Cultura
Pantelleria, il Villaggio di Mursia con Maurizio Cattani (Parte prima)

Lo scorso 31 agosto, ha avuto inizio la nuova campagna di studi nel sito archeologico di Mursia. Si tratta di un abitato protostorico che, insieme ai “Sesi” (la sua necropoli), costituisce uno dei complessi archeologici più importanti e meglio conservati del Mediterraneo centrale. Un sito davvero eccezionale che, grazie all’elevato grado di conservazione, ha permesso fino a oggi di ottenere dati e informazioni molto dettagliate. Le attività di scavo e di studio fanno parte di un progetto lungimirante di ricerca e valorizzazione diretto all’inizio da Sebastiano Tusa, che vede la partecipazione della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani, la Soprintendenza del Mare, le Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e di Bologna in collaborazione di diversi studiosi e specialisti. Dal 2019 fa parte del Parco di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria.
Normalmente gli scavi si svolgono nei mesi di giugno e luglio ma quest’anno le difficoltà organizzative connesse all’emergenza Covid-19 hanno fatto slittare in avanti la campagna e dovuto far ripensare all’organizzazione del lavoro da svolgere in situ. “Quella che inizia oggi sarà una campagna tutta dedicata alla sistemazione dei materiali già rinvenuti più che al proseguimento dello scavo” dice Maurizio Cattani, direttore degli scavi e professore associato presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Ateneo emiliano.
In questa chiacchierata Cattani ci guida in un emozionante viaggio virtuale nella preistoria dell’isola, quando i suoi abitanti coltivavano il grano e davano ospitalità alle navi che attraversavano il Mediterraneo.
Professor Cattani può riassumere brevemente la storia del villaggio?
Certamente. Iniziamo col dire che il villaggio di Mursia è un abitato dell’antica e media età del Bronzo che si colloca tra il 1750 e il 1450 a.C. É un villaggio con caratteristiche simili ad altri insediamenti del Mediterraneo ma per altri versi è davvero unico. Pantelleria è infatti al centro del Mediterraneo e il villaggio di Mursia era un vero e proprio faro per chi navigava nel secondo millennio: i naviganti del tempo sapevano che qui avrebbero ricevuto ospitalità e che avrebbero potuto scambiare beni. Inoltre, il villaggio è perfettamente conservato, ha dimensioni abbastanza estese (circa 1 ettaro) e caratteristiche archeologiche davvero uniche: un muro di fortificazione monumentale e la relativa necropoli con grandi tombe a tumulo che testimoniano una società complessa che merita un’attenzione particolare. Dal punto di vista scientifico i casi in cui si possono indagare, in uno stesso luogo, sia il villaggio che le tombe sono infatti rarissimi. E il sito è anche eccezionalmente conservato: e questo vuol dire che dopo il periodo di vita dell’età del Bronzo l’area non è più stata occupata permettendo alle capanne di rimanere intatte. Nessuno è più intervenuto modificandone l’assetto originale. Gli scavi stanno proprio mettendo in luce questa caratteristica.
Come erano fatte le capanne?
Le capanne sono di forma ovale allungata distribuite in modo molto particolare: ad esempio nel settore B (indagato dall’Università di Bologna) abbiamo riscontrato tre file di capanne parallele tra loro che corrispondono ad un vero e proprio piano progettuale. Questo ci permette di ricostruire anche l’organizzazione sociale degli abitanti, cioè le relazioni tra famiglie e gruppi di famiglie. Una situazione davvero invidiabile. E nei Sesi (le loro tombe) abbiamo la precisa corrispondenza di quanto osservato nel villaggio. Facciamo l’esempio del Sese Grande che ha 12 corridoi che conducono a 12 celle. Si ritiene che ogni tomba appartenesse a una famiglia importante o a un gruppo di famiglie che aveva scelto di destinare il monumento alla sepoltura dei propri membri, un po’ come le cappelle funerarie dei nostri tempi.
Ma torniamo alle capanne. Queste sono ben organizzate e ben strutturate: il pavimento è posto a circa un metro sotto il piano di campagna, con un accesso fatto da una porta e una scaletta. Sono state ritrovate anche strutture legate alla vita quotidiana: focolari, piastre di cottura in cui venivano messe le braci ardenti, suppellettili e vari oggetti in ossidiana (vetro vulcanico), corno, osso e metallo.
Che forma avevano le capanne?
Questa è una domanda che mi viene fatta spesso. Siamo a Pantelleria e quindi si è orientati a pensare che le capanne avessero la forma di piccoli dammusi. Ma non c’è niente di più distante dalla realtà. Le capanne erano interrate, avevano un muro che poteva arrivare a 1,5 metri (in certi casi anche un po’ più alte) e la copertura era fatta di elementi vegetali, forse rivestita di terra per impermeabilizzare il tetto. Non abbiamo, infatti, mai riscontrato pietre nei crolli che avrebbero potuto far pensare alla tecnica costruttiva del dammuso storico. La larghezza delle capanne non superava mai 3,5 metri e quindi si pensa che gli abitanti avessero a disposizione pali di questa misura che permettevano di costruire una falda unica. All’interno delle capanne, infatti, non sono stati mai trovati pali centrali che potevano sostenere il trave di colmo per un doppio spiovente.
