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Cultura

Servizio militare di leva, le tappe di un obbligo durato 143 anni

caterina murana

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i QUANDO IL SERVIZIO MILITARE ERA OBLIGATORIO… I SICILANI VENIVANO DESTINATI AL NORD E I PIEMONTESI AL SUD L’ obbligatorietà della cosiddetta “naja”, introdotta nel Regno d’Italia nel 1861, è stata resa inattiva dal 1° gennaio 2005. Nel Dopoguerra la sua durata era scesa da 18 a 10 mesi e sono state riconosciute l’obiezione di coscienza e il servizio civile sostitutivo. Il Ricordo… Era il 17 maggio del 1978 anch’io come la maggior parte dei giovani abili al servizio militare partii dalla mia città Ragusa per andare ad Orvieto presso la Caserma “Piave” a svolgere la selezione e l’addestramento (CAR). Nel mio caso fui incorporato a svolgere il servizio di leva presso il I Battaglione Bersaglieri “La Marmora” di stazza a Civitavecchia come Bersagliere scelto incarico 30/A (Assaltatore). Ragazzi di ieri, uomini di oggi, che con il trascorrere del tempo hanno mantenuto il ricordo di quel periodo della loro vita spesso con il desiderio di raccontarlo o anche solo di incontrare nuovamente i propri commilitoni. Com’è noto il servizio obbligatorio di leva venne sospeso nel 2004 con la legge Martino. Un’istituzione durata 143 anni, dalla nascita del Regno d’Italia fino al gennaio 2005 quando giurarono i nati nel 1985, l’ultimo scaglione di leva. Quei mesi di coscrizione obbligatoria (prima 24 poi 12) per molti giovani rappresentarono una finestra verso un mondo fino ad allora sconosciuto: la propria Nazione. Quella chiamata obbligò infatti i giovani che raggiungevano la maggiore età a partire da casa superando, magari per la prima volta, i confini del proprio paese. Non a caso in tanti riconoscono il servizio militare obbligatorio quale strumento che facilitò la costruzione dell’unità d’Italia, oltre che la diffusione dell’italiano. “All’arme, All’arme, e siamo già borghesi, son giorni e non so mesi, e non si sente più la ritirata neppure il contrappello e l’adunata…”. Quanti uomini ragusani ricordano queste parole, gli ultimi i nati nel 1985, che significavano ritorno a casa dopo aver assolto l’obbligo di leva. Intere generazioni di isolani hanno dato il loro contributo alla patria e ancora oggi conservano quella divisa. Oggi la maggior parte, che vediamo sfilare alle parate, è composta da professionisti ma fino al 2005 non era così. Tutto iniziava intorno ai diciassette anni con i famosi tre giorni dedicati alla visita medica, molti ne avevano l’incubo. C’erano vere e proprie leggende metropolitane che certamente non mettevano di buon umore, messe in giro da chi aveva già affrontato quella prova. Al ritorno era facile che fra i ragazzi che movimentavano la “movida ragusana”, tra corso Italia e via Roma, ci si chiedesse: “Ti hanno arruolato?”. La risposta a volte era sì, detta fra rabbia e orgoglio.

