Cultura
Pantelleria tra paesaggi e personaggi. A Sibà incontriamo Zia Jolanda – Prima parte

Di Franca Zona
Un considerevole conto di chilometri separa il Centro di Pantelleria dalla introversa ma generosa contrada di Sibà.
Nessun problema, però. L’odierna meccanizzazione ce la fa raggiungere alla spiccia:sono ormai lontani i tempi in cui si affidava la necessità straordinaria di ‘affrettare i passi’ alla resistenza dell’asino o alla disponibilità dell’ibrido mulo, lungo i sentieri ghiaiosi dell’Isola.
Dopo aver superato il tratto di strada che a un certo punto si nasconde nella breve striscia di galleria sottostante la pista aeroportuale, l’indicazione stradale, posta al bivio futuro, ci convince a biforcare sulla direzione sinistra, in salita, per raggiungere finalmente, a 4.500 metri sul livello del mare, questo fascinoso luogo dall’atmosfera fatata.
Battuto di lì a poco l’ingresso della Contrada, a poca distanza dal Santuario della Madonna del Rosario e della subordinata bottega ad essa dirimpettaia, cerchiamo di inserirci, con smanioso rispetto, nelle sedimentazioni storiche d’uno spazio il cui paesaggio già foriero, con la sua trasparente leggibilità, d’una memoria sentimentale tutta da recuperare. Non possiamo perciò restare in superficie, se vogliamo comprendere davvero il battito oggi un po’ aritmico di questa contrada così istintiva e traboccante di storia: quella vera, quella che spesso non si imprime negli archivi ufficiali degli eventi ‘superiori’.
Una “Storia Antiquaria”, rivisitando le parole di Nietzsche, che preserva e venera il passato, rendendolo incancellabile attraverso le parole nostalgiche della preziosa ‘Perla del Villaggio’: la ‘zia’ Jolanda, saldamente incastonata in un inestimabile capolavoro naturale che, con grande calore e amorevolezza, ci accoglie nella cucina della sua casa:
“Venite….venite, entrate, oggi fa freddo, soprattutto qua in montagna!”, ci sollecita la donna, con la simpatia avvolgente che immediatamente ci riallaccia ad un tenero personaggio vissuto nel romanzo fanciullesco di Heidi: la dolce nonnina dell’amico Peter; e, accomodatici sulle comode sedie attorno al tavolo, senza rallentare nell’attesa di domande già codificate, Jolanda stipula l’inizio dell’affascinante ciclo di ripresa delle nostre radici:
“Eravamo bambini, andavamo a scuola: prima nella struttura che oggi rappresenta il Circolo; più avanti, nella proprietà del dottor Greco; alla fine, nella Scuola ‘buona’, per due o tre anni. Però si lavorava. Oggi, invece, dopo lo studio, ci si distrae con il telefonino, il computer, le macchine e tutto quello che una volta non esisteva affatto. In pratica, non si fa nulla! Quando uscivo da scuola, ero solita aiutare in famiglia ad accendere il fuoco nel forno, occuparmi delle faccende di casa, governare le mucche nella stalla e porgere una mano nei terreni, soprattutto nel periodo della raccolta dei capperi. Ora, nessuno sa fare nulla, neanche all’età di vent’anni, neppure un semplice biscotto! A proposito, volete sapere? Ho ricevuto una telefonata persino da Roma, mi si chiedeva la ricetta dei cannoli! Il telefono squilla sempre, oggi almeno una ventina di volte. La mia casa sembra un ufficio. Mi chiedon o le cose più svariate, volevano pure informazioni su un ristorante pantesco nella zona di Scauri; ed io, con la mia esperienza e le mie conoscenze, ho sempre una risposta pronta, ma il ristorante non lo conoscevo!”.
La ‘zia’ Jolanda continua a parlare.Si capisce bene la propria consuetudine alle dissertazioni di provenienza folcloristica alle quali si è negli anni rilassata, sempre desiderata e rintracciata da coloro i quali aspirano alla nostalgia del passato affidandosi, con ragione, alla sorgente delle memorie locali, noi fra loro. E’ un vulcano in eruzione.Ci dispiace interromperla, ma proviamo, con delicatezza, a deflettere e conversare su quanto più possibile, recintati entro le lancette della società ‘moderna’, che scorrono velocemente distraendoci dal tempo naturale della vita.
“Ci scusi, ‘zia’ Jolanda…che ruolo svolgeva la donna negli anni della sua giovinezza?”
