Cultura
Ricotta, una delizia che è parte della tradizione della Sicilia
RICOTTA, UNA DELIZIA CHE È PARTE DELLA TRADIZIONE DI UN ISOLA E CI RICORDA I TEMPI PASSATi
Cu va a mannara, mancia ricotta. (Questo proverbio siciliano ci ricorda che, per ottenere davvero dei risultati, bisogna faticare).
Il ricordo della prima mangiata di ricotta nel mese di novembre… Un centinaio di mucche al pascolo, dondolano la coda per scacciare gli insetti fastidiosi, in un campo erboso mentre il sole tramonta; uomini esperti si accingono ad iniziare la mungitura giornaliera. Il braccio teso di un bambino con una grossa tazza in mano si spinge fin sotto uno dei capezzoli e il suo corpo resta indietro per paura dell’animale. I primi schizzi rimbalzano sul fondo del tazzone, ma poi una densa schiuma trabocca allegramente…
Ho dei ricordi come scolpiti che, con il passare del tempo, hanno acquistato sempre più valore, rappresentando odori, suoni, luoghi e circostanze che la mente di un bambino ha trasformato in un mito che lo accompagnerà per sempre. Il mese di novembre mi riporta a tanto tempo fa e a quell’entroterra siciliano fatto di vigne e oliveti, traboccanti di frutti, e di allevamento del bestiame e lavoro senza sosta.
Tuttavia per me e mio cugino Salvatore si trattava di vacanze e a noi appariva come un grande parco di divertimenti. Era novembre, eccitati all’idea di partire, ci mettevamo in auto con i nostri rispettivi nonni che erano già anziani ma ancora in gamba. Mio nonno era un uomo pacioso, allegro, gli piaceva dedicarsi alla famiglia, il nonno di mio cugino invece era rissoso ma fondamentalmente buono. Le rispettive nonne erano sempre occupate energicamente nell’organizzazione della casa e in cucina insieme erano imbattibili. E per noi stravedevano! Anche quell’anno, alcuni segni sulla strada ci dicevano che stavamo per arrivare: una grande quercia, colpita da un fulmine e sopravvissuta alla mutilazione; poco più avanti un cancello rotto, lasciato da sempre in quella condizione.
Ma la cosa magica che tutti noi attendevamo con spasmodica attesa era la prima mangiata di ricotta nelle vascedde (ciotole) di terracotta tipiche vettovaglie del territorio Ibleo. Un rito… un ricordo di profumi e sapori mai dimenticati… ricordo ancora la gestualità della tagliata del pane (rigorosamente fatto nel forno di pietre con la legna di ulivo arsa…) a fette non troppo sottili né troppo grosse da poggiare a strati sulla vascedda… momenti di vita mai dimenticati che affiorano a mia insaputa alla vista della mia campagna Iblea.
Un po’ di mitologia e di tradizione siciliana sulla decantata ricotta
Un latticino decantato da Omero nell’Odissea e che Virgilio attribuisce al figlio di Apollo. Un prodotto dalla storia millenaria, con una preparazione quasi invariata nel tempo. Vi parlo anche oggi della mia Sicilia, in questo articolo; ricotta, una delizia che accompagna la storia di un’isola ed il ricordo dei tempi passati. Sicilianitudine: le vascedde o cavagne ri ricotta frisca, un tempo esisteva u cannistraru , faceva parte dell’artigianato siciliano. La ricotta e u cannistraru cosa hanno in comune? Ricotta siciliana tradizione e ricordi.
U cannistraru era quello che realizzava i “contenitori” per la ricotta. Ma non realizzava solo vascedde e cavagne. Questa attività era diffusa per l‘elevata presenza in Sicilia di giunco, vimini e canna. Oltre a produrre i contenitori per la ricotta, u cannistraru realizzava i cosiddetti “cufini”, i corbelli e le “coffe”. (La coffa è la cesta della tradizione rurale siciliana con cui nel passato si dava il foraggio ai cavalli o come contenitore posizionato sui muli e usato per il trasporto del materiale.)
