Cultura
U Marranzano di Don Peppe Cicuoria… un suono, il ricordo di un tempo che fu
Il Marranzano Come un suono triste – di marranzano – che ti vibra in gola – e poi lentamente muore, – la vita se ne va. – E ti sembra cosa assurda – questa carne che ti porti – appresso, – trascinata, trasmutata, – derivata da quel grumo – sanguinolento che mani – esperte alzarono – perché l’aria desse l’avvio – al grido della vita, – mani che tagliarono – e separarono da altra carne, – da altro tu, – dove nuotava il tuo oscuro io.
Il marranzano di cui parla Vincenzo Fiaschitello in questa sua meravigliosa poesia è uno scacciapensieri tipico siciliano, un vero e proprio strumento musicale. Il suo è un suono inconfondibile, che un tempo accompagnava i canti popolari, antichissimo, un suono che tutti i siciliani conoscono più che bene e che per fortuna lo scorrere del tempo e l’era moderna non sono riusciti a cancellare. Non ci riusciranno mai, perché le più antiche tradizioni siciliane sono ancorate in modo saldo non solo alla memoria ma all’essere stesso siciliani, alla quotidianità, alla parte più profonda della propria anima. Che lo si chiami marranzano, mariuolu come son soliti dire a Palermo, marauni come lo chiamano i catanesi, ngannalarruni come invece si è soliti dire ad Agrigento, il marranzano resta e resterà per sempre uno tra i più importanti simboli della Sicilia. Ma nel descrivere questo strano e semplice strumento musicale “il Marranzano” i ricordi della mia passata gioventù fioriscono come le fresie in primavera. Generalmente la domenica mattina presso il mio quartiere natio “gli Archi” in tarda mattinata… sentivamo (con i miei soliti amici) presso l’arco della casa del compare Linguanti un suono allegro e allo stesso tempo malinconico… tutti noi ragazzi sapevamo che era quel buon tempone di Peppe Cicuoria che dopo una settimana di lavoro (faceva il verduraio) la domenica mattina con la pioggia o con il sole si cimentava a suonare il marranzano… e alcune volte cantava una canzone in cui tutti pensavamo ci fosse qualcosa o qualcuno a cui il Don Peppe Cicoria era molto legato… il testo lo riporto in questo racconto perché mi è rimasto indelebile fra i ricordi più cari… (immaginiamo che la canti il Peppe Cicuoria…).
Mi scuordu, mi scurdà, scurdatu sugnu, – mi scuordu di la stessa vita mia. Mi scurdavu lu bbeni di ma mamma, era cchiù dduci, cchiù mègliu di tia. Mi scurdavu lu bbeni di me patri, – passa lu mari tri bboti pi mmia. Mi scurdavu l’amici poi a me frati, – di li santi mi scuordu e no di tia. Lasciando il ricordo e continuando la mia spasmodica ricerca delle sfumature di Sicilia mi è capitato di sentire anche il richiamo irresistibile di un suono primordiale; seguendo le sue onde sonore mi sono addentrato tra le mie campagne Iblee, perché proprio là viveva ancora uno degli
ultimi costruttori di Marranzano siculo, il decantato Carmelo Buscema, indicatomi da Don Peppe Cicuoria ( suonatore autodidatta di questo strumento arcaico e misterioso).
Don Carmelo mi ha aperto le porte del mondo dello “scacciapensieri”, descrivendomi materialmente le lunghe fasi di lavorazione di questo strumento-non strumento che a prima vista potrebbe sembrare di semplice realizzazione e invece il risultato dello strumento si basa sull’equilibrio e sull’incontro di forme femminili e maschili. L’origine del marranzano rimane ancora sconosciuta, ma ha preso comunque consistenza l’idea romantica che la sua forma prenda ispirazione da figure mitologiche femminili come quella di Inanna, la Dea della fertilità sumera. Lo scacciapensieri lo si ritrova – con caratteristiche e nomi diversi – in tantissimi paesi di tutti i continenti, in alcuni di questi è addirittura lo strumento nazionale utilizzato nelle feste importanti e persino studiato a scuola. Il legame dello scacciapensieri con la Sicilia però è, nell’immaginario di tutti, il suono che viene immediatamente collegato alla terra di Trinacria… purtroppo è stato accostato anche negativamente a questa Terra da una visione miope della storia. Il Maestro insisteva nell’affermare che c’è qualcosa di particolare nel suono, una sorta di legame con la natura… e probabilmente il suono del marranzano sarà stato collegato alle vibrazioni di una foglia (come racconta Nino Pracanica), poi avrà avuto una struttura in legno – come il Kubing delle filippine in bambù – fino ad arrivare all’utilizzo del metallo e a tutte le diverse forme ancora esistenti. Un’onda sonora che parte dalla pancia passa dai polmoni e dal cuore, attraversa la gola e viene fuori dalla bocca come fosse un respiro vibrante della Terra…
E con mia grande meraviglia il Maestro oltre ad essere un abile artigiano del suono era anche un conoscitore della storia e della leggenda riguardante il Marranzano… e fu così che seduti davanti alla sua bottega in compagnia di Leo e Brigida ( i due gatti del Maestro…) mi raccontò tutto ciò che sapeva sullo scacciapensieri siciliano.
