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Cultura

Palermo, “Apparire ed essere”, abiti e creazioni di Giunò venerdì 8 marzo al Convitto Nazionale “Giovanni Falcone”

Redazione

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Donne che combattono e che affrontano la vita con coraggio, capaci di accogliere i cambiamenti e le sfide, raccontando se stesse tra forza ed eleganza e con lo sguardo rivolto al futuro.

Sono le donne che la stilista palermitana Giuseppina Notarianni, in arte Giunò, ama vestire interpretando la loro bellezza, all’insegna di un rapporto che si fonda prioritariamente sulla complicità, l’empatia e la sintonia.

Proprio Giunò, grande amica delle donne, capace di valorizzarle ed esaltare la loro unicità, sarà tra i protagonisti di un evento che si terrà a Palermo nel pomeriggio di venerdì 8 marzo al Convitto Nazionale di Stato “Giovanni Falcone”, in piazza Sett’Angeli 3, nel cuore del centro storico.

“Apparire ed essere”, questo il titolo dell’iniziativa che prenderà il via alle 16:30 con ingresso gratuito, è un omaggio alla donna nel giorno che la celebra in tutto il mondo.

Un’occasione per accendere i riflettori sulle conquiste già ottenute e i traguardi ancora da raggiungere.  

Tematiche che oscillano tra la leggerezza e l’impegno sociale e che Giunò declinerà attraverso la sensibilità che la contraddistingue e la creatività che dà vita ai suoi abiti ispirati ai kimono, ai suoi accessori di fulgida bellezza e ai capi preziosi che raccontano una manualità inarrivabile.

“La mia attività – spiega la stilista, che per quarant’anni si è dedicata all’insegnamento – nasce dall’amore e dall’attenzione per la moda e le sue evoluzioni”.

“La passione e la conoscenza dei tessuti pregiati – aggiunge – congiuntamente alla manualità naturale per il cucito dilettantistico, mi hanno condotto alla realizzazione di abiti unici in termini di peculiarità e definizione”.

Abiti che saranno presentati al pubblico proprio l’8 marzo al Convitto alla presenza della stilista, coadiuvata dal social media specialist Rosario Sicari, elemento di punta del team di Giunò.

Il progetto grafico della locandina relativa all’evento al Convitto Nazionale porta la firma di Roberta Tuvè.

Cultura

Pantelleria, consenso per il murales di Andrea Buglisi in Rione San Giacomo

Direttore

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Annunciata l’inaugurazione per il 31 luglio ore 19,30. L’effetto sui social

Questa mattina il Comune di Pantelleria ha annunciato l’inaugurazione dell’opera murale, per giovedì 31 luglio alle ore 19.30 in via A. Manzoni 91 – Rione San Giacomo.
Saranno presenti il Sindaco di Pantelleria, Fabrizio D’Ancona, l’artista Andrea Buglisi e la Consigliera Comunale Nadia Ferrandes.

Ma dall’annuncio, già i movimenti/commenti di pancia verso l’opera, attraverso i social: piena approvazione per il messaggio di speranza, solidarietà e apprezzamento artistico in sè; pieno consenso per l’uso di una grande area del Rione San Giacomo da dedicare all’arte e ad una Pantelleria aperta e unita verso tematiche che ancora rappresentano tabù, in certi contesti.


Andrea Buglisi

Ma chi è l’artista che si è prestato in questa opera tanto  mastodontica quanto significativa?

Nato a Palermo nel 1974 e diplomato in Decorazione all’Accademia di Belle Arti nel 1998 con una tesi sulla Street Art, attualmente insegna Discipline Pittoriche al Liceo Artistico “E. Catalano” di Palermo.
Buglisi  si occupa principalmente di pittura, concedendo particolare attenzione alle contaminazioni e ibridazioni fra questa e gli altri media espressivi.
Il suo lavoro lo descrive come un mix tra colpo d’occhio e messaggio critico nei confronti della società che sottostà a nevrosi collettive.
Le opere di Andrea Buglisi sono state presentate in mostre personali e rassegne in Italia e all’estero. (Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, Mart museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Stadtgalerie di Kiel, Museum Kunstpalast di Düsseldorf, Biennale di Venezia etc.). Vive e lavora a Palermo.

Ma un passaggio a Pantelleria lo ha imbrigliato per lasciare il suo messaggio contro un tema che non smetterà mai di dare materiale per la cronaca nera, per grandi perdite e dolori incalcolabili, ancora e tutt’ora: la violenza di genere.

Appuntamento dunque, per il 31  luglio alle ore 19.30 in via A. Manzoni 91 – Rione San Giacomo, di Pantelleria e vedere prendere spessore la sua ultima creatura.

Ringraziamo Mimmi Panzarella per aver condiviso con noi i suoi scatti.

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Cultura

Pantelleria, orari delle messe di agosto 2025

Direttore

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La Chiesa Matrice Ss. Salvatore ha reso noti gli orari delle sante messe programmate per il mese di agosto 2025, nella Chiesa Madre di Pantelleria Centro e nelle  contrade.

