Connect with us

Cultura

La Grotta di Sataria a Pantelleria

Nicoletta Natoli

Published

-

Grande e suggestiva, la Grotta di Sataria si trova sul tratto di costa sud-occidentale di Pantelleria. Dotata di una volta di pietra pomice e di una pavimentazione in mattoni, è scavata nella roccia ed è famosa fin dall’antichità per le sue sorgenti di acqua termale, ideali per curare le artriti e i dolori reumatici. Il fascino della Grotta di Sataria, luogo ideale per rigenerare il corpo e lo spirito, affonda le sue radici anche in una delle leggende che riguardano l’etimologia del suo nome.

 

La favola ci trasporta nel mondo arabo ed è stata trascritta da Gino Kappler, poeta e scrittore nato a Pantelleria, dopo aver ascoltato di persona gli aneddoti di alcuni anziani tunisini di provenienza pantesca. In più, essa svela l’origine dei nomi dei due venti che soffiano prepotentemente sull’isola, ovvero il maestrale e lo scirocco.

 

Questa storia sulla Grotta di Sataria inizia con la nascita della figlia del califfo Ben Surtah, alla quale fu dato il nome di “Satariah” (Set-el-Riah, che in arabo significa signora del vento), poiché nel momento in cui venne al mondo cessò improvvisamente un vento fortissimo che da oltre due mesi devastava il suo Paese. Le precarie condizioni di salute in cui versò la ragazza durante la sua infanzia compromisero la ricchezza di suo padre, che in punto di morte fu imprigionato dal suo secondogenito Omar, guerriero coraggioso e assetato di potere. Questi avrebbe voluto uccidere la sorella affinché non rivendicasse pretese sul califfato, ma decise di risparmiarla relegandola a Pantelleria, che a quel tempo non era conosciuta da molti.

 

Il sole, il clima mite, l’aria buona e l’acqua calda di una grotta in riva al mare furono di grande giovamento per la salute di Satariah, che all’età di ventidue anni fu considerata la donna più bella di Pantelleria. Suo cugino Hamsin, innamorato di lei fin da ragazzo, venne a conoscenza della sua sorte, e decise di raggiungerla sull’isola. Tra i due fu amore a prima vista, e così si sposarono, vivendo e regnando felici per undici anni, periodo in cui Pantelleria raggiunse il suo massimo splendore: furono costruite numerose case attorno al castello, fu ingrandito il porto, si popolarono le campagne e grazie alla prima flotta commerciale furono importate dall’Africa la vite, le arance, le nespole e i capperi.

 

Quando sembrava che nulla potesse perturbare la tranquillità della coppia, i Normanni, capitanati dal potente e valoroso guerriero Mistral, calarono su Pantelleria. Nonostante Hamsin e i suoi uomini riuscirono a resistere per un periodo agli invasori, alla fine dovettero soccombere, e in uno di questi scontri cruenti Satariah cadde prigioniera di Mistral. Anche lui, all’apparenza duro e violento, perse la testa per la donna, e le promise che avrebbe liberato l’isola dall’assedio se avesse accettato di sposarlo. Lei finse di assecondarlo e si fece portare nella sua amata grotta, dove era solita bagnarsi quotidianamente. Qui aspettò invano che il marito venisse a liberarla dal mare, poiché questi fu sconfitto e così il suo piano andò in fumo, avvicinandola al suo triste destino. Disperata per la sorte di Hamsin, la donna provò a pugnalare Mistral, che però si accorse del suo tradimento, e a sua volta la uccise colpendola con un pugnale.

 

Hamsin riuscì a tornare in tempo a Pantelleria per dare l’ultimo abbraccio a sua moglie, mentre Mistral scappava. Immerso nel suo dolore, vagò per giorni e giorni in cerca del suo nemico, finché non lo trovò sulla cima della Montagna Grande, e dopo tre giorni e tre notti di feroci battaglie lo ammazzò. Nemmeno la sua vittoria, che gli permise di liberare l’isola dagli invasori, poté ripagarlo per la perdita della sua amata, e così, a pochi giorni di distanza, si impiccò sull’albero maestro del veliero che lo aveva visto felice per tanti anni con la sua Satariah.

