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Cultura

Pantelleria, squarci di vita isolana nella prima metà dell’Ottocento – 2ª parte

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Il rimborso di 100 piastre

In data 20 settembre 1830 sappiamo di un rimborso di 100 piastre al Regio Console in Tunisia, che le aveva anticipate per pagare il rimpatrio di due panteschi sgraditi alla Reggenza di Tunisi.

Si trattava di Pietro Valenza e Pietro Stuppa, uno rimpatriato col capitano Francesco Catalano e l’altro col veliero di padron Vincenzo D’Ancona. Nel novembre del 1830 l’Amministratore delle Reali Poste di Trapani protesta vivamente presso le superiori autorità per l’inqualificabile comportamento del Giudice Circondariale di Pantelleria.

Quest’ultimo ha la pessima abitudine di far portare a casa sua tutte le lettere che arrivano con la barca di Marsala, li legge e quindi li restituisce disuggellate.

Le prepotenze e offese subite dagli stranieri

Ah! Quante prepotenze e offese ha subito la nostra isola da mani straniere!

Il 14 maggio 1832 a Cosmo Palmieri da Felitto, ex relegato ma ancora sotto sorveglianza, viene rilasciato il passaporto per portarsi in Pantelleria a prendere la moglie Giuseppa Rosa Errera. Ciò a conferma che non erano affatto rari i matrimoni tra relegati, quelli per lo più per motivi politici e quindi spesso appartenenti a famiglie borghesi benestanti, e donne pantesche.

Il 27 settembre dello stesso anno 1832 due legni, che non si poterono identificare, sparano delle salve di cannone all’altezza dell’isola e poi spariscono all’orizzonte. Don Salvatore Scavo riceve la nomina a Giudice Circondariale di Pantelleria in data 4 settembre 1834.

Il successivo 16 ottobre al relegato Giuseppe Pucci è ordinato il trasferimento da Pantelleria a Favignana, detto trasferimento è disposto per motivi di sicurezza in quanto si teme un attentato alla vita di Giovanni Bernardo, soldato della compagnia di dotazione al castello, avendo quest’ultimo in precedenza ucciso un fratello del Pucci in un tentativo di fuga.

Il 2 novembre 1834 salpa da Napoli alla volta di Palermo il brigantino del capitano Gabriello Ferrara. A bordo si trova un ragazzo, tale Salvatore Rizzo, fuggito dalla casa paterna in Pantelleria. Il Rizzo proveniva da Tunisi, dove il Regio Console napolitano lo aveva espulso, sulla prima nave in partenza (che andava appunto a Napoli), perché sprovvisto di mezzi di sussistenza.

All’inizio dell’estate del 1835 si paventa una rivolta dei relegati di Pantelleria, per cui viene allertato il comandante militare dell’isola, il maggiore don Antonio Guillamat. Intanto, per la bisogna, viene trasferita da Favignana un’intera brigata di gendarmeria, che resterà fino all’entrante nuovo anno.

Il 19 agosto 1835 viene autorizzato l’accettazione del legato per maritaggi delle ragazze orfane di Pantelleria, disposto da don Francesco Masnata con testamento del 24 febbraio 1830 per notar

Giuseppe Franco da Pantelleria.

Il Masnata era stato governatore dell’isola, con il grado di tenente colonnello degli eserciti di Sua Maestà Ferdinando IV di Borbone, negli anni 1771/1774. Si vede che Pantelleria era restata nel cuore di quel governatore.

Nei primi mesi del 1836 la bella e provocante relegata Rosalia Daidone suscita feroci gelosie, che rischiano di sfociare prima o poi in qualche sanguinoso duello rusticano. Per questo motivo la Daidone il 2 maggio viene trasferita, con destinazione la piccola e sperduta isola di Ustica.

Nel corso dell’anno 1837 scoppiano grosse divergenze, sul modo di come debbano essere usate le carceri esistenti nel castello di Pantelleria, tra il maggiore Antonio Guillamant, comandante militare dell’isola, e il regio giudice Salvatore Schiavo. Il 27 febbraio 1837 il capitano del porto di Pantelleria segnala il passaggio, presso le coste dell’isola, di una numerosa flotta ritenuta barbaresca e forse con rotta verso Tripoli. Da qualche nave parte anche una salva di colpi di cannoni. Il 9 marzo 1837 arriva l’ordine di trasferimento da Favignana a Pantelleria di tale Leonardo Nanfria “perché sospetto di costruzione di armi vietate che si forniscono ai reclusi e relegati”.

