Cultura
Pantelleria, “il ratto delle pantesche”. Quando i saraceni rapivano le nostre donne
Pillole di storia: Quando i Saraceni rapivano le Pantesche
Nell’anno 647 dell’Era Volgare le armate arabe condotte da Abū Yaḥyā ʿAbd Allāh ibn Saʿd, sahaba (compagno) del profeta Maometto e primo ammiraglio musulmano della Storia, dilagarono nei territori dell’Esarcato bizantino d’Africa da loro chiamato Ifriqiya, che poi non era altro che la ex Provincia d’Africa dei Romani e che comprendeva l’attuale Tunisia più le parti contigue di Algeria e Libia, in pratica buona parte dell’attuale regione del Maghreb. Quelle armate, a mo’ di rullo compressore in cui l’inesauribile carburante era la fede assoluta e fanatica nell’allora nuova religione dell’Islam, tutto travolsero e spianarono e a nulla valsero le disperate difese opposte dalle guarnigioni bizantine (peraltro sparute) e dalle popolazioni cristiane. Anche la resistenza dei bellicosi berberi fu piegata e anzi in prosieguo gli stessi passarono nelle fila degli invasori. A migliaia gli abitanti della ricca e popolosa plaga della cristianissima Cartagine, per evitare i massacri, la schiavitù e le conversioni forzate, cercarono scampo nella fuga. Buona parte di questa massa di profughi, come sempre accade ai profughi di ogni tempo e paese, anche ai giorni nostri, si rifugiò in un territorio amico, immediatamente a ridosso dell’amata terra natia appena abbandonata, sperando in un presto ritorno allorquando fosse terminata quella che essi ritenevano una momentanea e passeggera buriana. Questo territorio amico non era altro che l’isola di Pantelleria, con il suo piccolo castello (sullo stesso sito di quello attuale) e la relativa guarnigione di soldati bizantini, posta soltanto a 38 miglia marine da Capo Bon. A far buona guardia all’isola c’erano poi nel porto anche le navi da guerra bizantine (i dromoni) con il loro micidiale fuoco greco, vera e propria arma segreta di quella marineria. Nelle giornate limpide quei profughi, smaniosi di un ritorno quotidianamente agognato e quindi ammalati di nostalgite acuta, potevano scorgere all’orizzonte le coste africane e quindi di casa e da qui continui sospiri e pianti. Per circa un cinquantennio Pantelleria rappresentò per i profughi dell’Ifriqiya l’oasi della salvezza cui approdare, per essere poi pronti in qualsiasi momento a ritornare.
La cosa non era ignota agli stessi conquistatori arabi, che intanto stavano mettendo radici stabili in Tunisia e in tutto il Nord Africa, per cui la dirimpettaia isola di Pantelleria rappresentava un potenziale nemico da cui guardarsi, essendo di fatto diventata il covo dei loro più irriducibili nemici, di coloro ai quali in precedenza avevano tolto casa ed averi. Intorno al 700 dell’Era Volgare nei porti nord-africani cominciò ad allestirsi una flotta di corsari saraceni per una spedizione contro l’isola di Pantelleria. Più di un tentativo di occupazione vera e propria, si trattava di un raid di alleggerimento. Motivo non secondario, che spingeva i giovani corsari saraceni alla rischiosa impresa, era quello di far preda di giovani e belle donne, preferibilmente vergini. D’altronde questo sarà un leitmotiv sempre ricorrente, per i secoli a venire, nella guerra da corsa in Mediterraneo, sia si trattasse di corsari musulmani, sia si trattasse di Cristiani, in quest’ultimi compresi quelli che scorrevano i mari con le galere della “Religione” (i cavalieri di Malta). Il grande storico arabista Michele Amari così scrive al riguardo: “Le memorie che abbiam finora alle mani ci portano a supporre questo eccidio verso il 700 dell’Era Volgare, quando i conquistatori dell’Africa propria, respirando un momento dalle guerre della terraferma, andarono ad assalire i Cristiani del paese, che s’erano rifuggiti ed afforzati in Pantellaria, da mezzo secolo in circa”. La spedizione navale contro Pantelleria fu posta sotto il comando del feroce Abd al-Malik ibn Qatan, il quale approdato sull’isola fece assalire dalle sue schiere il piccolo borgo fortificato, avendone ragione ben presto. Il castello fu letteralmente raso al suolo e i superstiti della guarnigione bizantina e tutta la popolazione (compresi i bambini, salvo le donne più giovani e