Vi chiedereste perché fra rabbia e orgoglio. Rabbia perché si considerava un tempo perso soprattutto per quei giovani che davano una mano al reddito familiare lavorando nelle piccole botteghe o dai “Mastri” (Professionisti Artigiani) che animavano la città. Orgoglio perché c’era la soddisfazione di aver superato queste prove fisiche. Un altro motivo d’orgoglio era il corpo di appartenenza, perché se avessi fatto parte della marina o dei bersaglieri saresti stato sicuro che, una volta indossata la divisa, diventavi “figo” per le ragazze. Spesso, infatti, nella “movida ragusana dell’epoca” le ragazze che vedevano un marinaio o un bersagliere si pizzicavano fra loro. C’era il detto “pizzico a te, fortuna a me”. Le ragazze andavamo matte per quelle divise. A vent’anni ti staccavi dalla famiglia, arrivava la “famosa” cartolina con la tua destinazione, nella nostra città la maggior parte partivano da Catania o Siracusa, accompagnati in macchina dai genitori, la partenza in treno da Ragusa era sconsigliata per la prolungata durata del tragitto. Vi era un rituale che si ripeteva nel tempo: fidanzate che piangevano nei giorni che precedevano la partenza, coppie che si promettevano amore eterno. I posti erano la villa Margherita o il più blasonato Giardino Ibleo, e nelle balaustre o in alcuni alberi a volte si incidevano cuori con le iniziali e con la data della promessa. Sembrava di partire in guerra, si scambiavano foto singole e spesso le ragazze le impregnavano con il rossetto come per tener vivo il ricordo di un amore, non esistevano ancora gli i-phone e gli smartphone e i loro antenati cellulari. Quella foto era la prima cosa che sistemavi nell’armadietto. Arrivava la partenza, dovevi affrontare un nuovo mondo, per molti era la prima volta che si stava lontano dai genitori, dalla ragazza e spesso (forse molte ragazze fidanzate non lo hanno mai saputo) ci si raccomandava all’amica fidata per essere informati sulla fedeltà. Per chi era destinato a sud Italia, si era considerati fortunati, bene o male si stava nel mezzogiorno, per chi andava nelle regioni del nord era proprio un calvario. Quanti si vedevano al ritorno a Ragusa passeggiare con la divisa. Lungo le vie della “movida ragusana” eri l’osservato speciale. In quel periodo si fortificavano gli amori ma spesso se ne rovinavano altri. Si aspettavano lettere, a volte, fra commilitoni e ti accorgevi se qualcuno fosse tornato single. Si scrivevano lettere piene di promesse, non erano sms o chat con poche lettere senza vocali, ciò che succede oggi. Poi la fila al telefono, si ascoltavano i “quanto mi ami” degli altri, si cercava la cabina più lontana per avere un po’ di privacy, peccato che tutti avevano avuto lo stesso pensiero e si ritrovava a far la fila. In quel periodo stringevi amicizia con i commilitoni di altre parti d’Italia, in pratica imparavi a far gruppo e a reagire, in parole povere a cavartela da solo. A volte c’era anche il lato negativo che spesso rovinava tutto: il “nonnismo” che sarebbe il moderno “bullismo”. Ne facevano le spese i deboli o i ribelli. Quanti ricordi vengono ancora conservati: i numeri telefonici scritti al momento del congedo che ancora si conservano. Spesso ci si ritrova sui social. Chissà se si decidesse di rendere obbligatoria la “naja” come la vivrebbero i giovani di oggi. Ai posteri l’ardua sentenza! Noi potremmo dire come nel film di Toto: Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo! Nel mio caso ho fatto 2 mesi ad Orvieto e 10 mesi da Bersagliere scelto 30/A (Assaltatore) a Civitavecchia…

I 3 GIORNI DECISIVI: IL VIAGGIO… L’ARRIVO… E IL CORPO DI APPARTENENZA Il punto più a nord d’Italia dove ero stato era Reggio Calabria e pensavo che l’Italia finisse subito dopo … sapevo che poi c’era Roma e subito dopo Milano, dove avevo parenti. Invece, non solo

