Cultura
I cognomi dell’isola di Pantelleria / XXX parte Da Ramires a Ribera
RAMIRES/REMIRES Nell’ultimo decennio del 1500 risulta tra i soldati spagnoli di guarnigione nel castello di Pantelleria tale Diego Remirez, annotato successivamente anche come Diego Ramires. Blasone della Casata originaria di Castiglia: Terciado en palo: 1 En oro, tres bandas de azur; 2 En azur, tres flores de lis de oro, puestas en palo; 3: En plata, un árbol de sinople y un león rampante, de gules, empinado al tronco (Interzato in palo: 1: In oro, tre bande d’azzurro; 2: In azzurro, tre gigli d’oro; 3: In argento, un albero di verde e un leone rampante, di rosso, ripido al tronco). La Casata siciliana levò per arma: D'argento, con un leone di rosso, rampante ad un albero di verde, e la bordura di rosso caricata da otto crocette di Sant’Andrea di oro.
Un discendente omonimo del precedente è Diego Ramires, figlio di Leonardo, anch’egli forse soldato, e di sua moglie Barbara Gabriele, nato in Pantelleria il 16 ottobre 1658 (mercoledì). Questo Diego si sposa in data 1° ottobre 1680 (martedì) con Angela Aghilon, figlia di Antonio Aghilon e Antonella Martinez de Cordua. Sono presenti quali testimoni al matrimonio due sergenti della guarnigione del castello, il che farebbe pensare che anche lo sposo Diego sia un soldato. Per la cronaca i due sergenti sono Giovanni Salsedo (per generazioni ufiziali del castello) e Felice Sardano.
Dalla coppia Diego Ramires o Ramirez e Angela Aghilon nascono: Leonardo Ramires (n. 1688 – m. 1771), sposato il 5 ottobre 1711 (lunedì) con Antonia Salsedo, da cui ha Giovanni Didaco Ramires, Felice Ramires e Giuseppe Ramires, quest’ultimo coniugato con Maria Busetta in data 8 settembre 1771 (domenica); Antonia Ramires, sposata il 29 settembre 1710 (lunedì) con Angelo Salsedo; Tommaso Ramires, coniugato il 9 luglio 1724 (domenica) con Caterina Merino; Caterina Ramires, andata in matrimonio il 3 settembre 1730 (domenica) a Francesco Almanza; GiomBattista Ramires, sposato il 4 maggio 1732 (domenica) con Caterina Emmanuele; Anna Ramires, sposata il 22 luglio 1736 (domenica) con Giuseppe Pandolfo.
RIBERA/RIVERA Di chiara provenienza spagnola, è stata una delle famiglie notabili dell’isola. Una donna Teresa Rivera o Ribera è stata la moglie del barone don Antonio Garsia. Arma originaria della Casata spagnola: En campo de oro, tres fajas de sinople (In campo d’oro, tre fasce di verde). La blasonatura
del ramo basco (probabile per quelli di Pantelleria) è la seguente: De gules y un castillo sobre ondas con un león en las almenas, una bandera cristiana, alta, cargada de una cruz de gules, y una morisca caida, cargada de un menguante; sobre las ondas, al pie del castillo, una cabeza de moro (Di rosso a un castello sopra le onde con un leone sui merli, una bandiera cristiana, alta, caricata di una croce di rosso, e una moresca, caduta, caricata di una luna calante; sulle onde, ai piedi del castello, una testa di moro).
Blasonatura del ramo siciliano: Partito. Nel 1° di rosso, con tre fasce d’oro; nel 2° d’argento con un leone di rosso.
La citata donna Teresa Ribera, nata circa il 1695, sposa in data 26 febbraio 1713 (domenica) il barone don Antonio Garsia (n. 1690), figlio di don Michele Garsia e donna Giuseppa Gerardi. Dalla coppia nascono: Anna Garsia (n. 1716), coniugata il 10 luglio 1736 (martedì) con Francesco Maccotta; Giuseppa Garsia (n. 1730); Francesca Garsia (n. 1736), andata in sposa il 25 febbraio 1756 (mercoledì) a Francesco Mariano Martinez de Cordua; Agostino Garsia (n. 1738). Angela Ribera, nata nel 1734 da don Giuseppe Ribera e donna Rosa Valenza, diventa “monica bizzocca”. Suor Angela muore il 17 gennaio 1828 all'età di 94 anni circa. Negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia, alcuni membri della famiglia Ribera (i fratelli Michele, Giuseppe, Agostino e Giovanni Ribera) capeggiano in Pantelleria un’agguerrita banda legittimista, che dà non poco filo da torcere ai fautori dei Savoia nell’isola. Giuseppe e Agostino Ribera verranno poi ghigliottinati in Trapani il 2 maggio 1868.