belle) furono massacrati. Si racconta che non vi fu nemmeno un sopravvissuto. Quando la flotta saracena salpò dall’isola, lasciò dietro di sé solo rovine fumanti e centinaia e centinaia di corpi insepolti. Era l’anno 700 dopo Cristo. L’eco dell’orrore di questa strage si può cogliere in tutto il suo crudo realismo nei versi composti, secoli dopo, dal poeta arabo in lingua siculo-araba Ibn Hamdis (nato a Siracusa o Noto, anno 1056 circa – morto a Maiorca, anno 1133). Dal Dīwān (canzoniere di componimenti poetici) di Ḥamdīs. “Che! Forse le nostre armate non fecero loro prigioniere [belle] giovani dal seno ricolmo; [forse] le matrone ch’esse conducevano prigioniere non eran seguite da giovani vergini? [Vedi] Pantelleria, dove le teste degli antenati loro [caddero in tal copia che] fin oggi l’arena della spiaggia è mista di schegge [de’ cranii]. E se con le narici interrogan essi il vento [di quella parte], il puzzo lor dirà quanti corpi insepolti [v’imputridiscono]. Ma [i Musulmani] non trucidarono gli abitatori, no, per crudeltà d’animo;
ma perché si vedean pochi e circondati da’ molti”. Tralasciamo quella ingenua scusante poetica del “si vedean pochi e circondati da’ molti”, in quanto quei molti non erano che civili disarmati, il poeta rivela sfacciatamente che la vera ambita preda di quei corsari saraceni erano “le giovani dal seno ricolmo” e le “giovani vergini”.
Orazio Ferrara
Foto: Mercato di schiavi cristiani in Barberia
Cultura
Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura
Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.
Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.
Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.
In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.
Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.
Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?
Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura aziende che lo producono con 10 aggiunte.
A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.
Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.
Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.
Cultura
Pantelleria e l’asso degli aerosiluranti a Margana: Guido Robone
Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici
Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici, che andavano a rifornire l’isola di Malta ridotta ormai allo stremo dal lungo assedio delle forze dell’Asse.
La 278a era dotata del velivolo Savoia-Marchetti S.M.79 detto Sparviero, un aereo trimotore ad ala
bassa multiruolo. Si riconosceva immediatamente per la tipica “gobba” dietro l’abitacolo di volo,
gobba in cui alloggiavano mitragliere Breda-SAFAT da 12,7 mm. Per tale tipicità era denominato
dagli avieri scherzosamente anche col nomignolo di “gobbo maledetto”.
Distintivo della 278a:
quattro gatti, due bianchi e due neri. Motto: “Pauci sed semper immites” (Pochi ma sempre
implacabili).
Uno degli S.M.79 di stanza a Margana, identificato con il numero “278-1”, era l’aereo dal tenente
pilota Guido Robone da Como. Il Robone, quand’era ancora un giovane sottotenente, era stato uno
dei pochi ad aver superato la durissima selezione di piloti, che il 25 luglio 1940 a Gorizia erano
andati a costituire il primo “Reparto Sperimentale Aerosilurante”.
Di quel gruppo ristretto faceva
parte anche l’allora tenente Carlo Emanuele Buscaglia, che sarà poi uno dei più famosi aviatori
nella specialità degli aerosiluranti, riuscendo ad affondare oltre 100 000 tonnellate di naviglio
nemico. Le onorificenze concesse al Buscaglia testimoniano del suo indomito valore: Medaglia
d’oro, ben sei Medaglie d’argento, Croce di Ferro di 2ª Classe, due avanzamenti di gradi per merito
di guerra. E scusate se è poco. In molte missioni di guerra Robone fu gregario di Buscaglia
Da sottolineare che anche Buscaglia avrà modo di operare, col suo aerosilurante, da Pantelleria nel
giugno del 1942 al tempo della vittoriosa battaglia di “Mezzo giugno”, in cui la Royal Navy inglese
subirà una pesante e umiliante sconfitta.
Quando il tenente pilota Guido Robone giunse a Margana in quella calda estate del ‘41, lo
precedeva la fama di asso, come confermavano i nastrini azzurri appuntati sul petto di due medaglie
d’argento.
