Cultura
La Kubla Khan di Umberto Massa acquista i diritti del libro di Rocco Casalino: presto sarà film
La casa di produzione cinematografica Kubla Khan di Umberto Massa ha acquistato i diritti del libro di Rocco Casalino “il Portavoce” che presto diventerà un film.
Massa, conosciuto a Pantelleria per essere stato proprietario di alcuni locali a Scauri e, in questo periodo, per l’imminente realizzazione di due film interamente girati sull’isola, ha finalizzato l’accordo con il gruppo Mondadori e Casalino che gli hanno ceduto i diritti esclusivi dell’autobiografia dell’ex portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Il libro, uscito a febbraio di quest’anno ed edito da Piemme, ha una copertina molto evocativa. Facendo chiaramente eco al poster della fortunata serie tv House of Cards (con Kevin Spacey), fa immediatamente associare l’ex portavoce di Palazzo Chigi al politico americano che, attraverso sottili manipolazioni, riesce a diventare presidente degli Stati Uniti.
Umberto Massa racconta di essere rimasto inizialmente incuriosito dal titolo del libro e dal suo autore. E poi, con il procedere della lettura, di esserne stato completamente rapito: “Il libro racconta un’umanità molto forte, a tratti pesante. Che ti colpisce. Narra la storia di Rocco, un ragazzo che sin da piccolo ha un rapporto molto conflittuale con il padre, un uomo violentissimo. Un rapporto talmente difficile da segnarne inevitabilmente l’esistenza. Ragazzo di umili origini, partito da piccolissimo con la famiglia da un paese del brindisino per emigrare in Germania. Durante l’adolescenza scopre la sua omosessualità. Di qui le prese in giro prima perché italiano poi perché gay. Una storia estremamente difficile che ha dato vita a un libro altrettanto tosto. Noi andremo a raccontarlo con una serie di flashback. Dall’infanzia all’incontro con Giuseppe Conte. Da umile ragazzo del sud emigrato a personaggio stimato anche da Angela Merkel, per il suo tedesco perfetto, raro in un italiano, passando attraverso il Grande Fratello”.
Quello che verrà raccontato è dunque un viaggio. Un viaggio di vita, descritto attraverso le vicissitudini di un ragazzo. Un ragazzo con una forte voglia di rivalsa, che si è sempre sentito speciale ma sottovalutato. Che è stato deriso e offeso. Straniero in qualunque terra, pieno di solitudine, a tratti rabbioso, a tratti triste e frustrato. Che ha dovuto lottare per raggiungere indipendenza e notorietà. Descrive le sue lotte quotidiane, lotte per migliorare il suo status sociale. Lotte che lo porteranno, a un certo punto della vita, a trovarsi di fronte alla scala dorata del potere. Che scalerà. Fino ad arrivare a Palazzo Chigi. Fino a diventare il Capo Ufficio stampa del premier Conte.
“Nel procedere incessante degli avvenimenti, il racconto si farà ancora più interessante. Verrà infatti narrato il dietro le quinte del Palazzo, del Movimento e del percorso intrapreso affianco a Conte. Verrà narrata la parte di una Italia politica dove Rocco ha il coraggio di raccontare…” continua Massa.
Casalino racconta quindi una storia, la sua personale storia. Ma non solo quella. Anche la storia politica di un Paese in uno dei momenti più difficili degli ultimi anni: lo scoppio della pandemia. Una storia che convince e coinvolge, anche se inizialmente molto criticata. Ma comunque una storia vincente, perché la maestria con la quale mixa, in giusta dose, situazioni apparentemente normali (nei quali ci si può facilmente riconoscere) e situazioni avventurose (che in molti vorrebbero vivere) è davvero ben costruita. Riesce così ad andare dritto al cuore dei giovani, sottolineando le lotte per emergere dal piccolo paesino del sud, le difficoltà non solo nel trovare un lavoro ma anche una propria collocazione nel mondo. La voglia tutta fanciullesca di voler cambiare le cose, la frustrazione di non riuscire, lo scontro del tutto evergreen con il mondo degli adulti. Ma c’è anche avventura. E rivalsa. La notorietà tanto inseguita e arrivata con il Grande Fratello. Il successo mediatico. Fino alla strada professionale intrapresa a Milano come giornalista. Un percorso tutto in salita. Ma dall’alto il panorama è più ampio. E può essere mozzafiato.