“Ah, ‘figghi mei’, la donna di allora doveva affrontare ogni cosa! Dovete sapere che faceva tutto, dentro e fuori casa. Quando mio padre la mattina si svegliava, metteva la bardatura al mulo e cominciava ad incamminarsi verso varie contrade, lavorando terreni anche presi in affitto, fino all’ora del tramonto. La ‘femmina’ si dedicava al resto: lavava gli indumenti nella ‘pila’, ma non prima di aver caricato l’acqua presso la ‘buvira’ di Scauri; riempiva anche i barili per abbeverare gli animali; accendeva il carbone e lo inseriva nel ferro….sapete quanta roba si sporcava, mentre si stirava con questo apparecchio antico?! Recuperava la legna per accendere la ‘cuadàra’, un pentolone in rame; solo per l’occasione la ‘spirtera’: una sorta di fornello alimentato ad alcool, che si reggeva su tre piedi, e sopra si poggiava il pentolino. E poi, quanto lavoro all’uncinetto a lume di candela, quando ancora la corrente non c’era! Mia figlia Rosalba nacque il 25 aprile del 1966, e la corrente elettrica, che in Paese già era presente, arrivò a Sibà alla vigilia di San Giuseppe. A ‘sistemare’ gli animali, si andava anche con i lampioni”.
Franca Zona
-1- continua
Cultura
Pantelleria, ad un anno dalla morte di Enzo Bonomo lo ricordiamo così

Era il 29 maggio 2024 quando dai famigliari abbiamo ricevuto la notizia della prematura scomparsa di Enzo Bonomo.
Nobile, mente vivace e sagace, dalla penna raffinata con una proprietà di linguaggio superiore, era un nostro orgoglio ogni volta che ci mandava un suo contributo con cui intratteneva i nostri lettori con storie o fiabe di cui cibarsi.
Originario di Khamma, per i soliti motivi di lavoro a viaggiato molto, stabilendosi poi a Modica con la sua speciale compagna, Donna Fernanda Grana. Ma il cuore ha sempre continuato a battere per l’isola e per la sua contrada.
E a Khamma ha dedicato diversi pensieri. Uno lo riportiamo di seguito da un articolo di qualche anno fa
Tra i misteri di Pantelleria, vi è quello per cui i suoi natii, in modo particolare, riescano da un pensiero remoto nel tempo, labile come un lieve alone di luna, a creare poesia.
Molti di noi abbiamo questo talento e non di meno ne è impreziosito, il nostro “prof dei prof”, Enzo Bonomo che qualche giorno fa ripensava alla Chiesa San Francesco D’Assisi, in Khamma.
Vecchio lampione,
di ferro e di vetro,
sull’angolo della chiesa,
lì dove s’inerpica la strada del cimitero.
Quante torme di ragazzini
hai visto giocare ai quattro cantoni del tuo sagrato.
Bambini e generazioni…
Ora che non ci sei più,
manca la tua luce
e manca la tua memoria.
Manca l’eco delle grida
manca l’allegria
manca la tua luce fioca.
Manchi tu. – Enzo Bonomo
da https://www.ilgiornaledipantelleria.it/pantelleria-khamma-vecchio-lampione-sullangolo-della-chiesa/
Personaggi
“Pantelleria” la canzone di Alessandro D’Aietti oggi uscita – Intervista all’artista emergente: “La musica ha colori”

Alessandro D’Aietti esordisce con il suo primo brano “Pantelleria” da ascoltare e ballare con leggerezza e con i colori chiari della musica. Ecco come ascoltarlo
C’è un artista sull’isola, già noto per gli intrattenimenti musicali in diversi locali, ma adesso vuole uscire alla ribalta con un brano da lui scritto ed interpretato.
E’ un ragazzo pulito, delicato ma energico, appassionato di natura, piedi scalzi e, naturalmente, della sua isola: Pantelleria.
Si chiama Alessandro D’Aietti, ma il resto lo facciamo raccontare da egli stesso, che con la sua delicata cadenza latina ci fa entrare subito nella sua vita.
Mi accennava di essere nato a Pantelleria proprio, giusto? 2Esatto! Sono nato qua il 30 maggio 2000. Mia madre è cilena, mio padre è pantesco, Antonello D’Aietti, e io sono vissuto qua i primi tre anni della mia vita, che diciamo non ricordo. Nel 2003 sono andato a vivere in Cile con mia madre e mia sorella Camilla.
“E praticamente siamo vissuti lì tutta l’infanzia, fino al 2018 io. Certamente io tornavo a “Pantelleria una volta all’anno a vedere mio padre e la famiglia di mio padre.”
Sei un grande sub anche tu, hai ereditato le capacità di papà? “Mi piace un sacco fare immersioni, infatti ora ci stiamo preparando, una settimana, due massimo e iniziamo nuovamente con le immersioni, appena iniziano ad arrivare i turisti.”