Le medaglie
Motivazione della prima medaglia: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante già provato per ardimento in molteplici rischiose e difficili azioni di guerra, il giorno 14 ottobre in ore notturne raggiunta una formazione navale nemica,
nonostante violentissima reazione contraerea, la attaccava decisamente riuscendo a colpire un
incrociatore.
Confermava cosi le sue elevate doti di combattente, alto senso del dovere e sprezzo del
pericolo
Cielo del Mediterraneo, 14 ottobre 1940-XVII”.
Motivazione della seconda: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, di provato valore guidava il proprio apparecchio all’attacco di formazioni navali nemiche in mare aperto ed in munitissime basi riuscendo a colpire col siluro tre unità.
II giorno 11 gennaio 1941 al rientro da una lunga azione di ricognizione
offensiva condotta in mare aperto con condizioni atmosferiche proibitive, a causa di perdita di
benzina si ritrovava senza carburante lontano dalla base su zona montagnosa. Anziché affidare la
propria salvezza al paracadute, preferiva effettuare un pericolosissimo atterraggio notturno di
fortuna con siluro a bordo riuscendo a portare in salvo l’equipaggio, l’arma e parte del materiale. Nel
nobile tentativo restava ferito.
Cielo del Mediterraneo, 2 novembre 1940-11 gennaio 1941-XIX”.
Dalle motivazioni precedenti si può comprendere bene quale tempra d’uomo e di pilota fosse il
Robone. D’altronde quest’ultimo, al suo arrivo a Pantelleria, era appena reduce da un altro
successo, conseguito nei mari prospicienti l’Africa Settentrionale decollando dal campo di Berka
(Bengasi).
Infatti alle ore 19:25 del precedente 21 aprile 1941, aveva attaccato con la solita
determinazione e con il consueto indomito coraggio una formazione navale britannica, silurando,
malgrado la furiosa contraerea, la petroliera British Lord di 6.000 tonnellate e danneggiandola
gravemente.
Dell’efficacia del siluramento si ebbe poi conferma anche dagli inglesi.
Orazio Ferrara
(1 – continua)
Cultura
Formazione professionale torna a Pantelleria: nuovi Tecnici dell’Accoglienza Turistica per l’isola
L’Amministrazione Comunale di Pantelleria esprime grande soddisfazione per la conclusione del corso di formazione professionale “Tecnico dell’Accoglienza Turistica”, promosso nell’ambito dell’Avviso 7/2023 e tenutosi presso l’Istituto Omnicomprensivo “V. Almanza – A. D’Ajetti”.
Venerdì 24 ottobre si sono infatti svolti gli esami finali del percorso formativo, che ha visto la partecipazione di nove allievi, i quali hanno conseguito la qualifica professionale riconosciuta dalla Commissione d’esame presieduta dalla Dott.ssa Rosalia Scafidi del Dipartimento Regionale alla Formazione.
Il progetto, realizzato da EFAL Trapani, ha avuto come obiettivo l’accrescimento dell’occupabilità e delle competenze nel settore turistico, in linea con la strategia regionale di valorizzazione delle specificità economiche e territoriali della Sicilia.
“Si tratta di un risultato importante per la nostra comunità – dichiara il Sindaco Fabrizio D’Ancona – perché consente a Pantelleria di formare in loco nuove figure professionali necessarie al nostro sistema turistico, valorizzando al contempo il capitale umano e offrendo nuove prospettive occupazionali ai giovani dell’isola.”
Il Sindaco ha inoltre rivolto un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione e al successo dell’iniziativa:
la Dirigenza scolastica dell’Istituto “V. Almanza – A. D’Ajetti”, per la disponibilità dei locali e la collaborazione attiva;
il Dott. D’Antoni Giorgio, Presidente EFAL Trapani, Ente attuatore del progetto, per l’impegno e la professionalità;
la Dott.ssa Rosalia Scafidi, per la supervisione e l’attenzione alla qualità della formazione;
i Servizi Sociali del Primo Settore del Comune di Pantelleria, per il supporto logistico e organizzativo;
tutti i Docenti e il Sociologo Vincenzo De Caro, tutor del percorso formativo.
“Il successo di questo corso – conclude D’Ancona – rappresenta un modello virtuoso di collaborazione tra istituzioni e realtà formative, che auspichiamo possa essere replicato per altre professionalità strategiche per lo sviluppo di Pantelleria. L’obiettivo è rendere possibile, sempre più, formarsi e lavorare direttamente nella nostra isola.”
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