Orazio Ferrara
(30 – continua)
Foto: Arma dei Ribera
Cultura
Pantelleria, I racconti del vecchio marinaio pantesco
In viaggio con patrun Vito
Il sole scendeva lento sul porto vecchio di Pantelleria, tingendo di rosso scuro le pietre di lava delle parate difensive del castello a guardia sempiterna dello specchio di mare antistante. Era un pomeriggio inoltrato di uno dei primi anni Sessanta e io, curioso come sempre di cose di mare, mi fermai ad osservare un vecchio marinaio seduto, tranquillo e silenzioso, su una bitta della banchina.
Poteva avere sui settant’anni e la salsedine e il maestrale di tutti quegli anni gli avevano modellato il viso come una fitta e intricata ragnatela, che non metteva affatto repulsione, anzi lo rendeva del tutto simpatico, facendomi subito riandare con la mente ai vecchi marinai di Salgari, i cui romanzi di mare in quel tempo erano una delle mie letture preferite. Il vecchio marinaio era intento a battere con forti colpi, ripetutamente. la sua pipa sulla suola di una scarpa, ma a me sembrò che non volesse scrollarsi soltanto della cenere, piuttosto dei pensieri molesti, carico gravoso e ineludibile che ti regala la vecchiaia. Alla mia domanda se avesse mai fatto parte di un equipaggio di un veliero pantesco dei tempi andati, alzò lo sguardo tra il meravigliato e l’indispettito e con la pipa a mezz’aria.
Ma cosa poteva mai interessare a quel ragazzotto, che sembrava tornare allora allora da una giornata di mare passata tra gli scogli di punta San Leonardo, di un tempo ormai irrimediabilmente perduto? Poi parlò con voce roca come ghiaia che si muove sotto le onde del mare e disse: “Sugn’ statu prima picciotto ‘ì varca appoi marenaro”.
Dunque prima mozzo e poi marinaio, quindi una vita sul mare fin da giovanissimo Dette queste parole si tacque e caricò lentamente la pipa con del tabacco nero come la pece e l’accese. Sembrava che il colloquio fosse finito lì, quando riprese a parlare con quella sua voce roca, che sapeva di mare antico.
“Fici lu primu viaggiu da Pantiddraria a Napule ca varca ‘i patrun Vitu”. A questo punto, per il lettore che non intende bene il siciliano, continuo il racconto in italiano, salvo, per inciso, qualche espressione dialettale. “Allora ero picciotto ‘ì varca. Era il 1903, o forse il 1904, chi si nni ricorda cchiù e in quegli anni patron Vito era il capitano di veliero più sperto di Pantelleria e dopo ‘u Signuri nostru era il mare ad avere tutta la sua devozione.
In navigazione, pur con tutta la sua indiscussa bravura in cose di mare, non era mai arrogante perché soleva ripetere “Cu mari e cu venti ‘un tti fa valenti” (Con il mare e con i venti non essere arrogante o peggio spavaldo).
“Il veliero di patrun Vito non era grande, ma era solido e forte come una pietra nivura della nostra isola. Si chiamava “Madonna di Trapani” ed era stato varato nei cantieri di Amalfi nell’anno 1890, se non ricordo male. Ha navigato, attrezzato poi con un motore, fino alla vigilia dell’ultima guerra.
Ai miei tempi andava solo a vela. Aveva due alberi e bompresso e dispiegava una velatura, che lo faceva filare dritto sul mare come una freccia. Allora le barche avevano ancora un’anima di tela, bianca come le ali di un angelo. Il giorno della partenza, che per me era l’inizio del primo viaggio per mare come picciotto, la stiva era piena zeppa fino all’orlo. I sacchi più pesanti erano lì, i capperi di Bommarino. Quelli che si mettono sotto sale, carnosi, quelli che danno sapore a tutto quel che mangi. E poi, le cassette, con la stoffa sopra per non farle scaldare, dell’uva passa più bella, quella della contrada di Grazia di Sopra. Seccata al sole nostro africano, dolce come il miele, la nostra Zibibbo, trasformata in oro, doveva arrivare a Napoli al più presto possibile, dove la gente danarosa la voleva per i loro dolci.
Patron Vito fu categorico: da Pantelleria a Napoli senza scali in porti intermedi. Se Dio vuole, in tre giorni. E così fu. Uscimmo dal porto con il vento buono, lasciandoci presto alle spalle ‘a petra ‘i fora. La brezza gonfiava la vela maestra come il petto di un galletto in amore. Sette, a volte otto nodi, in pieno giorno. Un trotto regolare. Potevi quasi sentirla, la barca che mangiava il mare, spinta solo da quelle tele spiegate e dalla bravura di Vito e del nostromo Turi.
Il capitano Vito non dormiva. Stava lì, con il timone in mano, a parlare con il vento e con le onde, a sentire l’odore del mare che cambiava. Dalla costa siciliana fino a che non vedevi altro che blu. Non voleva fermarsi. Non per Messina, non per Salerno. Doveva essere un viaggio diretto. Un viaggio cui dovevano vantarsi, al ritorno, tutti i marinai dell’equipaggio nelle lunghe serate invernali pantesche davanti a un buon bicchiere di vino passito. La vita a bordo era semplice: pane, cipolla e qualche sarda salata.
