Cultura
La caponata dei marinai dei velieri / 2. A Pantelleria negli anni ’60
La preparazione della caponata marinara era semplicissima e veloce. Prima si bagnavano le gallette o ‘u viscottu nell’acqua di mare fino a renderle appena appena morbide, facendo quindi attenzione a non inzupparle completamente per non creare così una pappa inservibile all’uso. Questo dell’uso dell’acqua di mare è intuibile. Si risparmiava così sull’acqua potabile di bordo, sempre preziosa e sempre scarsa. E anche sul sale. Inutile sottolineare che a quel tempo il mare, particolarmente al largo, era pulitissimo. Inoltre le gallette assorbivano, oltre il sale, altri preziosi elementi dall’acqua marina. Chi non conosce le qualità terapeutiche di un piccolo sorso di acqua di mare (ma dove trovarne oggi di pulita)? Sorso che ha un leggero effetto lassativo e regola a perfezione l’intestino.
Chi scrive, lo praticava ragazzo, nelle nuotate all’alba nel mare di Pantelleria degli inizi degli anni Sessanta. Dopo di che si passava alla seconda fase, aggiungendo alle gallette, leggermente bagnate ripetiamo, grosse fette di cipolle, abbondante aglio e olive in salamoia. Apriamo una piccola parentesi: l’aglio e la cipolla erano il “carburante” quotidiano del legionario romano, che seppe conquistare prima e civilizzare poi un impero che non ha eguali nella storia. Continuiamo. Si aggiungevano poi filetti (o intero se piccolo) di pesce essiccato (per i siciliani, ‘u pisci sciutto).
Quest’ultimo variava secondo la latitudine e le costumanze locali. Nel Mediterraneo uno dei più utilizzati, anche per l’essere assai saporito e più facilmente pescabile, era la “minnola” ovvero menola o mennola (nome scientifico Spicara maena). Altri utilizzavano invece il pesce lampuga o corifena, popolarmente detto “pesce capone”, da cui qualcuno, erroneamente, ha fatto poi derivare il nome di “caponata”. Altri ancora aggiungevano acciughe sotto sale. I marinai siciliani, non i panteschi che mettevano generalmente le “minnole” quali pisci sciutti, usavano largamente mettere il cosiddetto mosciamme, che consisteva in filetto essiccato di delfino, cosa che francamente ci fa rabbrividire, essendo il delfino caro da sempre al cuore di chi scrive queste note.
D’altronde non a caso presso gli antichi il delfino era considerato sacro e spesso deificato e quindi sventura certa coglieva chi ne uccideva uno. Fortunatamente nel tardo Ottocento venne sostituito con il tonno sott’olio. La parola mosciamme si fa derivare dall’arabo mosammed, che indica un alimento duro e secco. Veniva esportato in Sicilia da commercianti nord-africani dalla vicina Barberia. La “conciatura” finale della caponata consisteva nell’aggiungere abbondante aceto e dell’olio d’oliva, a volte, non sempre, vi si cospargevano sopra dell’origano e dei capperi.
Questo “rancio” semplice e dagli ingredienti umili, eppure gustoso e sostanzioso ad un tempo, è stato, ripetiamo, il carburante di generazioni di uomini che sono andati per mare per commerciare, ma anche per scoprire qualcosa di nuovo e meraviglioso sempre al di là della linea dell’orizzonte marino.
Orizzonte che era frontiera mobile e sempre cangiante della loro vita avventurosa sul mare. Infine quello stesso rancio rappresentava un momento importante nella vita di bordo, momento di forte convivialità e socializzazione, cui non poche volte seguivano, con il beneplacito del comandante, musiche, canti e balli. Cosa che cementava gli uomini dell’equipaggio in un tutt’uno, pronti così a far fronte al meglio alle quotidiane insidie del mare. Annotiamo che in qualche arcaica ricetta di caponata abbiamo riscontrato che a volte veniva spruzzato anche del succo di limone.
La cosa ci ha lasciati sulle prime alquanto perplesso, in quanto il succo di limone non lega affatto bene con tutto il resto, ma poi ragionando abbiamo capito del perché Era un rimedio empirico contro lo scorbuto, malattia, dovuta alla carenza di vitamina C, che per secoli ha falcidiato gli equipaggi delle navi in mare. L’80% dei marinai di Magellano perì a causa dello scorbuto. Soltanto verso la fine del ‘700 la marina da guerra britannica, all’epoca la prima al mondo, prescrisse, dopo innumerevoli sperimentazioni mediche, nella dieta quotidiana dei suoi marinai imbarcati del succo di limone (contenente vitamina C concentrata). Ed ora non ci resta che preparare la caponata dei marinai attenendoci scrupolosamente a quanto sopra descritto, logicamente l’acqua di mare va sostituita con acqua potabile con l’aggiunta di un pizzico di sale e,,, buon’appetito e…, visto che siamo in tema, aggiungiamo l’augurio di “buon vento e mare calmo”.