I viaggi di Alessandro D’Aietti e la passione per la musica
Riprendiamo dal 2018: cosa accade in quell’anno? “Sono tornato a Pantelleria, ma sono stato un po’ in movimento, fino al 2020: sono andato un po’ a Londra, sempre per la musica, a fare dei corsi di mixing, di canto, di produzione; dopo di che sono andato un po’ a Miami per lo stesso discorso, sono tornato per un po’ in Cile anche a trovare la famiglia.
Ho viaggiato anche in posti molto diversi, incontrando parecchie culture, parecchie diversità, quindi quei due anni sono stato tipo, come si dice in italiano, un frullatore.
Finalmente dopo nel 2020 sono tornato qua e mi sono assestato. Mi sono spostato giusto un po’ tra Firenze e Pantelleria e infine ho vissuto a Barcellona, dove ho seguito un corso di industria musicale, un master.
E mi dica, quando nasce la passione per la musica e da chi la eredita? Non so se l’ho eredito di qualcuno, mi è venuto spontaneo tipo quando ero più piccolo, verso i 14 anni: vedevo tutti questi video di gente che aveva home studio, chitarre, tastiere, equipment tipo casse, autoparlanti, e mi interessava anche se non capivo niente. Un po’ di strumenti sì ma a livello tecnologico, a livello di produzione non capivo niente, zero, come dj ancora meno. Quindi mi inizia a interessare questa novità e ho iniziato a fare un corso di dj. Sono andato la prima volta, ho visto delle console che mi sembrava una nave spaziale, tutti i bottoni diversi, non capivo all’inizio ovviamente niente, piano piano con il mio insegnante ho iniziato a capire e ho preso la mano.
Scusi la mia ignoranza, ma si fanno corsi da dj?” Certo perché altrimenti come impari tutta la strumentazione? Vabbè tutto nella vita ovviamente si può imparare con corsi o da autodidatta, ma con il corso ovviamente hai una struttura, vai più liscio. Ho avuto questa occasione per seguire ilv corso e dopodiché mi sono detto di non fermarmi e procedere con quello sulla produzione; poi mi sono detto di nuovo di non fermarmi e sono partito col canto.
“Ora invece di produrre altri artisti magari vorrei anche auto produrmi.”
I colori della musica per Alessandro D’Aietti
Che genere di musica segue e realizza? “Quello che faccio io è più sulla dance, un pochino più hip hop, mantenendolo un pochino più pop,
“Io sono più su generi un pochino più allegri, un pochino, non mi piace tanto il genere che parla della strada. Ovviamente sono realtà diverse, ma io principalmente prediligo il funky perché parla di cose allegre, parla di cose che ti tirano fuori un sorriso, gli accordi, le melodie, sono tutte belle, estive, hanno colori belli.
“Le canzoni hanno i colori belli.
“Ci sono canzoni dai colori scuri, canzoni colori intermedi, come vogliamo dirlo, ma le cose allegre a me piacciono hanno i colori vivaci.
Che bella questa cosa di affiancare i colori alla musica, alle canzoni. Ma dato che le menti dei giovani non si fermano mai, abbiamo qualche progetto in fase di preparazione, dopo l’uscita di “Pantelleria”? Sull’isola stai lavorando con la musica? Ormai come da un po’ d’anni sono faccio intrattenimento in qualche locale, dal vivo come dj principalmente.
“Porto anche le mie canzoni ma le mixo in live.
“Ora piano piano quest’anno vorrei anche introdurre un’altra stilistica e, oltre le performance come dj, vorrei anche inserire le performance più cantate.”
Secondo me lei potrebbe rappresentare secondo me la controtendenza che forse può riaprire il banco ai meravigliosi anni 80-90, perché la musica che si produceva in quell’epoca, almeno la discoteca, il funk, non si è più ripetuta insomma e si è andata glissando. Vabbè oggigiorno la sento parecchio anche in quei sound tipo con artisti mainstream tipo Dua Lipa, che riprende tanto il funk, più moderno certamente, ma riprende un po’ l’essenza che mi piace un sacco, infatti è una delle mie artiste preferite,.
Ma certo non non si riuscirà comunque a riprendere l’essenza degli 80, che sono bellissimi. Se potessi nascere in qualche anno, a parere me, sarei nato negli 60 più o meno per vivermi ai 20 anni dell’80.