Quest’ordine ci lascia perplessi, in quanto riteniamo che il Nanfria abbia trovato in Pantelleria terreno ancora più fertile data la presenza di un’ancora più numerosa colonia di relegati, molti dei quali delinquenti e assassini incalliti.

Istanza, datata 27 aprile 1837, di Michele Macaro “detenuto a sovrana disposizione nel Castello di Pantelleria”, con cui si chiede di “poter passeggiare per l’isola, essendo di malferma salute”. Informativa della polizia borbonica sui marinai Francesco Valenza e Giovanni Gabriele, entrambi di Pantelleria, giunti a Napoli senza le necessarie carte di passaggio.

Alla fine delle indagini, il 1° febbraio 1838 i due ottengono il visto dalla Prefettura di Polizia per imbarcarsi alla volta di Palermo.

Il 20 agosto 1838 viene segnalato nel mare di Pantelleria il passaggio una squadra inglese.

Il 31 dello stesso mese vengono avvistati altri due vascelli inglesi di passaggio. Ai primi di settembre 1838 la polizia prende informazioni su patron Michele D’Ancona, il cui sciabecco è giunto nel porto di Napoli, proveniente da Roma, con una numerosa comitiva di persone, tutte di Pantelleria.

La cosa strana è che il ruolo dei passeggeri imbarcati dal D’Ancona è stato rilasciato per la tratta da Pantelleria per Trapani. Il capitano pantesco sostiene che il suo sciabecco, salpato effettivamente da Pantelleria, sia stato poi dirottato dal cattivo tempo verso le coste laziali.

Ed ecco l’elenco dei passeggeri, tra cui alcune donne: Aloi Giuseppe padre e figlio, Belvisi Giovan Battista, Boccetto Santa, Casano Benedetto, D’Amico Giuseppe, D’Ancona Salvatore, Ferrara Gaetano, Gabriele Fortunato, Gabriele Francesco, Gabriele Giuseppe, Gabriele Lorenzo, Gabriele

Salvatore, Gabriele Vito, Mangiapanelli Francesco e Pasqua, Pandolfi Giovanni, Panzavecchia Antonino, Pinna Andrea, Rappa Gaspare, Rizzo Felice, Rizzo Giuseppe, Rizzo Maria, Rodo Giacomo, Silvano Antonio e Giovanni Battista.

Supplica in data 13 maggio 1839 di Giovan Battista Rodo “provvisionato” di Pantelleria ovvero soldato stipendiato in pianta stabile, tendente ad ottenere “il sodisfo di più anni di soldo”. Sanguinose risse avvengono fra i relegati in Pantelleria, per cui il 24 agosto 1839 viene ordinato il trasferimento alla Favignana del relegato Gaetano Mazzo, uno dei più riottosi e violenti.

Nel novembre 1839 getta l’ancora nella rada di Pantelleria la nave a vapore inglese comandata dal capitano Tobison. Duello rusticano, con conseguente morto, l’8 giugno 1840. Per gelosia di una “donnina allegra”, il relegato Giuseppe Astorina uccide Salvatore Fundarò, anch’egli relegato. L’Astorina si dà poi alla fuga, ma alla fine viene catturato.

Nel giugno 1840 la feluca di padron Antonio Morana da Pantelleria giunge a Trapani. Porta un passeggero di nome Pietro Maccotta, su cui la polizia prende informazioni. Il 31 dicembre 1840 padron Salvatore Garsia da Pantelleria riceve la licenza dalle autorità “di allontanarsi dall’isola per i suoi traffici”.

Nel luglio 1841 si dispone la concessione di ducati venti al relegato sacerdote Vincenzo Pace affinché si possa vestire con abiti talari decenti, essendo quelli indossati dallo stesso laceri e sporchi. Però i ducati vengono affidati ad un dignitario della cattedrale di Pantelleria, in quanto si teme fortemente che il Pace “possa scialacquare il danaro” (vino e donnine?), invece di spenderlo per l’acquisto degli abiti nuovi. Il 4 ottobre 1941 viene nominato il nuovo custode delle prigioni dell’isola nella persona di Pietro Barraco.

Verso la fine di quel mese di ottobre scoppia un grosso scandalo, don Francesco Saluto, giudice circondariale di Pantelleria, viene accusato di abuso di potere (anche allora!) in quanto è solito imprigionare, con delle scuse, i parenti di donne giovani e piacenti, che suscitano la sua cupidigia e che vuole sedurre. Alla fine dell’anno ’41 viene compilato il ruolo della Guardia Urbana “a riserva” di Pantelleria, vi risultano iscritti 51 elementi.