Il marranzano fu usato in Sicilia sin dal medioevo. Si trattava però di uno strumento in realtà ben più antico che affonda le sue radici in Asia. Un antico disegno cinese del IV secolo a.C. raffigura infatti un uomo intento a suonare quello che sembra proprio un marranzano! Dall’Asia il marranzano si è poi diffuso in tutto il resto del mondo, trovando in Europa terreno fertile. I siciliani lo hanno scoperto probabilmente grazie alle dominazioni subite nel corso dei millenni oppure grazie ai mercanti provenienti da terre lontane che utilizzavano i porti della Sicilia come base per il loro commercio e le loro spedizioni. Quel che è certo, è che i siciliani lo hanno amato da subito, facendolo proprio, facendolo entrare a pieno titolo nelle loro tradizioni e diventando abili nella sua costruzione.
Come è fatto e come si suona il marranzano Lo scacciapensieri siciliano è uno strumento musicale idiofono. Con questo termine si intende uno strumento che produce un suono solo grazie alle vibrazioni del materiale di cui è composto, senza che vi siano quindi superfici o elementi di tensione. Lo scacciapensieri, infatti, è composto da due elementi, una linguetta di ferro e un ferro di cavallo metallico. Il musicista tiene lo strumento tra i suoi denti così che la bocca possa fungere da cassa di risonanza. Con le mani muove la linguetta di metallo che vibra sul ferro di cavallo. Ecco che si produce in questo modo il suono che ovviamente è modulabile come meglio si preferisce, muovendo la bocca e modificando il proprio respiro. Lo scacciapensieri e il musicista sono quindi
un tutt’uno, collegati tra loro, interconnessi, interdipendenti. È solo grazie a questo intimo rapporto, che la musica può avere origine. C’è bisogno però di un minimo di attenzione e di abilità nel suonare questo strumento. Se la linguetta metallica vibrando va a sbattere contro i denti o peggio ancora contro la lingua, il musicista potrebbe farsi davvero molto male!
Il marranzano, grazie a Ennio Morricone, è uscito dai confini siciliani È vero, il marranzano ha conosciuto una buona diffusione un po’ in tutta Europa nel corso dei tempi ma non è riuscito a trovare altri luoghi se non la Sicilia dove affondare le proprie radici in modo saldo, diventando uno strumento popolare, tipico, tradizionale. Nel corso dei primi anni del ‘900 in Italia lo si suonava praticamente solo in Sicilia e in pochi sapevano cosa fosse. Poi però Ennio Morricone, il grande compositore, ha deciso di utilizzare proprio lo scacciapensieri siciliano per la realizzazione della colonna sonora del film diretto da Sergio Leone “Per qualche dollaro in più” e in quell’occasione fu suonato da Salvatore Schillirò.
Utilizzare, da parte di Morricone, uno strumento tipico di un’isola del mediterraneo per le musiche di un film western americano fu a primo acchito una scelta audace, forse persino azzardata, una scelta che è risultata alla fine sicuramente eccellente. Ennio Morricone voleva, secondo le sue stesse parole, riuscire ad “enfatizzare un primitivismo ancora più radicale” grazie all’utilizzo del marranzano in un modo del tutto nuovo, inedito. È riuscito senza dubbio nel suo intento, uno strumento questo che ha saputo infatti spiegare, descrivere con i suoi suoni ogni personaggio, ogni scena in cui è stato inserito. Curiosità e leggende sul marranzano
Purtroppo, il marranzano non viene sempre visto di buon occhio. Secondo molte persone è stato spesso utilizzato da ladri, mafiosi, criminali per comunicare senza farsi notare. È molto probabile che il marranzano sia stato utilizzato anche in questo modo, ciononostante si tratta di uno strumento da sempre presente nei canti popolari, che ha sempre accompagnato i tipici carretti siciliani e che un tempo tutti avevano nel taschino pronto all’uso, soprattutto contadini e pastori. Guardarlo solo come uno strumento di ladri e mafiosi è del tutto errato perché non porta rispetto a quelle che sono le più belle e antiche tradizioni della Sicilia! Non tutti lo sanno, ma secondo antiche leggende lo scacciapensieri siciliano ha anche dei poteri magici solo nel caso in cui la sua linguetta è realizzata in argento. In questo caso, infatti, chiunque ascolti il suono del marranzano, cade in un sonno profondo…
Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi
Cultura
Pantelleria, per i Morti il Vespa Club in tour nei suggestivi cimiteri dell’isola
In occasione della giornata dedicata ai defunti il Vespa Club Pantelleria si presenta in formazione ridotta per visitare i 3 cimiteri isolani iniziando alle 8.30 da quello di Pantelleria centro , poi giunti a quello di Khamma dove hanno partecipato alla Santa Messa, da lì si sono diretti a quello di Scauri dove hanno concluso la mattinata.