Il silenzio
Ma la cosa più bella era il silenzio. Solo lo scricchiolio del legno, il vento che fischiava nelle sartie e il suono delle onde che si aprivano, inchinandosi, sotto la prua. Per tre giorni e tre notti vedemmo solo l’orizzonte. Poi, all’alba del quarto giorno, quando il sole cominciava a spuntare, eccola. La sagoma grande, colorata, di Napoli, all’ombra del suo gigante nero, il Vesuvio.
Solo in quel momento patrun Vitu tirò un sospiro che sembrava quello del mare intero. Attraccammo, e il carico era perfetto. I capperi profumavano, l’uva passa era intatta. Era così, allora. L’abilità e il coraggio di un uomo di mare pantesco e i frutti della sua terra.
Oggi, ci sono i motori, e quella meravigliosa sensazione di andare per mare spinti solo dal vento di ‘u Signuri nostru … quella non la senti più”. E si tacque, batté più volte la pipa sulla suola della scarpa per scrollare la cenere e si perse, silenzioso, nei suoi pensieri antichi incrostati di salsedine.
Orazio Ferrara
Personaggi
E’ morta Ornella Vanoni, un’artista di grande di stile, simpatia e sagacia
“Io voglio vivere finchè do alla vita qualcosa”
Il mondo della musica perde una vera icona… “senza fine”
La voce tra le più imitate e seducenti della musica italiana si è spenta per sempre.
Ornella Vanoni è morta a 91 anni, nella sua casa di Milano, colpita da un arresto cardiocircolatorio. I soccorritori sono arrivati quando ormai era troppo tardi.
Classe ’34, con lei si chiude un sipario dello spettacolo senza tempo e senza repliche. L’artista, che aveva esordito nello spettacolo a teatro con Strehiler, non era solo una cantante, era un simbolo capace di attraversare epoche senza mai diventare fuori moda.
All’attivo si contano quasi settant’anni di carriera e oltre 55 milioni di dischi venduti, che hanno scolpito la sua voce nella memoria mondiale.
La personalità forte, caratterizzata spesso da sferzate pungenti, era dotata di grande intelligenza e capacità da riuscire a cantare sul palco duettando con giovani big della canzone italiana.
Negli ultimi anni era diventata la presenza fissa più attesa da Fabio Fazio, forse più della Littizzetto, che superava in simpatia e spontaneità.
Lo scorso giugno venne insignita della laurea honoris causa. Durante la cerimoni seppe manifestare la sua regale umiltà.
Parlando della morte, la cantante milanese così si è espressa “Io non voglio morire troppo grande. Io voglio vivere finchè alla vita do qualcosa e la vita mi dà. Il giorno in cui non dò più o non mi dà, io non voglio vivere.”
Ieri sera se ne è così come ha vissuto, con stile, senza clamore.
Di lei rimarranno le sue canzoni intramontabili, impresse addosso al suo pubblico come cicatrici dolci.
Cultura
Gran Galà delle Lady Chef – Prima Edizione Siciliana
Il 24 e 25 novembre, presso l’Hotel Casena dei Colli di Palermo, si svolgerà la prima edizione del Gran Galà delle Lady Chef, promosso dall’Unione Regionale Cuochi Siciliani
Un evento che intende valorizzare il ruolo delle donne chef, protagoniste della cucina professionale siciliana, e celebrare la loro competenza, dedizione e passione.
Il comparto Lady Chef, nato ventinove anni fa, ha come obiettivo quello di mettere in risalto la figura femminile nelle cucine e di contribuire al superamento del divario di genere. Il Gran Galà sarà dunque un’occasione di incontro e di festa, ma anche di riflessione e confronto, nel segno dello spirito associazionistico che anima l’Unione Regionale Cuochi Siciliani.
All’interno della manifestazione si terrà la selezione regionale del Concorso Cirio, che decreterà la Lady Chef siciliana chiamata a rappresentare la regione nella fase nazionale dei Campionati della Cucina Italiana a Rimini
“Una vera e propria festa – ha dichiarato la Coordinatrice Regionale, Chef Rosi Napoli – che vuole essere anche un momento di condivisione, riflessione e confronto”. Le Lady Chef provenienti da tutte le province siciliane si ritroveranno a Palermo per vivere insieme due giornate intense, all’insegna della collaborazione e della professionalità.
“Celebreremo la bellezza – ha concluso Chef Napoli – quella che rimane anche sui volti stanchi dopo ore di lavoro. Celebreremo i sacrifici, la competenza e la forza delle nostre meravigliose Lady Chef.”
A moderare l’evento sarà la food blogger e Lady Chef, Barbara Conti, Segretario Provinciale APCI di Ragusa, che accompagnerà il pubblico in questo viaggio di memoria, territorio e passione culinaria.
Per consultare il programma completo epotere prendere parte alla Cena di Gala, aperta a tutti, andate sulla pagina facebook Lady Chef Regione Sicilia
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