Attendiamo con curiosità di scoprire di chi sarà la regia, il cast e quali gli altri ingredienti messi in campo dalla produzione che si occuperà di realizzare il film per il cinema.
Giuliana Raffaelli
Cultura
I racconti del vecchio marinaio di Pantelleria: Il rito antico della dragunera
Quel giorno lasciai gli scogli di San Leonardo più presto del solito, mentre i miei amici erano ancora a mollo a mare, in un’acqua trasparente e azzurrina come solo il mare di Pantelleria sa esserlo. Mi soffermai ancora una volta a leggere le scritte multicolori che rendevano meno triste il vecchio bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. L’amore di sempre: “ti voglio bene, “un cuore solo”, “ti amerò per sempre” precedute da un nome femminile e tante altre scritte, eredità amorose di generazioni di giovani panteschi. Una però faceva a pugni con tutte le altre, “Mariuccia buttana”. Doveva essere stato davvero un brutto tradimento, per bollarlo con un marchio di fuoco e per tramandarlo così ai posteri.
Giunsi sulla banchina e lo vidi seduto sulla solita bitta di fronte al castello, la nuvola azzurrina del fumo della sua pipa gli conferiva una strana aureola di mistero. Avevo deciso di porgli alcune domande, ma appena mi vide cominciò a parlare con voce arrochita dal tabacco e dalla salsedine. “Il veliero Madonna di Trapani era un vero e proprio gioiello della marineria pantesca. Due alberi, bompresso lungo come una lancia, vele latine che sapevano piegarsi al vento, ma non alla paura. Patrun Vitu, il suo comandante, era un uomo di mare e di silenzi infiniti, con le mani dure come la nostra pietra lavica e gli occhi di un verde misterioso, che avevano visto tempeste e miracoli. Nelle sue mani il timone seguiva docilmente l’invisibile linea della rotta fissata.
Quel giorno, ero ancora picciotto ‘i varca, avevamo da diverse ore passatu l’isola di Ustica e puntavamo, con tutte le vele spiegate su Trapani, fermarci qui la notte e il giorno seguente tornare a Pantiddraria, dove dovevamo sbarcare delle merci comprate a Napoli. Il mar Tirreno sembrava quieto e il vento amico, ma ‘ogni marinaio sa che “Cu ventu e cu mari nun si fa cuntrattu” (Col vento e col mare non si fa contratto). Così all’improvviso il cielo cambiò.
Una linea nera si stese sull’orizzonte, e il vento cadde morto di colpo. I marinai si guardarono l’un l’altro muti e attoniti. Il capitano Vito salì sul ponte e scrutò quel cielo nerastro e la vide: una dragunera (tromba marina), la maledizione antica e rabbiosa per chi va per mare. Essa, sottile e affilata, scendeva dal cielo come il dito di dio marino irato, girando vorticosamente sull’acqua.
Il nostromo Turi colse l’ansia e il timore degli altri uomini dell’equipaggio e chiese a patrun Vitu di virare. Ma Vito no, non solo perché la cosa era impossibile per mancanza di vento, ma perché egli era uomo che accettava intrepido le sfide in mare. Lui conosceva lu ritu anticu, lo aveva visto fare
da suo nonno e da suo padre prima di lui. Aprì il baule sotto il timone e ne trasse un coltello d’ossidiana, nero come la notte e affilato come il silenzio che precede la burrasca. Poi disse deciso “Mantenete la rotta, non si fugge davanti alla dragunera. Si tagghia”.