 

Quella notte Pantelleria fu colpita da un temporale spaventoso, con un vento così forte che fece sollevare il mare fino a delle altezze eccezionali. Secondo la leggenda, le anime dei due rivali in guerra e in amore si trasformarono in venti, che da allora lottano per contendersi Pantelleria, dove riposerà per sempre la loro adorata Satariah. Da quel momento, la grotta in cui lei si bagnava prese l’attuale nome di Sataria, e l’isola è lo scenario in cui si scontrano costantemente lo scirocco (Hamsin) e il maestrale (Mistral).

Nicoletta Natoli

 

Mi chiamo Nicoletta Natoli e sono nata a Palermo il 22 gennaio del 1982. Ho sempre sognato di lavorare nel campo delle lingue straniere, e ho avuto la fortuna di riuscirci diventando una traduttrice, anche grazie ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuta in tutte le mie scelte. Le mie più grandi passioni sono la musica, il calcio, i viaggi, la lettura, le serie TV e tutto ciò che riguarda la Spagna. Poco tempo fa la frequentazione di un corso di scrittura ha fatto nascere dentro di me la voglia di raccontarmi e di raccontare agli altri, e sono molto grata di avere l’opportunità di poterlo fare.

Advertisement
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ambiente

Pantelleria, vendemmia 2025: i risultati tra siccità pregressa e peronospera

Direttore

Published

on

Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano

Ogni anno teniamo sott’occhio quella che una eccellenza indiscussa di Pantelleria: la viticultura.
Grazie a questa pratica di agricoltura decisamente eroica anche ai nostri tempi, l’isola ha conquistato uno spazio nei patrimoni dell’umanità, per cui l‘UNESCO ha conferito, lo ricordiamo, il riconoscimento proprio per la vite ad alberello.
Quest’anno abbiamo voluto fare un approfondimento, con una intervista, viste le recenti problematiche ambientali. Abbiamo contattato, all’uopo, Giovanni Bonomo, agricoltore eroico soprattutto per la passione che mette nel suo lavoro. Solerte, studioso, conosce i nomi latini di tutti o buona parte i parassiti che aggrediscono la vite, ma anche i capperi e altre colture importanti nella nostra economia. Con quel suo fare un pò romantico e un pò nostalgico, si sofferma ad analizzare soluzioni possibili per arginare problematiche simili, anche in modo sostenibile, si veda la conferenza che si terrà il 13 novembre prossimo e di cui parleremo in questo articolo.

E così, esordiamo: Signor Bonomo, com’è andata la vendemmia di quest’anno?Partiamo dalla siccità dell’anno scorso che ha portato una certa sofferenza alle piante. Quest’anno invece è piovuto circa 600 mm, quindi un po’ d’acqua è entrata nel terreno, però le piante venivano da un periodo di indebolimento, in cui la vendemmia è stata pessima.
Quest’anno però le viti, queste viti che hanno piantato i nostri antenati, che le hanno scelte fondamentalmente molti migliaia di anni fa, potendo risalire sino ai fenici, perchè lo zibibbo arriva a Pantelleria con i fenici, hanno avuto un buon ristoro grazie appunto all’azione della pioggia. Seppur non sia stata abbastanza generosa.
Ma ciò che ha afflitto quest’anno le piante è stata la peronospera che ha inflitto loro un effetto di “bruciatura”. 

Vuole spiegare a chi non è del settore cos’è la peronospera? “La peronospera, è un parassita, venuto dall’America, come anche lo Oidio, che in Italia si chiama malaria. Esso si riproduce, si replica, e alla fine le foglie tenere e i grappoli teneri che vengono colpite restano come “bruciate”. L’intera isola ha sofferto di questo “attacco”.
 
Siamo a novembre, la vendemmia ormai è arrivata quasi al termine. A Pantelleria si fanno più raccolti, ce li vuole spiegare?Sì, oramai l’abbiamo terminata. La prima raccolta si fa all’incirca ad agosto, nelle zone troppo veloci, partendo dalla scogliera con le uve primizie.
Queste primizie, una volta partivano per fare le cosiddette gabbiette ed essere distribuite come uva da tavola. Fatta questa prima raccolta, via via si risale di quota.”