Da dove sono venuti gli abitanti del villaggio?
Grazie allo studio dei reperti ritrovati nel villaggio abbiamo potuto dare una “identità” alla comunità che viveva qui e ricostruirne tutte le attività quotidiane. In particolare, dallo studio delle ceramiche e dai confronti con altre simili dell’area mediterranea, sappiamo che questa comunità aveva relazioni con la Sicilia e anzi riteniamo probabile che si sia verificato un vero e proprio “atto di fondazione” da parte di una comunità proveniente dalla Sicilia occidentale. Tale comunità si è insediata, ha iniziato a costruire le capanne e si è caratterizzata con elementi autonomi e singolari. E il muro difensivo perimetrale, veramente unico in tutta l’area per imponenza e monumentalità, ne è uno splendido esempio. Esso difendeva il villaggio nel lato terra mentre a mare si difendeva naturalmente grazie alla scarpata.
Perché realizzare un muro così imponente?
In effetti ci siamo posti il problema interpretativo: perché fare un’opera così monumentale? Per la difesa del villaggio sarebbe bastato molto meno: una palizzata o un muro di 2-3 metri di altezza sarebbero stati sufficienti. Invece, dai nostri calcoli, il muro di Mursia doveva essere alto circa 12 metri, largo da 5 a 8, un’opera difficile da realizzare che richiedeva un impegno e uno sforzo notevoli da parte della comunità. Si tratta davvero di un caso unico, perché altrove si trovano muri difensivi ma sempre di dimensioni inferiori. È quindi probabile che si tatti di tradizione costruttiva: la pietra lavica si può assemblare molto bene e permette di esagerare nella grandezza. Ricordiamo tra l’altro che il villaggio è sorto proprio sopra la colata lavica di Gelkamar: i suoi abitanti hanno dovuto fare un lavoro notevole per rimuovere e riutilizzare i grandi massi. Questi in certi casi sono stati inglobati nella muratura mentre in altri sono stati spostati per liberare l’area e realizzare le capanne. Evidentemente i costruttori hanno continuato, nel tempo, a innalzare il muro verso l’alto e, in alcuni casi, a ingrandirlo grazie alla disponibilità di materiale.
Come si svolgeva la vita degli abitanti del villaggio?
Le ricerche archeologiche hanno portato in luce oltre alle capanne anche strutture per la produzione agricola che fanno capire che questa comunità era particolarmente attiva. Sappiamo che la vita quotidiana era basata su una economia che ricavava risorse dall’agricoltura e dall’allevamento. Sono stati, infatti, trovati molti resti archeobotanici (cioè semi e esti organici) che testimoniano coltivazioni di cereali, raccolta di elementi vegetali spontanei e attività di allevamento. I resti di ossa animali confermano l’allevamento di bovini, capre, pecore e maiali. Non mancano resti di pesci, ma in percentuale davvero molto ridotta, e di molluschi (soprattutto patelle). Era una comunità prosperosa, senza problemi di sussistenza, che ha avuto una notevole espansione demografica, come testimoniato dall’elevato numero di capanne e dalla loro evoluzione nel tempo. All’inizio avevano forma ovale allungata di dimensioni medio-piccole, con superficie interna al massimo di 30-33 metri quadrati e che potevano ospitare una decina di persone. Nella fase più avanzata le capanne, sempre ovali, diventano molto più grandi e arrivavano a superare i 50 metri quadrati. Insieme a queste si sviluppano piccole strutture di uso non residenziale ma destinate alla preparazione del cibo: ovvero la cucina, che nella prima fase era interna alla capanna, nell’ultima fase di vita del villaggio viene realizzata indipendentemente, a fianco di alcuni gruppi di capanne. Questi risultati si sono potuti ottenere solo con uno scavo stratigrafico accurato che oggi la ricerca archeologica ci permette.
Cultura
“Pantelleria Asinabile”, il festival per e con la Comunità isolana

Ieri l’inaugurazione in Sala Consiliare con gli attori principali della manifestazione: Sindaco Fabrizio D’Ancona, Italo Cucci, Carmine Vitale, Massimo Montanari e Nicoletta Teso
Con l’inaugurazione in Sala Consiliare e una grande festa in piazza Cavour è iniziato
ufficialmente “Pantelleria Asinabile”. Un’iniziativa per e con la Comunità organizzata da
Parco Nazionale Isola di Pantelleria, Comune, Dipartimento Regionale dello Sviluppo
Rurale e Territoriale Servizio 17 per il territorio di Trapani e l’Associazione “Asineria Asini
di Reggio Emilia”.
Una preziosa sinergia di coprogettazione tra istituzioni, operatori economici e mondo
creativo delle associazioni locali.
