Cultura
I cognomi dell’isola di Pantelleria / XXXVII parte Da Sinerco a Siragusa
SINERCO
Sul finire del ‘500 vivono in Pantelleria Giorgio Sinerco e sua moglie Giovanna. Da questa coppia nasce Jacob Sinerco, che il 22 gennaio 1607 contrae matrimonio con Joanna Bernardo, figlia di Antonio Bernardo e di sua moglie Desiata, da cui ha i seguenti figli: Vita Sinerco, sposata il 29 agosto 1627 con Nicolò Siragusa; Giovanna Sinerco, coniugata dapprima con Antonio Monsuai, poi, rimasta vedova, contrae matrimonio con Francesco Garsia in data 25 luglio 1636; Giovanni Sinerco, sposato il 15 luglio 1646 con Catterina Maxucco.
SIRAGUSA Diverse le prime versioni del cognome: Saragoza, Saragosa, Saragusa, Siracuza, per attestarsi successivamente su Siragusa e Siracusa. E’ uno dei cognomi panteschi di origini spagnole, ma non di militi del castello in quanto sembrano arrivare nell’isola “de civitate Drepani” (dalla città di Trapani) come patruni ‘i varca. Comunque nei registri parrocchiali della Chiesa Matrice di Pantelleria essi sono annotati fin dall’anno 1584, spesso come padrini nei battesimi (quindi persone di rispetto, di un certo peso sociale). Levarono per arma: D’azzurro al castello d’argento, torricellato di tre pezzi.
Il milite Jacobo Salsedo, figlio di Joanni Battisti e sua moglie Catharina, il 30 ottobre 1634 sposa Francisca Siragusa, figlia di patron Joannis Siragusa de civitate Drepani e di sua moglie Vincentia Bonomo. Testimoni alle nozze don Natale Fernandes e don Antonino Stuppa. Questo patron Joannis Siragusa deve essere il capitano della regia feluca che, con equipaggio di sette marinai, collega stabilmente fin dall’anno 1609 l’isola di Pantelleria alla Sicilia, a seguito di una precisa disposizione del viceré Vigliena. Giovanni Siragusa, figlio di Salvatore e Francesca Stuppa, si sposa L’11 ottobre 1706 (lunedì) con Maria Errera, da cui nascono: Salvatore Siragusa, sposato il 8 gennaio 1739 (giovedì) con Rosa Raffaele; Matteo Siragusa, che contrae matrimonio con Antonia Valenza in data 28 febbraio 1740 (domenica); Giuseppa Siragusa, sposata il 24 settembre 1743 (martedì) con Giovanni Battista Valenza; Francesco Siragusa, coniugato il 15 luglio 1753 (domenica) con Alberta Consolo.
Antonino Siragusa, nato a Pantelleria (TP) il 1° novembre 1889, Vicebrigadiere CC.RR., matricola 24568, decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Motivazione: “Comandante di una Stazione dei CC.RR. di presidio, attaccato da preponderanti forze ribelli, concorreva prima efficacemente a respingere l’attacco con i propri dipendenti, poi si offriva di recarsi da solo a ricevere ed accompagnare un convoglio di munizioni attraverso terreno fortemente battuto da fuoco nemico, spingendosi più volte fin sulla linea delle truppe, per assicurare il rifornimento delle munizioni.
Oasi di Gemil (Zuara), 5 ottobre 1918” (Divisione CC.RR. della Tripolitania. Regio Decreto 2 aprile 1922). Sempre ad Antonino Siragusa, diventato poi Maresciallo Maggiore CC, deceduto in Pantelleria il 22 novembre 1962, è stata intitolata in data 6 settembre 2016 la caserma della Stazione Carabinieri di Pantelleria.
Giacomo Siragusa di Lorenzo, nato a Pantelleria il 1° ottobre 1919, sergente maggiore dei bersaglieri, in forza al 6° Reggimento bersaglieri, caduto prigioniero dei russi nel 1943. Ne venne dichiarato il decesso nell’ospedale da campo russo n° 2989 di Kameskovo in data 31 dicembre 1943. L’ospedale di Kameskovo era ubicato nella regione di Vladimir, sulla linea ferroviaria Mosca-Gorki, e dipendeva dal terribile lager di Suzdal, in cui morirono moltissimi italiani. Altri caduti della famiglia Siragusa nel secondo conflitto mondiale: Siragusa Francesco, nato il 13 febbraio 1926, dichiarato morto/disperso in data 7 dicembre 1946; Siragusa Mariano, nato l’8 ottobre 1913, caduto il 9 maggio 1943.
Personaggio famoso della famiglia è stato Gaspare Siracusa, pantesco della fascinosa contrada Bukkuram. Si deve a lui la salvezza dei superstiti del disastro del dirigibile Italia di Umberto Nobile. Infatti egli il 9 giugno 1928, in qualità di provetto radiotelegrafista della nave Città di Milano, riesce a intercettare i deboli segnali di soccorso dei superstiti della Tenda Rossa, permettendo quindi di calcolare le coordinate dell’esatta posizione dei predetti e quindi il successivo salvataggio.
