignazio Buttitta ha sempre usato la sua arte come arma contro il male sociale e per lui era inconcepibile il contrario, mi riferisco, ad esempio alla sua poesia “Un seculu di storia”, in cui se la prende con chi della Sicilia descrive solo le bellezze e il profumo di zagara, senza invece impegnarsi per renderla libera dai mali che la affliggono. Per me questa è la prima incisione di una canzone e sono felice che questo momento sia avvenuto con le parole di Ignazio Buttitta che torneranno a rivivere “live”, il 12 agosto nel teatro a mare “Pellegrino 1880” in occasione del concerto “L’isola nell’isola”, inscritto all’interno dell’VIII rassegna ‘a Scurata”.
 
Il brano ha ottenuto il sostegno della Fondazione Buttitta: “Vintimila picciriddi è certamente uno dei testi che meglio rivela l’impegno sociale e civile di Ignazio Buttitta – afferma il nipote del poeta, Ignazio E. Buttitta, antropologo e docente universitario nonché presidente della Fondazione – e la sua visione della letteratura come strumento per rappresentare e trasformare il mondo. Denuncia le condizioni di miseria, povertà e sofferenza che affliggono l’infanzia di Palermo. Questo testo è tornato fortemente attuale poiché oggi i molteplici conflitti in atto – mi riferisco a quanto accade in Palestina, in Ucraina, ma anche nei tanti Paesi di cui non sappiamo perché interessati da guerre che non vengono raccontate mediaticamente – vedono come vittime, a più livelli, tantissimi bambini. L’iniziativa di diffondere attraverso una canzone questo messaggio ha avuto subito l’approvazione della Fondazione Buttitta perché è un’occasione per far conoscere e rivendicare il messaggio di Ignazio Buttitta che oggi è di tragica attualità, sia in relazione alle dimensioni peculiari che racconta, che in una dimensione più generale”.
 
Ecco il link per ascoltare la canzone: https://open.spotify.com/album/5qiFlfmJsvdQ50EtmLyTJx?si=O1ix5HcwTQqCZu3h9f5

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