Si diresse a prua e la sua figura alta e possente sembrò dominare le onde. Il vento intanto aveva ripreso a soffiare forte e impetuoso che a momenti gli strappava il berretto. La dragunera si avvicinava, ululando conne una magara. Vito attese, fermo, come nu parrinu davanti all’artari. Quando la coda della tromba marina fu a portata, egli disse vecchie parole che non si potevano intendere, poi tracciò con il coltello d’ossidiana una grande croce nell’aria e recitò a voce alta questa preghiera:
Nniputenza di lu Patri,
Sapienza di lu Figghiiu,
pi virtù di lu Spiritu Santu
e pi nnomu di Maria
sta cuda tagghiata sia
Un suono sordo, come un lamento, si levò dal mare. La vorticosa colonna d’acqua si dissolse e il cielo si aprì all’azzurro. Tutti noi marinai, increduli, guardavamo ammirati e a un tempo intimoriti il capitano come si guarda un uomo che ha parlato allora allora con gli spiriti. Vito tornò al timone, rimise il coltello di ossidiana nel baule e disse solo: “Adesso a casa”. Al tramonto del giorno dopo Pantelleria ci apparve all’orizzonte, nera e fiera e materna. Il Madonna di Trapani, come sempre, entrò in velocità nello stretto passaggio che dava al porto vecchio. Solo capitan Vito e qualche altro patrun si potevano permettere di sfidare la scogliera cartaginese semisommersa.
La voce del subitaneo taglio della dragunera si sparse, in un battibaleno, in tutte le contrade dell’isola e da quel giorno ogni marinaio pantesco che incrociava patrun Vitu lo salutava con rispetto misto ad ammirazione. Perché non tutti sanno tagghiare la coda a una tromba marina. E soprattutto non tutti hanno il coraggio di farlo”.
Il vecchio marinaio si tacque definitivamente.
Girò le spalle e si mise a guardare, assorto, il mare
come aspettasse l’arrivo di qualcuno, intanto la nuvola azzurrina del fumo della pipa, che lo
avvolgeva in tenui volute, gli conferiva un certo non so che di misterioso.
Orazio Ferrara

Cultura
Trapani e l’oro rosso del Mediterraneo: “Il Corallo anima di Trapani”. Un mese di eventi
Dal 2 al 19 dicembre 2025, Trapani celebra la sua storica tradizione corallara con la seconda edizione di “Il Corallo anima di Trapani”, un programma che coinvolgerà studenti, artigiani, istituzioni e comunità del Mediterraneo.
L’iniziativa, promossa dal Comune di Trapani e dalla Biblioteca Fardelliana con il contributo dell’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione Siciliana intreccia formazione, cultura e diplomazia mediterranea per preservare e tramandare l’antica arte della lavorazione del corallo.
Dal 2 al 5 dicembre, le botteghe e showroom trapanesi apriranno le porte agli studenti per visite guidate alla scoperta dei segreti di quest’arte millenaria.
Il percorso prosegue dal 9 al 12 dicembre al Museo Regionale Pepoli con il laboratorio creativo “Dal Mediterraneo al Museo – Il viaggio del corallo”, curato dall’Associazione “Amici del Museo Pepoli”.
Il 13 dicembre alle ore 17.00, sempre al Museo Pepoli, verrà presentato il restauro del prezioso Presepe in corallo del XVIII secolo, capolavoro dell’artigianato trapanese.
L’evento culminante si terrà il 19 dicembre alle ore 17.30 alla Biblioteca Fardelliana: la tavola rotonda internazionale “Rotte del Corallo – Dialogo tra culture mediterranee” vedrà rappresentanti istituzionali e maestri corallai e la firma di un protocollo della “Rete Mediterranea delle Città del Corallo”, un’alleanza che consolida i legami tra le comunità mediterranee unite da questa tradizione.
“Quest’anno proponiamo la seconda edizione de “Il Corallo anima di Trapani”. Siamo estremamente orgogliosi che questo progetto prosegua: dopo l’edizione del 2024, oggi varchiamo i confini della nostra città per un momento di dialogo con le tradizioni dell’arte del corallo non soltanto di un’altra città siciliana come Sciacca, ma anche di altre città d’Italia – Torre del Greco e Alghero – e oltre i confini nazionali, nel Mediterraneo con Tunisia e Andalusia.