passai la costa tirrenica salernitana e poi la Campania (degustai a volo la decantata pizza venduta da ambulanti in stazione…) ma proseguii fino in Umbria e lì finalmente arrivai alla stazione di Orvieto. Sui binari c’erano ad attenderci dei soldati e graduati che scrutavano i giovani in arrivo; se avevi in mano una borsa e magari la cartolina precetto eri finito. È fu così… “Tu, spina, vieni qui. Mettiti lì, che quando ci siete tutti vi portiamo in caserma”. Primo impatto con le buone maniere dell’Esercito Italiano. Quando siamo stati in numero sufficiente siamo partiti su un cassone CM (che sta per camion medio, contrapposto a Camion Leggero e Camion Pesante). Iniziano le sigle incomprensibili (CM, CP, CL, 48, 36, 5+2, CPR, CPS, 165, RAL, …) e gli ordini gridati “scendere, sbrigarsi, aspettare”. Il viaggio in camion era obbligatorio perché la caserma Piave stava nella parte alta della città rispetto alla Stazione ferroviaria, ubicata nella parte inferiore della città (Scoprii dopo che c’era una funicolare che garantiva il trasporto veloce fra le due parti della città). Dalle due del pomeriggio, rigorosamente senza mangiare, siamo riusciti ad arrivare in camerata alle 21, esausti, sfiancati, depressi e anche un po’ impauriti. Prima ci hanno registrato in un grande stanzone dove venivamo chiamati e alcuni soldati seduti dietro lunghi tavoli ci interrogavano per compilare una scheda piena di dati che, teoricamente, erano già in possesso dell’esercito. Subito dopo ci assegnarono il piano e la camerata dove andare a dormire, e fu così che con alcuni corregionali conosciuti nel lungo tragitto ferroviario ci organizzammo per la scelta delle brande e dei rispettivi armadietti a trascorrere la prima notte fuori casa. Eravamo quattro giovani siciliani accomunati dalla sola terra di appartenenza… Scrimali e Caldara di Palermo, Di Gricoli dell’Agrigentino ed io di Ragusa… la tristezza sopraggiunse quando sentimmo suonare il silenzio da un commilitone con la sua tromba… in quel momento tutti indistintamente dai piemontesi ai siciliani sono sicuro che il pensiero andò alla propria terra e ai propri cari… Il Terzo giorno, dopo giorni di visite mediche, di misurazione di altezza e di taglie, fummo avviati in magazzino per l’assegnazione della divisa militare da indossare… ( Solo a quel punto avremmo saputo a quale corpo di appartenenza eravamo stati assegnati) e poi ci hanno fatto spogliare degli abiti civili e portati al magazzino per il vestiario: zaino da viaggio, divisa estiva, divisa invernale, basco, bustina, passamontagna, tre camice, mutande tattiche, calzettoni, maglie da sotto, scarpe, scarponcini, anfibi, materasso, cuscino, federe, lenzuola, coperte, fazzoletti, sapone, spazzole, lucido, grasso, gavetta, dentifricio, posate… e inaspettatamente mi fu consegnato dal magazziniere un astuccio di cartone (oggetto misterioso…), incuriosito chiesi lumi del contenuto dell’astuccio… il caporale con una sonora risata… mi disse che ero diventato un Bersagliere… e dentro l’astuccio c’era l’indizio maggiore di ciò… curioso in disparte aprii l’astuccio misterioso e ne uscì il piumetto del bersagliere da inserire nel cappello per le grandi occasioni o nell’elmetto per l’addestramento o in missione… Da quel momento e per tutti i 12 mesi fu una continua corsa… Svelti, svelti, correre, … Sembravano divertirsi a farti aspettare per poi invitarti a correre. Alla fine, a Dio piacendo, con quel carico di roba pesantissimo e voluminoso, ce la facemmo e arrivammo in camerata. Ho messo a posto quel che potevo e mi sono buttato sul letto a castello che mi avevano dato. Mi veniva da

piangere e mi chiedevo: ma dove sono finito? Intanto, sino a mezzanotte hanno continuato ad arrivare altri disgraziati come me. Tra grida e rumori, alla fine, mi sono addormentato.

IL SERVIZIO DI LEVA FINI’ MA ALCUNE COSE RIMASERO IN ME PER TUTTA LA VITA Come tante situazioni o esperienze nella vita di tutti noi anche il servizio di leva è stato formativo nel bene e nel male! Quell’anno di servizio militare fu una delle pietre miliare della mia vita. La conoscenza di altre realtà sia nei rapporti umani che ambientali, la scoperta di una capacità sportiva che ancora oggi pratico con passione “la corsa”, la capacità di adattamento a circostanze diverse dall’ambiente in cui vivevo e per ultimo ma con reale sincerità… furono e lo sono ancora oggi l’orgoglio e la contentezza di essere stato e mi sento ancora oggi un Bersagliere… dalla caserma Piave di Orvieto a quella di Civitavecchia.

