Cultura
Pantelleria, al via iscrizioni Corso Comunicazione Avanzata – II edizione
𝟐ª 𝐄𝐃𝐈𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐄𝐋 𝐂𝐎𝐑𝐒𝐎 𝐃𝐈 𝐂𝐎𝐌𝐔𝐍𝐈𝐂𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐀𝐕𝐀𝐍𝐙𝐀𝐓𝐀 𝐄 𝐃𝐈𝐍𝐀𝐌𝐈𝐂𝐇𝐄 𝐂𝐎𝐌𝐏𝐎𝐑𝐓𝐀𝐌𝐄𝐍𝐓𝐀𝐋𝐈
Dopo il grande successo della prima edizione, che ha visto un’ampia partecipazione da parte di operatori turistici e professionisti di diversi settori, torna il percorso formativo pensato per migliorare le competenze comunicative e relazionali.
Questa seconda edizione offre contenuti aggiornati e strumenti pratici per affrontare con efficacia le sfide quotidiane nel mondo del lavoro.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡é 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞𝐜𝐢𝐩𝐚𝐫𝐞?
Per migliorare le capacità di comunicazione: gestire conflitti, usare empatia e migliorare l’efficacia delle interazioni.
Per prendere decisioni migliori: grazie agli strumenti per riconoscere e superare i bias cognitivi affrontando le scelte in modo più consapevole.
Per gestire meglio le differenze generazionali: come collaborare efficacemente con colleghi e clienti di età e background diversi.
Per diventare un leader più autorevole e gentile: imparerai a delegare, motivare, comprendere, e valorizzare le risorse umane.
𝐏𝐫𝐨𝐠𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝟒 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐞
𝟏𝟒 𝐆𝐞𝐧𝐧𝐚𝐢𝐨: Gap Generazionale (gestire differenze tra generazioni sul lavoro)
𝟏𝟓 𝐆𝐞𝐧𝐧𝐚𝐢𝐨: Comunicazione Efficace (riepilogo della prima edizione)
𝟏𝟔 𝐆𝐞𝐧𝐧𝐚𝐢𝐨: Bias Cognitivi (evitare errori nelle scelte quotidiane e lavorative)
𝟏𝟕 𝐆𝐞𝐧𝐧𝐚𝐢𝐨: Leadership (diventare leader efficaci)
𝐋𝐮𝐨𝐠𝐨: Aula Consiliare Municipio
𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨: Dal 14 al 17 gennaio 2025
𝐎𝐫𝐚𝐫𝐢𝐨: 15:00 – 19:00
𝐈𝐬𝐜𝐫𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐚𝐩𝐞𝐫𝐭𝐞 a un singolo corso o a tutti i corsi
𝐀𝐭𝐭𝐞𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐟𝐫𝐞𝐪𝐮𝐞𝐧𝐳𝐚 per chi partecipa a tutti i corsi
𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐢𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢: Cliccando sul link sarà possibile visualizzare i 4 corsi disponibili.
Per ogni iscrizione ai corsi scelti verrà inviata una mail con il ticket da esibire all’ingresso.
𝐀𝐓𝐓𝐄𝐍𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄: 𝐏𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐜𝐮𝐫𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐚𝐯𝐞𝐫 𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐮𝐚𝐭𝐨 𝐥’𝐢𝐬𝐜𝐫𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚𝐢 𝟒 𝐜𝐨𝐫𝐬𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐨𝐬𝐭𝐢.
Link Iscrizione: https://billetto.it/…/corso-di-comunicazione-avanzata-2…
Cultura
Le “sgrappolatrici” di Pantelleria sul Tg Sicilia in un servizio di Laura Spanò – V I D E O
C’erano Rosa, Anna, Anita, Lina e le tre Marie a raccontare Pantelleria nell’operazione dello sgrappolamento
Le preziose e stupende “sgrappolatrici” tornano sotto i riflettori.
Laura Spanò, attenta e sensibile giornalista del Tg Sicilia, ha intercettato una nostra pubblicazione relativa al lavoro delle donne pantesche anche nel campo della vendemmia e della vinificazione. Meglio ancora nella produzione del passito.
Il certosino lavoro, che contribuisce alla produzione di una delle eccellenze eno-gastronomiche dell’isola, non è passato inosservato e così le signore delle contrade di Khamma e Tracino tornano a raccontare il loro compito. Si tratta di una miscela fatta di pazienza, sapienza e amicizia.