Quali sono i vitigni della tradizione pantesca?In gran parte è lo zibibbo, poi i panteschi avevano, un tempo per uso personale, il catarrato, il nero nostrale l’insolia, il garignano e altri vitigni secondari. Però ripeto, una volta questi coltivati per uso personale, l’uva che andava alla vendita era lo zibibbo.
“Questo perchè, in genere, l’agricoltore pantesco non  gradisce tanto lo zibibbo, specie il vino dalla prima raccolta che sa essere stucchevole.
“Ma, negli ultimi decenni, sono cominciati ad arrivare i Merlot, i Cabernet, i Shiraz e via discorrendo così.”

Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano

La vendemmia di quest’anno ha prodotto un quantitativo e un qualitativo che ci (6:40) lascia soddisfatti?Come quantitativo si potrebbe fare un po’ di più, se non venissimo da un anno molto arido, come qualità è molto buono. L’uva passa appassisce sempre a quel livello là, quindi poi sono sia i viticoltori con la loro cura, sia gli enologi che fanno dei grandi vini.
Questo quando non piove proprio quando è durante la vendemmia, perchè va a peggiorarsi la qualità dell’uva. Questo, per fortuna non si è verificato in questa annata.
Ho parlato ieri con l’Antonio  D’Aietti l’enologo, forse il principale professionista dell’isola, e lui mi ha detto che stanno guardando gli ultimi arrivi delle varie particelle, delle varie produzioni: siamo sui un 22 mila, si potrebbe arrivare a  24-25 mila quintali.”

Tra qualche giorno si darà via a un corso formativo all’avanguardia, che vuole esporre l’isola ad uno step nel progresso dal punto di vista dei trattamenti. Organizzato dal Centro Giamporcaro e nato da una sua idea, cosa può anticiparci? “L’Università di Palermo ci ha indicato questo formatore, il prof. Luigi Rotondo. Il corso si terrà dal 13 al 16 ottobre e durerà 14 ore, distribuite in tre pomeriggi e una mattinata, cercando di conciliare l’orario con le esigenze degli agricoltori, che di solito lavorano sempre e non hanno mai tempo di fare i corsi.
L’idea è di chiarirci le idee sulla peronospora e altri parassiti,  formando i lavoratori del settore  anche con l’autoproduzione di alcuni preparati, per cercare anche di ridurre l’impatto chimico sulle coltivazioni, che poi la parte anche li mangiamo noi.”
“L’argomento è molto grande, rispetto anche a come si mantengono i terreni, tenendo presente pure l’età delle persone, i mezzi che hanno a disposizione, i guadagni.”

Abbiamo notato  che questo corso è  considerato talmente valido, che il centro Giamporcaro ha radunato parecchi sostenitori: oltre Comune e Parco Nazionale, il Consorzio Vini Doc, le cantine Pellegrino, Emanuela Bonomo e Donnafugata. Poi Fertigess e Stelmond Bio, ma anche l’Autonoleggio Policardo, seppur non sia del settore. “Infatti, già durante una riunione dello scorso marzo abbiamo invitato diverse aziende, le più importanti hanno risposto, quindi Donna Fugata, Pellegrino, adesso è arrivata anche Emanuela Bonomo. Abbiamo anche come sponsor il Noleggio Policardo che è sempre molto sensibile ad appoggiare iniziative per il territorio. Tutta questa gente ha creduto in questo progetto presentato dal Giamporcaro, con il suo presidente Anna Rita Gabriele. Il  Giamporcaro dura da 30 anni con un grande lavoro alle spalle: è uno dei maggiori soggetti attivi dal punto di vista sociale, culturale, il tutto, essendo una associazione no profit lo fa gratuitamente per la comunità di Pantelleria.”

Continue Reading

Cultura

Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura

Direttore

Published

on

Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.

Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.

Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.

In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.

Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.

Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?

Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura  aziende che lo producono con 10 aggiunte.

A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.

Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di  fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi  per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto  si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.

Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.

Continue Reading

Cultura

Pantelleria e l’asso degli aerosiluranti a Margana: Guido Robone

Orazio Ferrara

Published

on

Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici

Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici, che andavano a rifornire l’isola di Malta ridotta ormai allo stremo dal lungo assedio delle forze dell’Asse.