Salvatore Battaglia

Presidente dell’Accademia delle Prefi

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Cultura

Sold out a “Preistoria di Pantelleria, viaggio nel passato…” con prof. Cattani, firmata Centro Giamporcaro

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Il Centro Culturale Vito Giamporcaro, uno dei motori della cultura di Pantelleria ha registrato sold out, alla conferenza “Preistoria di Pantelleria, un viaggio nel passato per lo sviluppo turistico dell’isola”, dove protagonista era, oltre la nostra Pantelleria, il professor Maurizio Cattani, appassionato studioso dell’isola dalla sua preistoria, appunto.

L’evento, organizzato  dal Centro Giamporcaro, nella persone del suo Presidente Anna Rita Gabriele, nella corte del Castello Medievale ha visto la partecipazione di istituzioni, come l’Ente Parco di Pantelleria, rappresentato dal Comm. Italo Cucci, dall’Assessore alla Cultura Adele Pineda,
La soddisfazione per la qualità dell’evento e la moltitudine di pubblico è stata altissima per il Presidente  Anna Rita Gabriele che ci spiega “Questo tipo di manifestazioni culturali è stato sempre coltivato dal nostro Centro, anche presso i Circoli dell’isola e spesso con lo stesso Professor Cattani.
“Ma vedere il Castello così gremito è stato motivo anche di emozione. Così i miei ringraziamenti rinnovati per lo studioso, per quanti sono intervenuti e per il Comune per aver concesso l’uso dell’imponente dimora medievale.”

Ci racconta tutto sulla conferenza, Giovanni Bonomo, del direttivo del CCVG e regista di molte iniziative. Egli ha elogiato l’incredibile lavoro svolto dal  Cattani,  docente di Preistoria e Protostoria presso l’Università deli studi di Bologna.

Quando è arrivato il professor Cattani a Pantelleria? “Ben 29 anni fa. Noi eravamo della Lega Ambiente. L’ho preso con l’ape (il veicolo a tre ruote) e mi ha portato a Mursia. Però lì c’era anche Sebastiano Tusa. Questi aveva 37 anni, io 27: eravamo giovani.
Consideri che all’epoca dei 40 circoli di tutta la Sicilia, solo Pantelleria e Partinico avevano inviato una missiva illustrativa del patrimonio culturale locale.

“Noi, come lega ambiente, pulivamo le scogliere. Allora lui dice ‘ma senta, anziché pulire le scogliere, andiamo a cercare i Sesi?’ E abbiamo cominciato a cercare i Sesi, questo nel 94. 

“Poi nel 95 è venuto il professore Tosi Maurizio, che era docente di Cattani, era un uomo incredibile: per esempio girava la Siberia con gli aerei per vedere le città fossilizzate. Questi mi dice ‘Se voi mi date un laboratorio, io porto dieci professori e cinquanta studenti.
“E così è cominciata la ricerca
“Ieri, per esempio, il professore Cattani ha fatto vedere questa città monumentale che abbiamo noi, e che ce l’abbiamo solo noi, una città così, in che condizioni. Ma lei sa che la politica e la burocrazia spesso non aiutano la cultura, ma ora finalmente  questa è l’amministrazione la prima che ha speso i soldi per l’acropoli, per musealizzare, per sistemare una parte. 
Ma bisogna investire anche ai Sesi e sul  Castello”.

Comunque quello dell’acropoli è un importante segnale,  anche per chi viene dopo, gli si ricorda, giusto?Tutte le amministrazioni, anche quelle che verranno dopo, come dice lei giustamente, ogni anno anche il Castello, dove eravamo ospiti ieri con la conferenza, deve essere valorizzato, mantenuto in sicurezza, impiegati giovani per l’accoglienza dei visitatori, etc. Noi dobbiamo attrezzarci e rendere produttivo il patrimonio che abbiamo.