C’erano Rosa, Anna, Anita, Lina e tre Marie a tessere l’antica usanza dello sgrappolamento degli acini di zibibbo appassiti.
La Spanò, nel suo mirabile lavoro dedicato a Pantelleria, racconta le fasi di una agricoltura eroica che non ha tempo nè prezzo.
Il servizio
Cultura
Pantelleria, I racconti del vecchio marinaio pantesco
In viaggio con patrun Vito
Il sole scendeva lento sul porto vecchio di Pantelleria, tingendo di rosso scuro le pietre di lava delle parate difensive del castello a guardia sempiterna dello specchio di mare antistante. Era un pomeriggio inoltrato di uno dei primi anni Sessanta e io, curioso come sempre di cose di mare, mi fermai ad osservare un vecchio marinaio seduto, tranquillo e silenzioso, su una bitta della banchina.
Poteva avere sui settant’anni e la salsedine e il maestrale di tutti quegli anni gli avevano modellato il viso come una fitta e intricata ragnatela, che non metteva affatto repulsione, anzi lo rendeva del tutto simpatico, facendomi subito riandare con la mente ai vecchi marinai di Salgari, i cui romanzi di mare in quel tempo erano una delle mie letture preferite. Il vecchio marinaio era intento a battere con forti colpi, ripetutamente. la sua pipa sulla suola di una scarpa, ma a me sembrò che non volesse scrollarsi soltanto della cenere, piuttosto dei pensieri molesti, carico gravoso e ineludibile che ti regala la vecchiaia. Alla mia domanda se avesse mai fatto parte di un equipaggio di un veliero pantesco dei tempi andati, alzò lo sguardo tra il meravigliato e l’indispettito e con la pipa a mezz’aria.
Ma cosa poteva mai interessare a quel ragazzotto, che sembrava tornare allora allora da una giornata di mare passata tra gli scogli di punta San Leonardo, di un tempo ormai irrimediabilmente perduto? Poi parlò con voce roca come ghiaia che si muove sotto le onde del mare e disse: “Sugn’ statu prima picciotto ‘ì varca appoi marenaro”.
Dunque prima mozzo e poi marinaio, quindi una vita sul mare fin da giovanissimo Dette queste parole si tacque e caricò lentamente la pipa con del tabacco nero come la pece e l’accese. Sembrava che il colloquio fosse finito lì, quando riprese a parlare con quella sua voce roca, che sapeva di mare antico.
“Fici lu primu viaggiu da Pantiddraria a Napule ca varca ‘i patrun Vitu”. A questo punto, per il lettore che non intende bene il siciliano, continuo il racconto in italiano, salvo, per inciso, qualche espressione dialettale. “Allora ero picciotto ‘ì varca. Era il 1903, o forse il 1904, chi si nni ricorda cchiù e in quegli anni patron Vito era il capitano di veliero più sperto di Pantelleria e dopo ‘u Signuri nostru era il mare ad avere tutta la sua devozione.
In navigazione, pur con tutta la sua indiscussa bravura in cose di mare, non era mai arrogante perché soleva ripetere “Cu mari e cu venti ‘un tti fa valenti” (Con il mare e con i venti non essere arrogante o peggio spavaldo).
“Il veliero di patrun Vito non era grande, ma era solido e forte come una pietra nivura della nostra isola. Si chiamava “Madonna di Trapani” ed era stato varato nei cantieri di Amalfi nell’anno 1890, se non ricordo male. Ha navigato, attrezzato poi con un motore, fino alla vigilia dell’ultima guerra.
Ai miei tempi andava solo a vela. Aveva due alberi e bompresso e dispiegava una velatura, che lo faceva filare dritto sul mare come una freccia. Allora le barche avevano ancora un’anima di tela, bianca come le ali di un angelo. Il giorno della partenza, che per me era l’inizio del primo viaggio per mare come picciotto, la stiva era piena zeppa fino all’orlo. I sacchi più pesanti erano lì, i capperi di Bommarino. Quelli che si mettono sotto sale, carnosi, quelli che danno sapore a tutto quel che mangi. E poi, le cassette, con la stoffa sopra per non farle scaldare, dell’uva passa più bella, quella della contrada di Grazia di Sopra. Seccata al sole nostro africano, dolce come il miele, la nostra Zibibbo, trasformata in oro, doveva arrivare a Napoli al più presto possibile, dove la gente danarosa la voleva per i loro dolci.