L’8 agosto 1842 risultano emigrati in Tripoli d’Africa i seguenti cittadini nativi di Pantelleria: Francesco Di Malta, Giovanni Farina, Francesco Franco e Ignazio Longo.

Orazio Ferrara

(2 -fine)

Foto: Il castello con adiacenti i cameroni dei relegati

Marina Cozzo è nata a Latina il 27 maggio 1967, per ovvietà logistico/sanitarie, da genitori provenienti da Pantelleria, contrada Khamma. Nel 2007 inizia il suo percorso di pubblicista presso la testata giornalistica cartacea L'Apriliano - direttore Adriano Panzironi, redattore Stefano Mengozzi. Nel 2014 le viene proposto di curarsi di Aprilia per Il Corriere della Città – direttore Maria Corrao, testata online e intraprende una collaborazione anche con Essere Donna Magazine – direttore Alga Madia. Il 27 gennaio 2017 l'iscrizione al Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti nel Lazio. Ma il sangue isolano audace ed energico caratterizza ogni sua iniziativa la induce nel 2018 ad aprire Il Giornale di Pantelleria.

Cultura

Pantelleria, lavori di adeguamento, messa in sicurezza ed efficientamento energetico della palestra della Scuola Media “Dante Alighieri”

Redazione

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Alla cittadinanza, Il Sindaco comunica che l’Amministrazione comunale di Pantelleria ha portato a compimento l’iter amministrativo e progettuale necessario per il recupero e la piena rifunzionalizzazione della palestra della Scuola Media “Dante Alighieri”, struttura da tempo inagibile e fortemente attesa dalla comunità scolastica dell’isola. Il Sindaco comunica che l’intervento rientra in una più ampia strategia di riqualificazione dell’edilizia scolastica, con l’obiettivo prioritario di garantire sicurezza, accessibilità, sostenibilità energetica e qualità degli spazi destinati alle attività formative e sportive.

Il progetto prevede opere di adeguamento strutturale e funzionale, la messa in sicurezza dell’edificio, il miglioramento delle prestazioni energetiche attraverso l’installazione di impianti moderni e l’utilizzo di fonti rinnovabili, nonché il completo ripristino della fruibilità della palestra per studenti, associazioni sportive e iniziative collettive. Il Sindaco comunica che l’intervento consentirà di restituire alla cittadinanza una struttura fondamentale per la crescita educativa, sociale e sportiva dei giovani di Pantelleria, colmando una carenza che per anni ha inciso negativamente sull’offerta di spazi adeguati alle attività motorie.

L’Amministrazione è consapevole che l’esecuzione dei lavori potrà comportare disagi temporanei; tuttavia, il cronoprogramma è stato definito con l’obiettivo di contenere l’impatto sulle attività scolastiche, con una durata complessiva stimata in circa 14 settimane. L’Amministrazione continuerà a seguire con attenzione tutte le fasi successive, dall’affidamento dei lavori alla loro realizzazione, assicurando trasparenza, rispetto dei tempi e tutela dell’interesse pubblico. Pantelleria guarda avanti, investendo sulle scuole, sulla sicurezza e sul futuro delle nuove generazioni.

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Cultura

Il violinista di Solarino Don Paolo Teodoro e le radici di una tradizione di due secoli

Laura Liistro

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La storia nascosta di un paese che ha fatto della musica una firma identitaria

Nel 1827, quando il paese non era ancora Comune, un documento d’archivio rivela la presenza inattesa di un musicista professionista. Da allora Solarino non ha mai smesso di essere una comunità musicale.

Solarino – Nel 1827 il paese non era ancora autonomo e viveva un momento di transizione politica e amministrativa. Eppure, in quell’anno cruciale, emerge un dettaglio sorprendente che permette di leggere la storia locale da una prospettiva nuova. Tra gli atti conservati presso l’Archivio di Stato di Siracusa compare il nome di Don Paolo Teodoro, registrato come violinista.

Un dato che, per l’epoca, spacca in due l’immagine consueta di un borgo rurale fatto solo di agricoltori e artigiani.

Il musicista che rompe gli schemi

Il documento mostra chiaramente che Don Paolo Teodoro non era soltanto un residente rispettato di Solarino. Era un musicista. Un ruolo insolito in un contesto rurale del primo Ottocento, dove la musica raramente compariva nelle registrazioni ufficiali. Teodoro abitava in via Fontana, insieme alla moglie Costantino Eloisa, ma la sua formazione aveva radici ancora più profonde. Da giovane, infatti, era cresciuto in una parte dell’attuale Palazzo Requesens, allora indicato come Piano Palazzo n.2, oggi cuore dell’odierna Piazza del Plebiscito, luogo simbolo della vita sociale solarinese. Una crescita in un ambiente architettonico e culturale privilegiato che spiega – almeno in parte – la precocità di una vocazione musicale riconosciuta persino dagli atti civili borbonici.