Orazio Ferrara (37 – continua)
Foto: Arma dei Siragusa
Cultura
Pantelleria, oggi presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore
Questo pomeriggio, 7 dicembre 2025, dalle ore 16.30, presso i noti locali del Circolo Ogigia di Pantelleria Centro, si terrà la presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore.
Ad affiancare l’autore, Franca Zona e Giovanna Drago, apprezzate donne di cultura, che si alterneranno in una intervista conoscitiva del libro.
Antonino Maggiore, classe 1982, è un docente di musica presso la scuola primaria di Pantelleria, dove unisce rigore e creatività, nel quotidiano rapporto con l’infanzia.
Lo scrittore pantesco non è alla sua prima opera. Negli anni ha già pubblicato due raccolte poetiche: “Niente di importante” e una “Penna x amico“, grazie alle quali ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti.
“Le note strane” è un romanzo autobiografico: in viaggio intimistico tra fragilità ed ironia, attraversando il confine spesso sottile tra disperazione e gioia, risa e pianto.
Con il delicato contributo musicale di Maria Bernardo, si profila un piacevole pomeriggio letterario, al caldo e tra “degustatori” di libri.
L’ingresso è libero
Cultura
I racconti del vecchio marinaio di Pantelleria: Il rito antico della dragunera
Quel giorno lasciai gli scogli di San Leonardo più presto del solito, mentre i miei amici erano ancora a mollo a mare, in un’acqua trasparente e azzurrina come solo il mare di Pantelleria sa esserlo. Mi soffermai ancora una volta a leggere le scritte multicolori che rendevano meno triste il vecchio bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. L’amore di sempre: “ti voglio bene, “un cuore solo”, “ti amerò per sempre” precedute da un nome femminile e tante altre scritte, eredità amorose di generazioni di giovani panteschi. Una però faceva a pugni con tutte le altre, “Mariuccia buttana”. Doveva essere stato davvero un brutto tradimento, per bollarlo con un marchio di fuoco e per tramandarlo così ai posteri.
Giunsi sulla banchina e lo vidi seduto sulla solita bitta di fronte al castello, la nuvola azzurrina del fumo della sua pipa gli conferiva una strana aureola di mistero. Avevo deciso di porgli alcune domande, ma appena mi vide cominciò a parlare con voce arrochita dal tabacco e dalla salsedine. “Il veliero Madonna di Trapani era un vero e proprio gioiello della marineria pantesca. Due alberi, bompresso lungo come una lancia, vele latine che sapevano piegarsi al vento, ma non alla paura. Patrun Vitu, il suo comandante, era un uomo di mare e di silenzi infiniti, con le mani dure come la nostra pietra lavica e gli occhi di un verde misterioso, che avevano visto tempeste e miracoli. Nelle sue mani il timone seguiva docilmente l’invisibile linea della rotta fissata.
Quel giorno, ero ancora picciotto ‘i varca, avevamo da diverse ore passatu l’isola di Ustica e puntavamo, con tutte le vele spiegate su Trapani, fermarci qui la notte e il giorno seguente tornare a Pantiddraria, dove dovevamo sbarcare delle merci comprate a Napoli. Il mar Tirreno sembrava quieto e il vento amico, ma ‘ogni marinaio sa che “Cu ventu e cu mari nun si fa cuntrattu” (Col vento e col mare non si fa contratto). Così all’improvviso il cielo cambiò.
Una linea nera si stese sull’orizzonte, e il vento cadde morto di colpo. I marinai si guardarono l’un l’altro muti e attoniti. Il capitano Vito salì sul ponte e scrutò quel cielo nerastro e la vide: una dragunera (tromba marina), la maledizione antica e rabbiosa per chi va per mare. Essa, sottile e affilata, scendeva dal cielo come il dito di dio marino irato, girando vorticosamente sull’acqua.
Il nostromo Turi colse l’ansia e il timore degli altri uomini dell’equipaggio e chiese a patrun Vitu di virare. Ma Vito no, non solo perché la cosa era impossibile per mancanza di vento, ma perché egli era uomo che accettava intrepido le sfide in mare. Lui conosceva lu ritu anticu, lo aveva visto fare
da suo nonno e da suo padre prima di lui. Aprì il baule sotto il timone e ne trasse un coltello d’ossidiana, nero come la notte e affilato come il silenzio che precede la burrasca. Poi disse deciso “Mantenete la rotta, non si fugge davanti alla dragunera. Si tagghia”.