La possiamo ancora ammirare sui carretti siciliani nei giorni di festa o come elemento di arredamento e di abbigliamento. Queste tipiche ceste si ottengono dall’intreccio artigianale della “curina”, la parte tenera e molto resistente delle foglie di palma nana siciliana. Oggi la coffa cambia veste, diventa oggetto di moda, viene rivisitata, adornata e trasformata in originale borsa per signora. Decorata artisticamente in stile siciliano con ricami, specchietti, nastri, ha varcato i confini isolani ed è stata proposta nelle collezioni di famosi stilisti che hanno creato anche veri e propri pezzi unici, vedi la collezione Sicily di Dolce & Gabbana.
Ma ritorniamo agli artigiani siciliani e parliamo ancora di Ricotta Siciliana tradizione e ricordi. Nell’Ottocento la ricotta veniva chiamata “formaggio dei poveri”, ma non è un formaggio. Viene classificata come latticino, poiché non si ottiene attraverso la coagulazione della caseina, ma dalle proteine del siero del latte, cioè la parte liquida che si separa dalla cagliata durante la caseificazione.
Un po’ di Storia sulla ricotta
La ricotta nasce intorno al 2000 a.C. grazie alle tecniche di allevamento dei Sumeri che, sul finire della loro epoca d’oro, cominciano a trarre il meglio da ovini e bovini. Con la conquista da parte dei Babilonesi per mano di Hammurabi avviene il passaggio all’altro lato della Mezzaluna Fertile: l’allevamento di asini, bovini, ovini, caprini, suini, polli, oche e. successivamente anche di cavalli, si espande e coinvolge il vicino Egitto.
Proprio con gli Egizi la ricotta viene plasmata in una forma del tutto simile a come la conosciamo oggi. L’Egitto la vende soprattutto ai marinai greci che affrontano i primi giorni di mare con un alimento fresco. I Greci col tempo imparano la tecnica casearia, la portano in patria e la perfezionano, proprio perché ritengono la ricotta irresistibile. Nell’antica Grecia la ricotta diventa “moderna”, ancora oggi la lavorazione del latticino è quasi identica a quella ideata dai Greci che amano particolarmente questo prodotto tanto da incentrare uno dei passaggi più importanti dell’Odissea sulla ricotta: nel IX Libro Omero fa incontrare Ulisse con il ciclope Polifemo che, nel momento in cui vede Odisseo per la prima volta, sta proprio lavorando la ricotta. Alla vista del mostro i compagni del re di Itaca corrono verso le navi ma Ulisse si ferma a mangiare quel “rappreso latte” che stava lavorando il ciclope, cioè dell’incantevole e golosa ricotta.
La ricotta Iblea
Ragusa e dintorni
Andando alla scoperta dei luoghi dei Monti Iblei scoprirete una caratteristica che ne determina il paesaggio: chilometri di muretti a secco in quelle terre che un tempo erano la dimora di allevatori e pastori.
Oggi in quei pascoli spontanei si nutrono le mucche di razza Modicana, le quali producono il latte vaccino DOP. I prodotti che ne derivano sono famosi e di altissima qualità: il caciocavallo Ragusano e la ricotta iblea. La Ricotta Iblea nel ragusano una peculiarità tutta da scoprire.
La ricotta è un prodotto tradizionalmente italiano e può essere a base di latte vaccino o di pecora. Quella Iblea è a base di latte vaccino, prodotto nel ragusano, dalle vacche di razza Modicana. La ricotta prende il nome dal suo processo di lavorazione ossia “cotta due volte” cioè il siero che deriva da un formaggio appena prodotto, viene scaldato una seconda volta dando così origine alla ricotta.
Usi e consumi
La ricotta è uno degli alimenti più versatili che si trovano in cucina, e viene utilizzata per la creazione di piatti salati o dolci. In Sicilia, in particolare, fa da padrona nei dolci ormai conosciuti nel mondo dal cannolo alla cassata, e tanto altro ancora. Uno dei dolci tipici del ragusano sono le “cassatelle”, molto diverse dalla classica cassata siciliana. Questo è un dolce semplice e a base di ricotta, tipico del periodo pasquale che si presenta come un cestino, fatto di pasta ripiena di crema di tuma(cagliata) e ricotta aromatizzata con cannella e gocce di cioccolata. E’un dolce molto semplice da preparare e molto delicato come sapore. Un dolce, famoso soprattutto nella zona di Scicli è la “Testa di Turco”, legato alla Festa della Madonna delle Milizie. A guardarlo si presenta come un grande bignè, ma la ricetta è leggermente diversa. Per la pasta infatti, non utilizzano il burro ma lo strutto. L ‘impasto poi viene cotto al forno, dandogli una forma di un vero e proprio turbante, e una volta cotto viene farcito con ricotta(Iblea) e cioccolato. Lo si trova anche nelle versioni in cioccolata bianca. Può essere utilizzata per farcire ravioli salati, per comporre gustose tartine da aperitivo, o semplicemente mangiata con una bella fetta di pane fresco, per assaporare la sua bontà e genuinità.