Ci confronteremo non solo per raccontare la nostra tradizione, durante una sessione scientifica del convegno, ma vogliamo stilare un protocollo d’intesa per costituire una rete mediterranea delle città del corallo. L’obiettivo è avviare un percorso comune e condiviso di promozione, affinché questa antichissima e preziosa arte possa essere rinnovata e valorizzata congiuntamente” – così affermano Giacomo Tranchida, sindaco del Comune di Trapani e Rosalia d’Alí, assessore alla Cultura.
Per tutto dicembre, la Biblioteca Fardelliana proporrà un percorso audiovisivo dedicato al corallo trapanese: un docufilm che racconta tradizione e futuro attraverso l’intelligenza artificiale e un documentario che esplora il corallo tra arte, ricerca e innovazione. Due narrazioni complementari che offrono sguardi contemporanei su un’arte antica.
“Il corallo anima di Trapani” è un modello di valorizzazione che coniuga tutela delle tradizioni, innovazione e cooperazione internazionale.
Cultura
Solarino: l’incendio del 1944, la memoria perduta e i documenti spariti
Nel dicembre del 1944, un incendio devastò il Municipio di Solarino, distruggendo gran parte degli archivi storici della città e cancellando documenti fondamentali, tra cui gli atti comunali della fondazione. Quell’evento segnò una ferita indelebile nella memoria collettiva della comunità, lasciando un vuoto che ancora oggi non è stato colmato. Se alcuni documenti furono salvati dall’incendio, oggi non esistono tracce ufficiali nell’Archivio Storico Centrale. Tutto lascia intendere che siano finiti in collezioni private non autorizzate, sottratti alla fruizione pubblica e alla stessa cittadinanza.
Una situazione inaccettabile, che trasforma un bene pubblico in patrimonio di pochi, privando Solarino della propria storia e compromettendo la possibilità di ricostruire dati amministrativi, catastali e sociali fondamentali. Le modalità con cui l’incendio e la gestione dell’evento furono affrontate sollevano interrogativi inquietanti. L’inerzia delle autorità comunali dell’epoca e la rapidità con cui i documenti andarono perduti alimentano il sospetto che dietro alla distruzione ci sia stata più negligenza che casualità, se non vere responsabilità organizzate. Oggi, decenni dopo, quella negligenza si traduce in un fenomeno diffuso: molti privati detengono ancora materiali che dovrebbero appartenere al patrimonio pubblico. Il quadro attuale impone un’azione immediata e risoluta.

Chiunque possieda documenti ufficiali di Solarino ha il dovere legale e morale di restituirli all’Archivio Storico comunale, dove possano essere catalogati, conservati e resi accessibili a studiosi, cittadini e scuole. La mancata restituzione non è solo un danno culturale: è una violazione della legge e dei principi fondamentali di trasparenza e pubblicità del patrimonio pubblico.
Solarino rischia di perdere per sempre pezzi irripetibili della propria storia se non si interviene con determinazione.
L’Archivio Storico deve essere messo in sicurezza, dotato di spazi idonei, personale qualificato e strumenti digitali per garantire la consultazione pubblica. Ogni documento recuperato dalle collezioni private deve tornare alla comunità: è l’unico modo per trasformare la memoria perduta in patrimonio condiviso e impedire che la storia venga decisa da pochi privilegiati. L’incendio del 1944 resta un monito: la memoria di Solarino non può essere cancellata dall’inerzia, dall’incuria o dall’interesse privato.
La città ha il diritto di conoscere la propria storia, e chi detiene documenti pubblici senza autorizzazione deve restituirli senza indugio. È una questione di giustizia storica, civile e amministrativa: il tempo della tolleranza è finito.
Laura Liistro
Le immagini sono tratte dall’archivio del Comune di Solarino
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