Il villaggio sesiota: cultura e sue contaminazioni.
Le visite turistiche dei faraoni d’Egitto


Ma tornando alla conferenza… “Il Prof. Cattani è una persona di grande disponibilità, sensibile e alla mano.  Sono anni che scava a anni scava, lui è molto disponibile. Ha compiuto una spiegazione filologica molto chiara della cittadella sesiota sostenendo ‘è una città che ce l’avete solo voi nel mondo.  Con delle mura, questo muro grande c’è sulla Pantelleria. Le abitazioni dove vivevano i sesioti. In esse abbiamo trovato le piastre di cottura, gli alari con il vasellame. E’ stato ricostruito cosa mangiavano all’età del Bronzo a Pantelleria. Lui infatti ci ha precisato, che questi mangiano sempre benissimo e molta caqrne: maiali o caprini, mucche, pesce. Era una società molto democratica: le case sono tutte uguali,  fra ricchi e poveri c’è una differenza irrisoria, diciamo.  
Poi ha fatto vedere delle lance, una forma di fusione di una lancia dei faraoni.  I faraoni abitualmente venivano gli egiziani qui. 
“Ma anche asce della Bretagna, della Cornovaglia inglese. Quindi qua si incontravano queste persone.

“C’è un professore che si chiama Steve Van Matre e  dice che Pantelleria è un’isola dove i continenti collidono, ma collidono anche le culture. I panteschi, per esempio, in una stanza abbiamo trovato 30 forme di fusione di asce. In tutta Sicilia ne hanno trovato 5. In un’altra stanza abbiamo trovato il 600% in più di forme di fusione trovate nell’intera Sicilia. Ma sono state trovate anche collane della penisola arabica.
“Questo significa che Quindi queste persone arrivavano qua viaggiando e poi si stabilizzavano. 
 “E poi stabilendosi qua con gli altri entravano in relazione.  Quindi si costruì una comunità, diciamo. “


Ma ecco per esempio queste armi, queste collane e monili  dove sono state rinvenute?  Dentro il villaggio sesiota a Mursia, scavando.  scavando nelle varie capanne si sono trovati reperti  unici nel Mediterraneo, da queste parti, come  bracciali in avorio bracciali in avorio,  collane decorate in vetro color cobalto,  con filamenti color oro.

Mi scusi, ma vogliamo ricordare o informare dove si trovano tutte queste preziosità culturali, storiche, sociali? “C’era una comunità di quattrocento anime attrezzate. Quando tu arrivavi, eri un viaggiatore, ti rifocillavano,  poi dovevi dare qualche cosa,  dovevi pagare per questo servizio. Ecco com’è iniziata la varietà del tesoretto degli antichi panteschi sesioti.  Tutta questa roba bellissima sta nei magazzini, diciamo…  perché non abbiamo un museo. Anzi lo avremmo ma  nel 2004, poi per lavori di ampliamento  l’hanno chiuso da ventun anni e mai più riaperto. 
“Il museo del 2004 era dotato di cartine, reperti, abbiamo tanti reperti.
“Ora, una piccola parte è stata esposta al Museo Vulcanologico, vasellame, asce.
“Però, una gran parte, siamo costretti a tenerle nei magazzini, ma noi queste cose  le dobbiamo mettere a regime, diciamo.

Certo, certo. Beh, abbiamo un patrimonio pazzesco e che non viene utilizzato e messo a disposizione dell’umanità?Esatto, purtroppo! ma almeno adesso  l’amministrazione ha messo dei soldi finalmente all’Acropoli. E’ un buon primo passo.
“Ci ha fatto molto piacere l’intervento dell’assessore Pineda, prima non venivano mai. 
“E c’era pure Italo Cucci del Parco.
“C’era anche il club alpino, l’Associazione Aeronautica Militare. Insomma segnali di partecipazione e condivisione degli intenti da più direzioni”.

Sicuramente il Centro Giamporcaro organizzerà altri eventi simili che consentono la conoscenza e l’avvicinamento ad una storia e a preistoria incredibili di un isola ricca come uno scrigno di bellezza, cultura inesauribili.