A Puisia ra ricotta
“Turi Turiddu,cu tuttu rispiettu ansigniti a fari a ricotta e a manciari.
U latti miettulu a cauriari, abbiaci u quagghiu e fai ripusari.
Ora ch’é bona, rumpi a quagghiata, falla annuriri e a tuma é attumata.
Allacciata attorna falla cauriari e a 50 grati u sali abbiati.
E u latti a ricotta si cci’ábbiari sinnó ricotta nunni pó accianari.
E arrumina bonu, nunn’á fari accarpari sinnó a ricotta chi fietu c’affari.
L’urtimu sali si cci’abbiari, senza ri iddu nun pó accianari.
Ora é accianata, chi sciauru ca fá Tennira, soffici, bona sará.
Miettici u pani ‘nta nappitedda Mamma che bona, mamma che bedda.
Ora a ricotta t’ansignatu a fari mancia Turiddu e puoi campari.
Spero di avervi riportato con me nel mio mondo tramite la Ricotta Siciliana con le sue tradizioni e i miei ricordi.
Salvatore Battaglia
Presidente Accademia delle Prefi
Cultura
Pantelleria, I racconti del vecchio marinaio pantesco
In viaggio con patrun Vito
Il sole scendeva lento sul porto vecchio di Pantelleria, tingendo di rosso scuro le pietre di lava delle parate difensive del castello a guardia sempiterna dello specchio di mare antistante. Era un pomeriggio inoltrato di uno dei primi anni Sessanta e io, curioso come sempre di cose di mare, mi fermai ad osservare un vecchio marinaio seduto, tranquillo e silenzioso, su una bitta della banchina.
Poteva avere sui settant’anni e la salsedine e il maestrale di tutti quegli anni gli avevano modellato il viso come una fitta e intricata ragnatela, che non metteva affatto repulsione, anzi lo rendeva del tutto simpatico, facendomi subito riandare con la mente ai vecchi marinai di Salgari, i cui romanzi di mare in quel tempo erano una delle mie letture preferite. Il vecchio marinaio era intento a battere con forti colpi, ripetutamente. la sua pipa sulla suola di una scarpa, ma a me sembrò che non volesse scrollarsi soltanto della cenere, piuttosto dei pensieri molesti, carico gravoso e ineludibile che ti regala la vecchiaia. Alla mia domanda se avesse mai fatto parte di un equipaggio di un veliero pantesco dei tempi andati, alzò lo sguardo tra il meravigliato e l’indispettito e con la pipa a mezz’aria.
Ma cosa poteva mai interessare a quel ragazzotto, che sembrava tornare allora allora da una giornata di mare passata tra gli scogli di punta San Leonardo, di un tempo ormai irrimediabilmente perduto? Poi parlò con voce roca come ghiaia che si muove sotto le onde del mare e disse: “Sugn’ statu prima picciotto ‘ì varca appoi marenaro”.
Dunque prima mozzo e poi marinaio, quindi una vita sul mare fin da giovanissimo Dette queste parole si tacque e caricò lentamente la pipa con del tabacco nero come la pece e l’accese. Sembrava che il colloquio fosse finito lì, quando riprese a parlare con quella sua voce roca, che sapeva di mare antico.
“Fici lu primu viaggiu da Pantiddraria a Napule ca varca ‘i patrun Vitu”. A questo punto, per il lettore che non intende bene il siciliano, continuo il racconto in italiano, salvo, per inciso, qualche espressione dialettale. “Allora ero picciotto ‘ì varca. Era il 1903, o forse il 1904, chi si nni ricorda cchiù e in quegli anni patron Vito era il capitano di veliero più sperto di Pantelleria e dopo ‘u Signuri nostru era il mare ad avere tutta la sua devozione.