Patron Vito fu categorico: da Pantelleria a Napoli senza scali in porti intermedi. Se Dio vuole, in tre giorni. E così fu. Uscimmo dal porto con il vento buono, lasciandoci presto alle spalle ‘a petra ‘i fora. La brezza gonfiava la vela maestra come il petto di un galletto in amore. Sette, a volte otto nodi, in pieno giorno. Un trotto regolare. Potevi quasi sentirla, la barca che mangiava il mare, spinta solo da quelle tele spiegate e dalla bravura di Vito e del nostromo Turi.
Il capitano Vito non dormiva. Stava lì, con il timone in mano, a parlare con il vento e con le onde, a sentire l’odore del mare che cambiava. Dalla costa siciliana fino a che non vedevi altro che blu. Non voleva fermarsi. Non per Messina, non per Salerno. Doveva essere un viaggio diretto. Un viaggio cui dovevano vantarsi, al ritorno, tutti i marinai dell’equipaggio nelle lunghe serate invernali pantesche davanti a un buon bicchiere di vino passito. La vita a bordo era semplice: pane, cipolla e qualche sarda salata.
Il silenzio
Ma la cosa più bella era il silenzio. Solo lo scricchiolio del legno, il vento che fischiava nelle sartie e il suono delle onde che si aprivano, inchinandosi, sotto la prua. Per tre giorni e tre notti vedemmo solo l’orizzonte. Poi, all’alba del quarto giorno, quando il sole cominciava a spuntare, eccola. La sagoma grande, colorata, di Napoli, all’ombra del suo gigante nero, il Vesuvio.
Solo in quel momento patrun Vitu tirò un sospiro che sembrava quello del mare intero. Attraccammo, e il carico era perfetto. I capperi profumavano, l’uva passa era intatta. Era così, allora. L’abilità e il coraggio di un uomo di mare pantesco e i frutti della sua terra.
Oggi, ci sono i motori, e quella meravigliosa sensazione di andare per mare spinti solo dal vento di ‘u Signuri nostru … quella non la senti più”. E si tacque, batté più volte la pipa sulla suola della scarpa per scrollare la cenere e si perse, silenzioso, nei suoi pensieri antichi incrostati di salsedine.
Orazio Ferrara
Personaggi
E’ morta Ornella Vanoni, un’artista di grande di stile, simpatia e sagacia
“Io voglio vivere finchè do alla vita qualcosa”
Il mondo della musica perde una vera icona… “senza fine”
La voce tra le più imitate e seducenti della musica italiana si è spenta per sempre.
Ornella Vanoni è morta a 91 anni, nella sua casa di Milano, colpita da un arresto cardiocircolatorio. I soccorritori sono arrivati quando ormai era troppo tardi.
Classe ’34, con lei si chiude un sipario dello spettacolo senza tempo e senza repliche. L’artista, che aveva esordito nello spettacolo a teatro con Strehiler, non era solo una cantante, era un simbolo capace di attraversare epoche senza mai diventare fuori moda.
All’attivo si contano quasi settant’anni di carriera e oltre 55 milioni di dischi venduti, che hanno scolpito la sua voce nella memoria mondiale.
La personalità forte, caratterizzata spesso da sferzate pungenti, era dotata di grande intelligenza e capacità da riuscire a cantare sul palco duettando con giovani big della canzone italiana.
Negli ultimi anni era diventata la presenza fissa più attesa da Fabio Fazio, forse più della Littizzetto, che superava in simpatia e spontaneità.
Lo scorso giugno venne insignita della laurea honoris causa. Durante la cerimoni seppe manifestare la sua regale umiltà.
Parlando della morte, la cantante milanese così si è espressa “Io non voglio morire troppo grande. Io voglio vivere finchè alla vita do qualcosa e la vita mi dà. Il giorno in cui non dò più o non mi dà, io non voglio vivere.”
Ieri sera se ne è così come ha vissuto, con stile, senza clamore.
Di lei rimarranno le sue canzoni intramontabili, impresse addosso al suo pubblico come cicatrici dolci.
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