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Cultura

“Forme d’Arte Pantesche”, al Castello doppia mostra del Centro Giamporcaro

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Cinque artisti squisitamente panteschi in mostra dal 20 luglio, presso il Castello

Dai quadri alle foto, le arti figurative di Pantelleria in una mostra suggestiva di 5 artisti isolani

Il Centro Culturale Vito Giamporcaro, domenica 20 luglio, dalle ore19.30, presso il Castello Medievale di Pantelleria, inaugura “Forme d’Arte Pantesche”, dove la pittura si sposa con la fotografia in un magico abbraccio artistico tutto pantesco. 
Sarà presente la Presidente del CCVG, Anna Rita Gabriele.

I pittori che espongono sono: Luigina Gabriele, Camilla Ganci, Daniele Baiamonte e Salvatore Bernardo. 
Il fotografo è Francesco V. Ferrandes, 

Durata dell’esposizione

Così, nuovamente il Castello dell’isola vedrà in scena una delle tante e variegate iniziative del Centro Culturale Giamporcaro,
da Domenica 20 Luglio a Venerdì 08 Agosto 2025 per la mostra di quadri, fino al 20 agosto mostra fotografica

Il Castello è aperto il Martedì e il Giovedì dalle ore 09.00 alle ore 12.00
e il lunedì – mercoledì – venerdì dalle 17.30 alle 22.00

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Cultura

“Vulnerare” il corto di Sergio Illuminato al Festival del Cinema NYC. Intanto prepara riprese a Pantelleria”

Redazione

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VULNERARE approda al Festival of Cinema NYC – Il cortometraggio del regista siciliano Sergio Mario Illuminato trasforma due secoli di dolore in arte
New York, 1-10 Agosto 2025

Sei mesi dentro un carcere abbandonato. Celle vuote da trent’anni, muri scrostati, silenzio pesante.
Un gruppo di artisti italiani e di tecnici e studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma entra dove
nessuno vuole stare e trova qualcosa di inaspettato: la bellezza nascosta nel dolore.
Ora, questa scoperta giunge fino in America: il cortometraggio ‘VULNERARE’, nato dall’ex-Carcere
Pontificio di Velletri, è stato selezionato dal Festival of Cinema NYC per rappresentare l’Italia. Questo
festival cinematografico è il solo della città supportato dal National Endowment for the Arts, dal New
York State Council on the Arts e dal New York City Department of Cultural Affairs. Globalmente, solo
cinque cortometraggi provenienti da paesi come USA, Germania, Spagna e Svizzera sono stati
selezionati insieme a ‘VULNERARE’.

Quando l’arte abita le ferite

L’ex-Carcere Pontificio di Velletri racconta una storia che attraversa i secoli. Costruito nell’Ottocento
sotto l’autorità papale, quando la Chiesa Cattolica governava gran parte dell’Italia centrale, questa
imponente struttura fungeva sia da tribunale che da centro di detenzione per quello che allora erano
gli Stati Pontifici. Per oltre un secolo ha ospitato prigionieri, ha assistito a processi, incarnando il
sistema giudiziario di un’epoca ormai passata.

Chiuso negli anni ’90 con la modernizzazione del sistema penitenziario italiano, l’edificio è rimasto
vuoto per tre decenni: un monumento dimenticato al potere istituzionale trasformato in reliquia.
Nel 2023, di fronte alla demolizione programmata, sembrava destinato alla cancellazione dalla
storia.
Ma prima che accadesse, pittori, fotografi, danzatori e musicisti, insieme a tecnici e studenti
dell’Accademia di Belle Arti di Roma ne hanno fatto casa. Per sei mesi hanno abitato celle decadenti
e corridoi bui, trasformando ogni angolo in un laboratorio creativo – trasformando gli spazi
abbandonati d’Italia in luoghi di resurrezione artistica.