Una tradizione musicale che Solarino non ha mai abbandonato

Il caso di Don Paolo Teodoro non è un episodio isolato, ma il primo tassello visibile di una storia più lunga. Perché a differenza di tanti altri centri siciliani, Solarino non ha mai smesso di essere un paese musicale. Bande storiche, maestri locali, scuole di musica, gruppi giovanili, famiglie che tramandano strumenti da generazioni, musicisti nazionali , la musica, qui, non è un accessorio, ma un linguaggio collettivo. E questa continuità testimonia una capacità rara: fare dell’arte una parte della propria identità civile. Non tutte le comunità hanno saputo compiere questa scelta. Molti centri rurali hanno perso nel corso del Novecento le proprie tradizioni culturali, travolti da emigrazione e modernizzazione. Solarino, invece, ha seguito una traiettoria diversa: ha difeso la musica, l’ha fatta propria, l’ha trasformata in patrimonio comune.

Questo è il vero punto di forza del paese. Una maturità culturale che trova le sue prime radici in persone come Don Paolo Teodoro: uomini capaci, già due secoli fa, di portare l’arte dentro la vita quotidiana di una comunità in trasformazione. Oggi, quando strumenti e prove musicali risuonano nelle case, nelle scuole e nelle piazze, è possibile intravedere un filo diretto con quella firma d’archivio del 1827. Solarino continua a distinguersi per il suo fermento artistico. E la storia del violinista Don Paolo Teodoro si rivela allora molto più che una curiosità d’epoca: è l’origine documentata di un percorso identitario che il paese ha scelto di portare avanti con orgoglio. Due secoli dopo, Solarino resta un paese che suona e questa è, senza dubbio, una delle sue vittorie più grandi.

Laura Liistro

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Cultura

Elena Pizzuto Antinoro: da Santo Stefano Quisquina alla scena internazionale della ricerca linguistica

Laura Liistro

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Donna siciliana, studiosa di straordinaria competenza e voce autorevole della ricerca italiana, Elena Pizzuto Antinoro è considerata una delle figure più influenti negli studi contemporanei sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.

Psicologa, linguista e ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha contribuito in modo determinante al riconoscimento della Lingua dei Segni Italiana (LIS) come sistema linguistico pienamente strutturato, superando visioni riduttive che ne avevano a lungo limitato la comprensione. Il suo percorso accademico si è svolto tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove ha approfondito la Lingua dei Segni Americana (ASL) entrando in contatto con metodologie di ricerca all’avanguardia. Questa esperienza internazionale fu decisiva: rientrata in Italia, introdusse nuovi paradigmi analitici che avrebbero innovato radicalmente lo studio della LIS, collocando la ricerca italiana in un dialogo costante con quella mondiale. Caratteristica centrale del suo lavoro fu l’approccio interdisciplinare.

Elena operò a stretto contatto con persone sorde, analizzando i processi cognitivi, le strutture linguistiche e le dinamiche comunicative della lingua visivo-gestuale. Le sue pubblicazioni rappresentano oggi un riferimento fondamentale non solo in Italia, ma anche nel contesto internazionale degli studi sulle lingue dei segni. Tra le iniziative più rilevanti da lei guidate figura VISEL, progetto dedicato allo sviluppo di sistemi di scrittura per la lingua dei segni e alla definizione di strumenti didattici innovativi. Un contributo che ha ampliato le possibilità di ricerca e di accesso alla comunicazione visiva, rafforzando il ruolo dell’Italia nel panorama scientifico globale. Colleghi e collaboratori ricordano Elena Pizzuto Antinoro come una professionista rigorosa, dotata di una forte integrità etica e di una visione capace di anticipare nuove prospettive. Il silenzioso applauso con cui la comunità sorda l’ha salutata ne sottolinea il profondo impatto umano e scientifico.

Oggi, Elena Pizzuto Antinoro è riconosciuta come una figura chiave della linguistica internazionale e un esempio di eccellenza femminile nel mondo accademico. Siciliana, figlia di Santo Stefano Quisquina, ha portato la sua terra d’origine nei principali centri di ricerca del mondo, lasciando un’eredità destinata a influenzare a lungo gli studi sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.

Laura Liistro

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