Si diresse a prua e la sua figura alta e possente sembrò dominare le onde. Il vento intanto aveva ripreso a soffiare forte e impetuoso che a momenti gli strappava il berretto. La dragunera si avvicinava, ululando conne una magara. Vito attese, fermo, come nu parrinu davanti all’artari. Quando la coda della tromba marina fu a portata, egli disse vecchie parole che non si potevano intendere, poi tracciò con il coltello d’ossidiana una grande croce nell’aria e recitò a voce alta questa preghiera:
Nniputenza di lu Patri,
Sapienza di lu Figghiiu,
pi virtù di lu Spiritu Santu
e pi nnomu di Maria
sta cuda tagghiata sia
Un suono sordo, come un lamento, si levò dal mare. La vorticosa colonna d’acqua si dissolse e il cielo si aprì all’azzurro. Tutti noi marinai, increduli, guardavamo ammirati e a un tempo intimoriti il capitano come si guarda un uomo che ha parlato allora allora con gli spiriti. Vito tornò al timone, rimise il coltello di ossidiana nel baule e disse solo: “Adesso a casa”. Al tramonto del giorno dopo Pantelleria ci apparve all’orizzonte, nera e fiera e materna. Il Madonna di Trapani, come sempre, entrò in velocità nello stretto passaggio che dava al porto vecchio. Solo capitan Vito e qualche altro patrun si potevano permettere di sfidare la scogliera cartaginese semisommersa.
La voce del subitaneo taglio della dragunera si sparse, in un battibaleno, in tutte le contrade dell’isola e da quel giorno ogni marinaio pantesco che incrociava patrun Vitu lo salutava con rispetto misto ad ammirazione. Perché non tutti sanno tagghiare la coda a una tromba marina. E soprattutto non tutti hanno il coraggio di farlo”.
Il vecchio marinaio si tacque definitivamente.
Girò le spalle e si mise a guardare, assorto, il mare
come aspettasse l’arrivo di qualcuno, intanto la nuvola azzurrina del fumo della pipa, che lo
avvolgeva in tenui volute, gli conferiva un certo non so che di misterioso.
Orazio Ferrara

Cultura
Trapani e l’oro rosso del Mediterraneo: “Il Corallo anima di Trapani”. Un mese di eventi
Dal 2 al 19 dicembre 2025, Trapani celebra la sua storica tradizione corallara con la seconda edizione di “Il Corallo anima di Trapani”, un programma che coinvolgerà studenti, artigiani, istituzioni e comunità del Mediterraneo.
L’iniziativa, promossa dal Comune di Trapani e dalla Biblioteca Fardelliana con il contributo dell’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione Siciliana intreccia formazione, cultura e diplomazia mediterranea per preservare e tramandare l’antica arte della lavorazione del corallo.
Dal 2 al 5 dicembre, le botteghe e showroom trapanesi apriranno le porte agli studenti per visite guidate alla scoperta dei segreti di quest’arte millenaria.
Il percorso prosegue dal 9 al 12 dicembre al Museo Regionale Pepoli con il laboratorio creativo “Dal Mediterraneo al Museo – Il viaggio del corallo”, curato dall’Associazione “Amici del Museo Pepoli”.
Il 13 dicembre alle ore 17.00, sempre al Museo Pepoli, verrà presentato il restauro del prezioso Presepe in corallo del XVIII secolo, capolavoro dell’artigianato trapanese.
L’evento culminante si terrà il 19 dicembre alle ore 17.30 alla Biblioteca Fardelliana: la tavola rotonda internazionale “Rotte del Corallo – Dialogo tra culture mediterranee” vedrà rappresentanti istituzionali e maestri corallai e la firma di un protocollo della “Rete Mediterranea delle Città del Corallo”, un’alleanza che consolida i legami tra le comunità mediterranee unite da questa tradizione.
“Quest’anno proponiamo la seconda edizione de “Il Corallo anima di Trapani”. Siamo estremamente orgogliosi che questo progetto prosegua: dopo l’edizione del 2024, oggi varchiamo i confini della nostra città per un momento di dialogo con le tradizioni dell’arte del corallo non soltanto di un’altra città siciliana come Sciacca, ma anche di altre città d’Italia – Torre del Greco e Alghero – e oltre i confini nazionali, nel Mediterraneo con Tunisia e Andalusia.
Ci confronteremo non solo per raccontare la nostra tradizione, durante una sessione scientifica del convegno, ma vogliamo stilare un protocollo d’intesa per costituire una rete mediterranea delle città del corallo. L’obiettivo è avviare un percorso comune e condiviso di promozione, affinché questa antichissima e preziosa arte possa essere rinnovata e valorizzata congiuntamente” – così affermano Giacomo Tranchida, sindaco del Comune di Trapani e Rosalia d’Alí, assessore alla Cultura.
Per tutto dicembre, la Biblioteca Fardelliana proporrà un percorso audiovisivo dedicato al corallo trapanese: un docufilm che racconta tradizione e futuro attraverso l’intelligenza artificiale e un documentario che esplora il corallo tra arte, ricerca e innovazione. Due narrazioni complementari che offrono sguardi contemporanei su un’arte antica.
“Il corallo anima di Trapani” è un modello di valorizzazione che coniuga tutela delle tradizioni, innovazione e cooperazione internazionale.
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