Come sempre, le escursioni dei nostri vespisti sono momento di attrazione, per i colori dei mezzi che sfrecciano, per l’atmosfera leggera che aleggia intorno a ciascuno di loro come un’aurea benefica. Abbiamo sentito il Presidente del Club di Pantelleria, Giovanni Pavia, per chiedergli di fare il punto della compagine dopo questa giornata tra i suggestivi cimiteri dell’isola.

Presidente ma come mai così pochi vespisti oggi siete in organico ristretto? “Eh si purtroppo e per fortuna di alcuni soci continua la raccolta delle olive , altri influenzati ed altri impegnati con il lavoro , cmq l’importante è essere presenti e portare avanti la nostra passione.”
Quando si chiuderà il campionato vespistico del 2025? “Abbiamo ancora due giornate la prossima domenica, il 16 novembre sempre se il tempo lo permette oppure si posticipa alla domenica successiva.”
Vuole anticiparci la classifica dei soci adulti e dei minori? “Ma guardi preferisco di no , cmq posso dirvi che quest’anno sarà un po’ diversa dagli anni precedenti , abbiamo una classifica bella di soci che hanno meritato il risultato fino a ora ottenuto, tantissimi saranno i premi di partecipazione per i vari eventi svolti oltre il campionato che vedrà vincitori i primi 10 soci in classifica adulti e altrettanti soci minorenni o Accompagnatori minorenni.
“Vi terremo cmq informati , al momento auguro a tutti una felice domenica.

Ambiente
Pantelleria, vendemmia 2025: i risultati tra siccità pregressa e peronospera
Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano
Ogni anno teniamo sott’occhio quella che una eccellenza indiscussa di Pantelleria: la viticultura.
Grazie a questa pratica di agricoltura decisamente eroica anche ai nostri tempi, l’isola ha conquistato uno spazio nei patrimoni dell’umanità, per cui l‘UNESCO ha conferito, lo ricordiamo, il riconoscimento proprio per la vite ad alberello.
Quest’anno abbiamo voluto fare un approfondimento, con una intervista, viste le recenti problematiche ambientali. Abbiamo contattato, all’uopo, Giovanni Bonomo, agricoltore eroico soprattutto per la passione che mette nel suo lavoro. Solerte, studioso, conosce i nomi latini di tutti o buona parte i parassiti che aggrediscono la vite, ma anche i capperi e altre colture importanti nella nostra economia. Con quel suo fare un pò romantico e un pò nostalgico, si sofferma ad analizzare soluzioni possibili per arginare problematiche simili, anche in modo sostenibile, si veda la conferenza che si terrà il 13 novembre prossimo e di cui parleremo in questo articolo.
E così, esordiamo: Signor Bonomo, com’è andata la vendemmia di quest’anno? “Partiamo dalla siccità dell’anno scorso che ha portato una certa sofferenza alle piante. Quest’anno invece è piovuto circa 600 mm, quindi un po’ d’acqua è entrata nel terreno, però le piante venivano da un periodo di indebolimento, in cui la vendemmia è stata pessima.
Quest’anno però le viti, queste viti che hanno piantato i nostri antenati, che le hanno scelte fondamentalmente molti migliaia di anni fa, potendo risalire sino ai fenici, perchè lo zibibbo arriva a Pantelleria con i fenici, hanno avuto un buon ristoro grazie appunto all’azione della pioggia. Seppur non sia stata abbastanza generosa.
Ma ciò che ha afflitto quest’anno le piante è stata la peronospera che ha inflitto loro un effetto di “bruciatura”.