Durante l’inaugurazione in Sala Consiliare il primo a prendere parola è stato il Sindaco
Fabrizio D’Ancona che, dopo avere portato i saluti dell’Amministrazione, ha voluto
ringraziare tutti coloro che si sono adoperati negli anni per il ripristino della razza e coloro
che hanno collaborato all’organizzazione di questo importante evento. “L’asino era quasi
sparito dal nostro territorio e oggi grazie all’importante lavoro che è stato fatto prima dal
Corpo Forestale e oggi anche dal Parco, l’asino ritorna a essere presente a Pantelleria.
Questo importantissimo evento lo rende partecipe e spero che sia una settimana
bellissima anche per tutti i nostri ragazzi, per tutte le nostre scolaresche e per tutta la
nostra Comunità. Non è facile mettere insieme un evento così importante. Un lavoro
frenetico, capillare e soprattutto molto difficoltoso. Per questo vi voglio ringraziare a nome
di tutti”.
Italo Cucci, Commissario Straordinario dell’Ente Parco Nazionale, ha sottolineato il ruolo
che questo prezioso animale ha sempre rivestito nella cultura e nella storia non solo
dell’isola ma di tutta Italia. “L’asino è una figura preziosa. È stato il primo, insieme al bue,
ad accogliere la nascita del nostro Signore. Questo animale è stato uno dei grandi soldati
della guerra del ’15-’18. Se si va al nord c’è ancora un clima di protezione, di rispetto
particolare per l’asino.
“Durante il convegno Parco e Benessere” continua il Commissario “abbiamo scoperto una
cosa assolutamente moderna, che me la ha reso ancora più simpatico: che tra gli animali
per la pet therapy, che stanno quindi vicini ai malati e alle persone che soffrono, c’è anche
l’asinello. L’asinello è svettato in testa a tutti gli animali che piacciono ai bambini, che
portano dolcezza”.
Carmine Vitale, Direttore f.f., ha sottolineato come l’evento sia solo un punto di partenza
per future iniziative che coinvolgeranno l’intera comunità con nuovi progetti e start-up.
“Continua ad evolvere un virtuoso percorso di sviluppo locale, dopo aver consolidato una
preziosa sinergia nella coprogettazione tra istituzioni, operatori economici e il mondo
creativo delle associazioni che abbiamo desiderato far confluire in questo Festival.
“Pantelleria dimostra di essere matura per garantire un’offerta esperienziale di turismo
lento, valorizzando l’asinello pantesco sui sentieri, rispondendo a una domanda in crescita
di esperienze caratterizzate da laboratori e passeggiate nella natura in sua compagnia”
continua Vitale.
Grazie alla collaborazione con Massimo Montanari, direttore artistico del Festival e
fondatore dell’Associazione “Asineria Asini di Reggio Emilia”, e di Nicoletta Teso,
Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale “Doctor Dog Pet Therapy e Pet
Education” Onlus, le scuole e le realtà operanti nell’assistenza alle persone fragili e
speciali saranno coinvolte nei prossimi mesi anche in attività di pet therapy con l’asinello
pantesco, oltre a quelle già in corso di tipo educative e ludico-ricreative.
Il Parco ha inoltre “costruito l’opportunità per i corsisti panteschi, prossimi coadiutori
dell’asino, insieme ad altri esperti, di poter avviare una start up d’impresa che erogherà sia
servizi ecoturistici che educativi alla comunità e ai visitatori tutto l’anno attraverso l’utilizzo
degli asini panteschi dell’allevamento San Matteo di Erice del Dipartimento Sviluppo
Rurale e Territoriale Servizio 17 di Trapani” conclude il direttore f.f.
In occasione di questa prima edizione del Festival sarà anche lanciata una raccolta fondi
per poter questi giorni per poter inaugurare una statua dedicata all’asinello, così come
proposto dal Centro Culturale Vito Giamporcaro.
Cultura
Pantelleri in fermento per la Festa di San Fortunato. Si comincia il 13 ottobre con i riti religiosi

Officerà la santa Messa sua eminenza il Vescovo Angelo Giurdanella
Si scaldano i motori, in onore del Santo Patrono dell’isola: Fortunato protettore di Pantelleria e dalla singolare e toccante storia, di questo parleremo in un altro momento.
Quattro giorni di celebrazioni, a partire dal 13 al 15 ottobre, ore 17.30 con rosario e messa. Il 16 ottobre, giornata dedicata, sarà il nostro vescovo Angelo Giurdanella ad officiare il rituale, proseguendo con la processione e l’imbarco del Santo.
A presto aggiornamenti per gli altri intrattenimenti dedicati al Santo, ma possiamo anticipare che si svolgerà sicuramente la regata delle lance pantesche, che sarà anche l’ultimo appuntamento per il 2025.
Cultura
Ultima Ora – Pantelleria, avvio lezioni al Liceo Scienze Umane

Il dirigente dell’Istituto Omnicomprensivo Almaza D’Ajetti, il Prof. Fortunato Di Bartolo, rende noto che l’avvio delle lezioni nella classe prima B del Liceo delle Scienze Umane, composta da 16 studentesse/studenti, a far data da lunedì 6 ottobre 2025.
La classe prima A del Liceo Scientifico prosegue il regolare svolgimento dello specifico percorso formativo, nella composizione di 12 studentesse/studenti.
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