In navigazione, pur con tutta la sua indiscussa bravura in cose di mare, non era mai arrogante perché soleva ripetere “Cu mari e cu venti ‘un tti fa valenti” (Con il mare e con i venti non essere arrogante o peggio spavaldo).
“Il veliero di patrun Vito non era grande, ma era solido e forte come una pietra nivura della nostra isola. Si chiamava “Madonna di Trapani” ed era stato varato nei cantieri di Amalfi nell’anno 1890, se non ricordo male. Ha navigato, attrezzato poi con un motore, fino alla vigilia dell’ultima guerra.
Ai miei tempi andava solo a vela. Aveva due alberi e bompresso e dispiegava una velatura, che lo faceva filare dritto sul mare come una freccia. Allora le barche avevano ancora un’anima di tela, bianca come le ali di un angelo. Il giorno della partenza, che per me era l’inizio del primo viaggio per mare come picciotto, la stiva era piena zeppa fino all’orlo. I sacchi più pesanti erano lì, i capperi di Bommarino. Quelli che si mettono sotto sale, carnosi, quelli che danno sapore a tutto quel che mangi. E poi, le cassette, con la stoffa sopra per non farle scaldare, dell’uva passa più bella, quella della contrada di Grazia di Sopra. Seccata al sole nostro africano, dolce come il miele, la nostra Zibibbo, trasformata in oro, doveva arrivare a Napoli al più presto possibile, dove la gente danarosa la voleva per i loro dolci.
Patron Vito fu categorico: da Pantelleria a Napoli senza scali in porti intermedi. Se Dio vuole, in tre giorni. E così fu. Uscimmo dal porto con il vento buono, lasciandoci presto alle spalle ‘a petra ‘i fora. La brezza gonfiava la vela maestra come il petto di un galletto in amore. Sette, a volte otto nodi, in pieno giorno. Un trotto regolare. Potevi quasi sentirla, la barca che mangiava il mare, spinta solo da quelle tele spiegate e dalla bravura di Vito e del nostromo Turi.
Il capitano Vito non dormiva. Stava lì, con il timone in mano, a parlare con il vento e con le onde, a sentire l’odore del mare che cambiava. Dalla costa siciliana fino a che non vedevi altro che blu. Non voleva fermarsi. Non per Messina, non per Salerno. Doveva essere un viaggio diretto. Un viaggio cui dovevano vantarsi, al ritorno, tutti i marinai dell’equipaggio nelle lunghe serate invernali pantesche davanti a un buon bicchiere di vino passito. La vita a bordo era semplice: pane, cipolla e qualche sarda salata.
Il silenzio
Ma la cosa più bella era il silenzio. Solo lo scricchiolio del legno, il vento che fischiava nelle sartie e il suono delle onde che si aprivano, inchinandosi, sotto la prua. Per tre giorni e tre notti vedemmo solo l’orizzonte. Poi, all’alba del quarto giorno, quando il sole cominciava a spuntare, eccola. La sagoma grande, colorata, di Napoli, all’ombra del suo gigante nero, il Vesuvio.
Solo in quel momento patrun Vitu tirò un sospiro che sembrava quello del mare intero. Attraccammo, e il carico era perfetto. I capperi profumavano, l’uva passa era intatta. Era così, allora. L’abilità e il coraggio di un uomo di mare pantesco e i frutti della sua terra.
Oggi, ci sono i motori, e quella meravigliosa sensazione di andare per mare spinti solo dal vento di ‘u Signuri nostru … quella non la senti più”. E si tacque, batté più volte la pipa sulla suola della scarpa per scrollare la cenere e si perse, silenzioso, nei suoi pensieri antichi incrostati di salsedine.
Orazio Ferrara
Personaggi
E’ morta Ornella Vanoni, un’artista di grande di stile, simpatia e sagacia
“Io voglio vivere finchè do alla vita qualcosa”
Il mondo della musica perde una vera icona… “senza fine”
La voce tra le più imitate e seducenti della musica italiana si è spenta per sempre.
Ornella Vanoni è morta a 91 anni, nella sua casa di Milano, colpita da un arresto cardiocircolatorio. I soccorritori sono arrivati quando ormai era troppo tardi.