Vuole spiegare a chi non è del settore cos’è la peronospera? “La peronospera, è un parassita, venuto dall’America, come anche lo Oidio, che in Italia si chiama malaria. Esso si riproduce, si replica, e alla fine le foglie tenere e i grappoli teneri che vengono colpite restano come “bruciate”. L’intera isola ha sofferto di questo “attacco”.
Siamo a novembre, la vendemmia ormai è arrivata quasi al termine. A Pantelleria si fanno più raccolti, ce li vuole spiegare? “Sì, oramai l’abbiamo terminata. La prima raccolta si fa all’incirca ad agosto, nelle zone troppo veloci, partendo dalla scogliera con le uve primizie.
Queste primizie, una volta partivano per fare le cosiddette gabbiette ed essere distribuite come uva da tavola. Fatta questa prima raccolta, via via si risale di quota.”
Quali sono i vitigni della tradizione pantesca? “In gran parte è lo zibibbo, poi i panteschi avevano, un tempo per uso personale, il catarrato, il nero nostrale l’insolia, il garignano e altri vitigni secondari. Però ripeto, una volta questi coltivati per uso personale, l’uva che andava alla vendita era lo zibibbo.
“Questo perchè, in genere, l’agricoltore pantesco non gradisce tanto lo zibibbo, specie il vino dalla prima raccolta che sa essere stucchevole.
“Ma, negli ultimi decenni, sono cominciati ad arrivare i Merlot, i Cabernet, i Shiraz e via discorrendo così.”
Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano
La vendemmia di quest’anno ha prodotto un quantitativo e un qualitativo che ci (6:40) lascia soddisfatti? “Come quantitativo si potrebbe fare un po’ di più, se non venissimo da un anno molto arido, come qualità è molto buono. L’uva passa appassisce sempre a quel livello là, quindi poi sono sia i viticoltori con la loro cura, sia gli enologi che fanno dei grandi vini.
Questo quando non piove proprio quando è durante la vendemmia, perchè va a peggiorarsi la qualità dell’uva. Questo, per fortuna non si è verificato in questa annata.
Ho parlato ieri con l’Antonio D’Aietti l’enologo, forse il principale professionista dell’isola, e lui mi ha detto che stanno guardando gli ultimi arrivi delle varie particelle, delle varie produzioni: siamo sui un 22 mila, si potrebbe arrivare a 24-25 mila quintali.”

Tra qualche giorno si darà via a un corso formativo all’avanguardia, che vuole esporre l’isola ad uno step nel progresso dal punto di vista dei trattamenti. Organizzato dal Centro Giamporcaro e nato da una sua idea, cosa può anticiparci? “L’Università di Palermo ci ha indicato questo formatore, il prof. Luigi Rotondo. Il corso si terrà dal 13 al 16 ottobre e durerà 14 ore, distribuite in tre pomeriggi e una mattinata, cercando di conciliare l’orario con le esigenze degli agricoltori, che di solito lavorano sempre e non hanno mai tempo di fare i corsi.
L’idea è di chiarirci le idee sulla peronospora e altri parassiti, formando i lavoratori del settore anche con l’autoproduzione di alcuni preparati, per cercare anche di ridurre l’impatto chimico sulle coltivazioni, che poi la parte anche li mangiamo noi.”
“L’argomento è molto grande, rispetto anche a come si mantengono i terreni, tenendo presente pure l’età delle persone, i mezzi che hanno a disposizione, i guadagni.”
Abbiamo notato che questo corso è considerato talmente valido, che il centro Giamporcaro ha radunato parecchi sostenitori: oltre Comune e Parco Nazionale, il Consorzio Vini Doc, le cantine Pellegrino, Emanuela Bonomo e Donnafugata. Poi Fertigess e Stelmond Bio, ma anche l’Autonoleggio Policardo, seppur non sia del settore. “Infatti, già durante una riunione dello scorso marzo abbiamo invitato diverse aziende, le più importanti hanno risposto, quindi Donna Fugata, Pellegrino, adesso è arrivata anche Emanuela Bonomo. Abbiamo anche come sponsor il Noleggio Policardo che è sempre molto sensibile ad appoggiare iniziative per il territorio. Tutta questa gente ha creduto in questo progetto presentato dal Giamporcaro, con il suo presidente Anna Rita Gabriele. Il Giamporcaro dura da 30 anni con un grande lavoro alle spalle: è uno dei maggiori soggetti attivi dal punto di vista sociale, culturale, il tutto, essendo una associazione no profit lo fa gratuitamente per la comunità di Pantelleria.”
Cultura
Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura
Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.
Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.
Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.
In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.
Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.
Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?
Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura aziende che lo producono con 10 aggiunte.
A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.
Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.
Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.
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