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Cultura

La caponata dei marinai dei velieri / 2. A Pantelleria negli anni ’60

Orazio Ferrara

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La preparazione della caponata marinara era semplicissima e veloce. Prima si bagnavano le gallette o ‘u viscottu nell’acqua di mare fino a renderle appena appena morbide, facendo quindi attenzione a non inzupparle completamente per non creare così una pappa inservibile all’uso. Questo dell’uso dell’acqua di mare è intuibile. Si risparmiava così sull’acqua potabile di bordo, sempre preziosa e sempre scarsa. E anche sul sale. Inutile sottolineare che a quel tempo il mare, particolarmente al largo, era pulitissimo. Inoltre le gallette assorbivano, oltre il sale, altri preziosi elementi dall’acqua marina. Chi non conosce le qualità terapeutiche di un piccolo sorso di acqua di mare (ma dove trovarne oggi di pulita)? Sorso che ha un leggero effetto lassativo e regola a perfezione l’intestino.

Chi scrive, lo praticava ragazzo, nelle nuotate all’alba nel mare di Pantelleria degli inizi degli anni Sessanta. Dopo di che si passava alla seconda fase, aggiungendo alle gallette, leggermente bagnate ripetiamo, grosse fette di cipolle, abbondante aglio e olive in salamoia. Apriamo una piccola parentesi: l’aglio e la cipolla erano il “carburante” quotidiano del legionario romano, che seppe conquistare prima e civilizzare poi un impero che non ha eguali nella storia. Continuiamo. Si aggiungevano poi filetti (o intero se piccolo) di pesce essiccato (per i siciliani, ‘u pisci sciutto).

Quest’ultimo variava secondo la latitudine e le costumanze locali. Nel Mediterraneo uno dei più utilizzati, anche per l’essere assai saporito e più facilmente pescabile, era la “minnola” ovvero menola o mennola (nome scientifico Spicara maena). Altri utilizzavano invece il pesce lampuga o corifena, popolarmente detto “pesce capone”, da cui qualcuno, erroneamente, ha fatto poi derivare il nome di “caponata”. Altri ancora aggiungevano acciughe sotto sale. I marinai siciliani, non i panteschi che mettevano generalmente le “minnole” quali pisci sciutti, usavano largamente mettere il cosiddetto mosciamme, che consisteva in filetto essiccato di delfino, cosa che francamente ci fa rabbrividire, essendo il delfino caro da sempre al cuore di chi scrive queste note.

D’altronde non a caso presso gli antichi il delfino era considerato sacro e spesso deificato e quindi sventura certa coglieva chi ne uccideva uno. Fortunatamente nel tardo Ottocento venne sostituito con il tonno sott’olio. La parola mosciamme si fa derivare dall’arabo mosammed, che indica un alimento duro e secco. Veniva esportato in Sicilia da commercianti nord-africani dalla vicina Barberia. La “conciatura” finale della caponata consisteva nell’aggiungere abbondante aceto e dell’olio d’oliva, a volte, non sempre, vi si cospargevano sopra dell’origano e dei capperi.

Questo “rancio” semplice e dagli ingredienti umili, eppure gustoso e sostanzioso ad un tempo, è stato, ripetiamo, il carburante di generazioni di uomini che sono andati per mare per commerciare, ma anche per scoprire qualcosa di nuovo e meraviglioso sempre al di là della linea dell’orizzonte marino.

Orizzonte che era frontiera mobile e sempre cangiante della loro vita avventurosa sul mare. Infine quello stesso rancio rappresentava un momento importante nella vita di bordo, momento di forte convivialità e socializzazione, cui non poche volte seguivano, con il beneplacito del comandante, musiche, canti e balli. Cosa che cementava gli uomini dell’equipaggio in un tutt’uno, pronti così a far fronte al meglio alle quotidiane insidie del mare. Annotiamo che in qualche arcaica ricetta di caponata abbiamo riscontrato che a volte veniva spruzzato anche del succo di limone.

La cosa ci ha lasciati sulle prime alquanto perplesso, in quanto il succo di limone non lega affatto bene con tutto il resto, ma poi ragionando abbiamo capito del perché Era un rimedio empirico contro lo scorbuto, malattia, dovuta alla carenza di vitamina C, che per secoli ha falcidiato gli equipaggi delle navi in mare. L’80% dei marinai di Magellano perì a causa dello scorbuto. Soltanto verso la fine del ‘700 la marina da guerra britannica, all’epoca la prima al mondo, prescrisse, dopo innumerevoli sperimentazioni mediche, nella dieta quotidiana dei suoi marinai imbarcati del succo di limone (contenente vitamina C concentrata). Ed ora non ci resta che preparare la caponata dei marinai attenendoci scrupolosamente a quanto sopra descritto, logicamente l’acqua di mare va sostituita con acqua potabile con l’aggiunta di un pizzico di sale e,,, buon’appetito e…, visto che siamo in tema, aggiungiamo l’augurio di “buon vento e mare calmo”.

(2 – fine)

Orazio Ferrara

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