Il risultato è “VULNERARE”: 13 minuti e 30 secondi che sfuggono a ogni definizione. Non è solo
cinema sperimentale, non è solo videoarte. È un viaggio nell’anima umana attraverso quello che il
regista siciliano Sergio Mario Illuminato chiama “Organismi Artistici Comunicanti”- opere vive che
cambiano, fermentano, si trasformano davanti agli occhi dello spettatore.
Questi elementi, come spiega lo psicologo di cinema Giulio Casini, “agiscono come lampi di colore
puro, permettendo ai mondi della pittura e della realtà di comunicare profonde pulsioni interiori”.
“Pareti, pavimenti, soffitti diventano tagli, ferite, faglie”, aggiunge lo storico dei media Bruno di
Marino. “I gesti coreografici e la materia pittorica si fondono in un’unica partitura visiva grazie al
montaggio chirurgico e ai giochi di luce.”

Vulnerabile dunque vivo
“Questo luogo non è solo un carcere abbandonato, ma una cattedrale contemporanea della
vulnerabilità”, dice Illuminato. “È un luogo di rinascita ed è l’arte che deve esprimere questa
trasformazione.”
Il film si chiude con una scritta incisa su una parete del carcere: “Vulnerabile dunque vivo, arte è
amare la realtà” e un messaggio: IOSONOVULNERABILE, che in codice morse viene nascosto nella
traccia audio del cortometraggio.
La metodologia di Illuminato, che lui chiama “CINEMA DELLA SOGLIA” della presenza e della
relazione, cattura l’autenticità delle emozioni attraverso improvvisazione e spontaneità. Niente
copioni, solo vita che accade.

Un cast che danza tra le macerie
Le coreografie di Patrizia Cavola e Ivan Truol della Compagnia Atacama, con Camilla Perugini e
Nicholas Baffoni, trasformano spazi claustrofobici in palcoscenici di libertà. La fotografia di Federico
Marchi e Roberto Biagiotti gioca con il passaggio dal bianco e nero del passato all’esplosione di colori
della rinascita. La colonna sonora di Andrea Moscianese e il sound design di Davide Palmiotto
accompagnano lo spettatore dalla drammaticità carceraria verso un orizzonte di possibilità creative.

Dalla performance al riconoscimento mondiale
Prima di diventare cinema, “VULNERARE” è stato esperienza dal vivo. Migliaia di visitatori hanno
attraversato l’ex-carcere, poi in anteprima EUROPEA all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, poi al
Museo di Villa Altieri a Roma. Ogni volta la stessa scoperta: la vulnerabilità come forza, non come
debolezza.
“Aprire quei faldoni impolverati significa far scorrere agli spettatori una storia personale forse
perduta per sempre“, scrive il critico cinematografico Sergio Battista. “Un corto che cerca di aprire
un canale comunicativo con i contemporanei parlando di memoria e di luoghi dove questa memoria
si è condensata.”

Su un muro del carcere c’è scritto: “I tagli sulla pelle non sono un’illusione non guariscono più”.
Parole che suggellano come la realtà impatti nella vita senza chiedere permesso, lasciando segni
indelebili. Ma anche come questi segni possano diventare arte.

Dall’Italia al mondo

Il Festival of Cinema NYC rappresenta l’approdo internazionale di un progetto:
IOSONOVULNERABILE, che ha già cambiato il modo di guardare agli spazi abbandonati. In un’epoca
di muri che dividono e luoghi dimenticati, “VULNERARE” offre una risposta concreta: l’arte come
strumento di trasformazione, la vulnerabilità come generatrice di bellezza.
Il cortometraggio partecipa alla sezione competitiva dal 1 al 10 agosto 2025, portando in America
una voce italiana che parla al mondo intero. Perché “VULNERARE” non racconta solo la storia di un
carcere diventato cattedrale dell’arte: racconta la storia di tutti noi, esseri vulnerabili che attraverso
la creatività trasformano le ferite in bellezza.

Sergio Mario Illuminato sta già preparando il suo film d’esordio “La soglia di Basalto”, che verrà
girato nel 2026 nell’isola di Pantelleria, Sicilia.

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