Classe ’34, con lei si chiude un sipario dello spettacolo senza tempo e senza repliche. L’artista, che aveva esordito nello spettacolo a teatro con Strehiler, non era solo una cantante, era un simbolo capace di attraversare epoche senza mai diventare fuori moda.
All’attivo si contano quasi settant’anni di carriera e oltre 55 milioni di dischi venduti, che hanno scolpito la sua voce nella memoria mondiale.
La personalità forte, caratterizzata spesso da sferzate pungenti, era dotata di grande intelligenza e capacità da riuscire a cantare sul palco duettando con giovani big della canzone italiana.
Negli ultimi anni era diventata la presenza fissa più attesa da Fabio Fazio, forse più della Littizzetto, che superava in simpatia e spontaneità.
Lo scorso giugno venne insignita della laurea honoris causa. Durante la cerimoni seppe manifestare la sua regale umiltà.
Parlando della morte, la cantante milanese così si è espressa “Io non voglio morire troppo grande. Io voglio vivere finchè alla vita do qualcosa e la vita mi dà. Il giorno in cui non dò più o non mi dà, io non voglio vivere.”
Ieri sera se ne è così come ha vissuto, con stile, senza clamore.
Di lei rimarranno le sue canzoni intramontabili, impresse addosso al suo pubblico come cicatrici dolci.
Cultura
Gran Galà delle Lady Chef – Prima Edizione Siciliana
Il 24 e 25 novembre, presso l’Hotel Casena dei Colli di Palermo, si svolgerà la prima edizione del Gran Galà delle Lady Chef, promosso dall’Unione Regionale Cuochi Siciliani
Un evento che intende valorizzare il ruolo delle donne chef, protagoniste della cucina professionale siciliana, e celebrare la loro competenza, dedizione e passione.
Il comparto Lady Chef, nato ventinove anni fa, ha come obiettivo quello di mettere in risalto la figura femminile nelle cucine e di contribuire al superamento del divario di genere. Il Gran Galà sarà dunque un’occasione di incontro e di festa, ma anche di riflessione e confronto, nel segno dello spirito associazionistico che anima l’Unione Regionale Cuochi Siciliani.
All’interno della manifestazione si terrà la selezione regionale del Concorso Cirio, che decreterà la Lady Chef siciliana chiamata a rappresentare la regione nella fase nazionale dei Campionati della Cucina Italiana a Rimini
“Una vera e propria festa – ha dichiarato la Coordinatrice Regionale, Chef Rosi Napoli – che vuole essere anche un momento di condivisione, riflessione e confronto”. Le Lady Chef provenienti da tutte le province siciliane si ritroveranno a Palermo per vivere insieme due giornate intense, all’insegna della collaborazione e della professionalità.
“Celebreremo la bellezza – ha concluso Chef Napoli – quella che rimane anche sui volti stanchi dopo ore di lavoro. Celebreremo i sacrifici, la competenza e la forza delle nostre meravigliose Lady Chef.”
A moderare l’evento sarà la food blogger e Lady Chef, Barbara Conti, Segretario Provinciale APCI di Ragusa, che accompagnerà il pubblico in questo viaggio di memoria, territorio e passione culinaria.
Per consultare il programma completo epotere prendere parte alla Cena di Gala, aperta a tutti, andate sulla pagina facebook Lady Chef Regione Sicilia
-
Ambiente5 anni agoAMP, a Pantelleria Insieme Live: zonizzazioni e Guardia Costa ausiliario. Gadir e il brillamento de Il Caldo
-
Personaggi4 anni agoStasera 4 Ristoranti a Pantelleria, con Alessandro Borghese. Ecco chi sono
-
Ambiente4 anni agoPantelleria, il PD segnala colorazione anomala e artificiale nella spiaggia del Lago di Venere
-
Pantelleria4 anni agoPantelleria a lutto per Giovanni Maddalena, il galantuomo del Conitro
-
Personaggi4 anni agoPantelleria, è U Runcune il vincitore di 4 Ristoranti di Alessandro Borghese
-
Cronaca4 anni agoUltima Ora – Pantelleria. Identificata la donna morta per annegamento, il secondo suicidio in un mese
-
Capitaneria di Porto4 anni agoPantelleria, allarmanti condizioni meteo-marine nelle prossime 48/72 ore: onde 6 da metri
-
Pantelleria4 anni agoPantelleria, divieto di balneazione a Punta San Leonardo