La 278a era dotata del velivolo Savoia-Marchetti S.M.79 detto Sparviero, un aereo trimotore ad ala bassa multiruolo. Si riconosceva immediatamente per la tipica “gobba” dietro l’abitacolo di volo, gobba in cui alloggiavano mitragliere Breda-SAFAT da 12,7 mm. Per tale tipicità era denominato dagli avieri scherzosamente anche col nomignolo di “gobbo maledetto”.
Distintivo della 278a: quattro gatti, due bianchi e due neri. Motto: “Pauci sed semper immites” (Pochi ma sempre implacabili). Uno degli S.M.79 di stanza a Margana, identificato con il numero “278-1”, era l’aereo dal tenente pilota Guido Robone da Como. Il Robone, quand’era ancora un giovane sottotenente, era stato uno dei pochi ad aver superato la durissima selezione di piloti, che il 25 luglio 1940 a Gorizia erano andati a costituire il primo “Reparto Sperimentale Aerosilurante”.
Di quel gruppo ristretto faceva parte anche l’allora tenente Carlo Emanuele Buscaglia, che sarà poi uno dei più famosi aviatori nella specialità degli aerosiluranti, riuscendo ad affondare oltre 100 000 tonnellate di naviglio nemico. Le onorificenze concesse al Buscaglia testimoniano del suo indomito valore: Medaglia d’oro, ben sei Medaglie d’argento, Croce di Ferro di 2ª Classe, due avanzamenti di gradi per merito di guerra. E scusate se è poco. In molte missioni di guerra Robone fu gregario di Buscaglia Da sottolineare che anche Buscaglia avrà modo di operare, col suo aerosilurante, da Pantelleria nel giugno del 1942 al tempo della vittoriosa battaglia di “Mezzo giugno”, in cui la Royal Navy inglese subirà una pesante e umiliante sconfitta. Quando il tenente pilota Guido Robone giunse a Margana in quella calda estate del ‘41, lo precedeva la fama di asso, come confermavano i nastrini azzurri appuntati sul petto di due medaglie d’argento.

Le medaglie

Motivazione della prima medaglia: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante già provato per ardimento in molteplici rischiose e difficili azioni di guerra, il giorno 14 ottobre in ore notturne raggiunta una formazione navale nemica,

nonostante violentissima reazione contraerea, la attaccava decisamente riuscendo a colpire un incrociatore.
Confermava cosi le sue elevate doti di combattente, alto senso del dovere e sprezzo del pericolo Cielo del Mediterraneo, 14 ottobre 1940-XVII”.

Motivazione della seconda: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, di provato valore guidava il proprio apparecchio all’attacco di formazioni navali nemiche in mare aperto ed in munitissime basi riuscendo a colpire col siluro tre unità.

II giorno 11 gennaio 1941 al rientro da una lunga azione di ricognizione offensiva condotta in mare aperto con condizioni atmosferiche proibitive, a causa di perdita di benzina si ritrovava senza carburante lontano dalla base su zona montagnosa. Anziché affidare la propria salvezza al paracadute, preferiva effettuare un pericolosissimo atterraggio notturno di fortuna con siluro a bordo riuscendo a portare in salvo l’equipaggio, l’arma e parte del materiale. Nel nobile tentativo restava ferito. Cielo del Mediterraneo, 2 novembre 1940-11 gennaio 1941-XIX”.
Dalle motivazioni precedenti si può comprendere bene quale tempra d’uomo e di pilota fosse il Robone. D’altronde quest’ultimo, al suo arrivo a Pantelleria, era appena reduce da un altro successo, conseguito nei mari prospicienti l’Africa Settentrionale decollando dal campo di Berka (Bengasi).
Infatti alle ore 19:25 del precedente 21 aprile 1941, aveva attaccato con la solita determinazione e con il consueto indomito coraggio una formazione navale britannica, silurando, malgrado la furiosa contraerea, la petroliera British Lord di 6.000 tonnellate e danneggiandola gravemente.
Dell’efficacia del siluramento si ebbe poi conferma anche dagli inglesi.

Orazio Ferrara
(1 – continua)

Continue Reading

Seguici su Facebook!

Cronaca

Cultura

Politica

Meteo

In tendenza