Ma è così, noi siamo dei tempi di Gloria Gaynor, Donna Summer, James Brown… “Bella, bella, bellissima. E’ la mia musica preferita, se mi chiedi ora con che musica, con che playlist di Spotify: Playlist anni 80, funky, disco, basta con quella posso stare tutto il giorno calmo, tranquillo, allegro.
Parlando di futuro, ha già progetti? L’anno scorso ho invitato un amico del, Francisco alias Flareboy e praticamente ci siamo messi fare musica nel home studio. Abbiamo fatto tanta tanta musica. Vediamo come la svilupperemo”.
Ecco il brano Pantelleria, da oggi su tutte le piattaforme digitali e sui profili social di Alessandro D’Aietti.
Audio Player
Tutti o profili social su cui seguire Alessandro D’Aietti
https://www.instagram.com/aledaietti/#
open.spotify: Pantelleria di Ale D’Aietti
https://www.youtube.com/@aledaietti
https://www.facebook.com/AleDaietti
Cultura
L’importanza del riconoscimento della lingua siciliana: intervento del Prof. Alfonso Campisi

Negli ultimi anni, il dibattito sul riconoscimento e l’insegnamento della lingua siciliana ha guadagnato sempre più rilevanza. La recente lettera aperta del Cav. Prof. Alfonso Campisi, professore ordinario di filologia romanza e presidente della Cattedra Sicilia Vincenzo Consolo, prima cattedra al mondo di Lingua e Cultura Siciliana (Università La Manouba di Tunisi), ha aggiunto un contributo significativo alla discussione, portando avanti un punto di vista chiaro e argomentato sulla necessità di valorizzare il siciliano come patrimonio culturale e linguistico.
La questione nasce in relazione al Disegno di Legge Voto (DDL Voto), recentemente presentato all’Assemblea Regionale Siciliana, che propone l’inserimento della lingua siciliana tra quelle tutelate dalla legge nazionale n. 482 del 1999. Tale proposta ha generato diverse reazioni, con posizioni contrastanti da parte del mondo accademico. Alcuni studiosi sostengono che il siciliano debba rimanere confinato alla sfera dialettale, evitando un’eccessiva politicizzazione del suo insegnamento.
Campisi, tuttavia, contesta questa posizione, sottolineando che “negare ai parlanti gli strumenti per conoscere, scrivere e tramandare la propria lingua significa, di fatto, limitare i loro diritti e impoverire il nostro patrimonio collettivo”. Secondo il professore, la tutela linguistica del siciliano non deve essere percepita come un tentativo di alterare il patrimonio culturale, bensì come un’occasione per arricchirlo e preservarlo.
Il valore dell’insegnamento della lingua siciliana
Uno degli aspetti centrali della lettera riguarda la possibilità di introdurre il siciliano nelle scuole, non come ostacolo all’apprendimento dell’italiano o di altre lingue, bensì come strumento per arricchire il patrimonio culturale delle nuove generazioni. “Portare la lingua siciliana nelle scuole non significa imporre un modello unico o artificiale, né ridurre la sua ricchezza a una questione ideologica”, scrive Campisi, sottolineando che il bilinguismo è una realtà consolidata in molte regioni europee e che porta benefici cognitivi ampiamente documentati.
La necessità di una pianificazione linguistica
Il professore evidenzia che esistono strategie già testate per preservare e sviluppare il siciliano senza snaturarlo. “La pianificazione linguistica è un campo di studi consolidato e non un’utopia”, afferma, evidenziando la necessità di un approccio scientifico e strutturato per garantire la continuità linguistica. Secondo Campisi, negare agli studenti la possibilità di studiare, scrivere e tramandare la propria lingua significherebbe limitare i loro diritti e impoverire il patrimonio collettivo.
Un invito al mondo accademico
Nella parte finale della sua lettera, Campisi si rivolge direttamente ai suoi colleghi accademici, ponendo una domanda provocatoria: “Cosa o chi, concretamente, al di là della pur necessaria pubblicazione di testi scientifici, vi ha impedito in tutti questi decenni di dedicare energie e competenze allo sviluppo di risorse linguistiche e didattiche e alla formazione di figure professionali qualificate?”. Secondo lui, un maggiore impegno in questi ambiti potrebbe rappresentare un punto di svolta per la conservazione della lingua siciliana, evitando il rischio della sua progressiva marginalizzazione.
La lettera aperta di Alfonso Campisi rappresenta un autorevole appello alla comunità accademica e politica affinché si riconsideri l’importanza del siciliano come lingua pienamente riconosciuta. Il dibattito rimane aperto, ma è evidente che la tutela e valorizzazione della lingua siciliana non siano solo una questione linguistica, bensì un tassello fondamentale per la salvaguardia della ricchezza culturale italiana.
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