(2 – fine)
Orazio Ferrara
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Cultura
Pantelleria, lavori di adeguamento, messa in sicurezza ed efficientamento energetico della palestra della Scuola Media “Dante Alighieri”
Alla cittadinanza, Il Sindaco comunica che l’Amministrazione comunale di Pantelleria ha portato a compimento l’iter amministrativo e progettuale necessario per il recupero e la piena rifunzionalizzazione della palestra della Scuola Media “Dante Alighieri”, struttura da tempo inagibile e fortemente attesa dalla comunità scolastica dell’isola. Il Sindaco comunica che l’intervento rientra in una più ampia strategia di riqualificazione dell’edilizia scolastica, con l’obiettivo prioritario di garantire sicurezza, accessibilità, sostenibilità energetica e qualità degli spazi destinati alle attività formative e sportive.
Il progetto prevede opere di adeguamento strutturale e funzionale, la messa in sicurezza dell’edificio, il miglioramento delle prestazioni energetiche attraverso l’installazione di impianti moderni e l’utilizzo di fonti rinnovabili, nonché il completo ripristino della fruibilità della palestra per studenti, associazioni sportive e iniziative collettive. Il Sindaco comunica che l’intervento consentirà di restituire alla cittadinanza una struttura fondamentale per la crescita educativa, sociale e sportiva dei giovani di Pantelleria, colmando una carenza che per anni ha inciso negativamente sull’offerta di spazi adeguati alle attività motorie.
L’Amministrazione è consapevole che l’esecuzione dei lavori potrà comportare disagi temporanei; tuttavia, il cronoprogramma è stato definito con l’obiettivo di contenere l’impatto sulle attività scolastiche, con una durata complessiva stimata in circa 14 settimane. L’Amministrazione continuerà a seguire con attenzione tutte le fasi successive, dall’affidamento dei lavori alla loro realizzazione, assicurando trasparenza, rispetto dei tempi e tutela dell’interesse pubblico. Pantelleria guarda avanti, investendo sulle scuole, sulla sicurezza e sul futuro delle nuove generazioni.
Cultura
Il violinista di Solarino Don Paolo Teodoro e le radici di una tradizione di due secoli
La storia nascosta di un paese che ha fatto della musica una firma identitaria
Nel 1827, quando il paese non era ancora Comune, un documento d’archivio rivela la presenza inattesa di un musicista professionista. Da allora Solarino non ha mai smesso di essere una comunità musicale.
Solarino – Nel 1827 il paese non era ancora autonomo e viveva un momento di transizione politica e amministrativa. Eppure, in quell’anno cruciale, emerge un dettaglio sorprendente che permette di leggere la storia locale da una prospettiva nuova. Tra gli atti conservati presso l’Archivio di Stato di Siracusa compare il nome di Don Paolo Teodoro, registrato come violinista.
Un dato che, per l’epoca, spacca in due l’immagine consueta di un borgo rurale fatto solo di agricoltori e artigiani.
Il musicista che rompe gli schemi
Il documento mostra chiaramente che Don Paolo Teodoro non era soltanto un residente rispettato di Solarino. Era un musicista. Un ruolo insolito in un contesto rurale del primo Ottocento, dove la musica raramente compariva nelle registrazioni ufficiali. Teodoro abitava in via Fontana, insieme alla moglie Costantino Eloisa, ma la sua formazione aveva radici ancora più profonde. Da giovane, infatti, era cresciuto in una parte dell’attuale Palazzo Requesens, allora indicato come Piano Palazzo n.2, oggi cuore dell’odierna Piazza del Plebiscito, luogo simbolo della vita sociale solarinese. Una crescita in un ambiente architettonico e culturale privilegiato che spiega – almeno in parte – la precocità di una vocazione musicale riconosciuta persino dagli atti civili borbonici.
Una tradizione musicale che Solarino non ha mai abbandonato
Il caso di Don Paolo Teodoro non è un episodio isolato, ma il primo tassello visibile di una storia più lunga. Perché a differenza di tanti altri centri siciliani, Solarino non ha mai smesso di essere un paese musicale. Bande storiche, maestri locali, scuole di musica, gruppi giovanili, famiglie che tramandano strumenti da generazioni, musicisti nazionali , la musica, qui, non è un accessorio, ma un linguaggio collettivo. E questa continuità testimonia una capacità rara: fare dell’arte una parte della propria identità civile. Non tutte le comunità hanno saputo compiere questa scelta. Molti centri rurali hanno perso nel corso del Novecento le proprie tradizioni culturali, travolti da emigrazione e modernizzazione. Solarino, invece, ha seguito una traiettoria diversa: ha difeso la musica, l’ha fatta propria, l’ha trasformata in patrimonio comune.
Questo è il vero punto di forza del paese. Una maturità culturale che trova le sue prime radici in persone come Don Paolo Teodoro: uomini capaci, già due secoli fa, di portare l’arte dentro la vita quotidiana di una comunità in trasformazione. Oggi, quando strumenti e prove musicali risuonano nelle case, nelle scuole e nelle piazze, è possibile intravedere un filo diretto con quella firma d’archivio del 1827. Solarino continua a distinguersi per il suo fermento artistico. E la storia del violinista Don Paolo Teodoro si rivela allora molto più che una curiosità d’epoca: è l’origine documentata di un percorso identitario che il paese ha scelto di portare avanti con orgoglio. Due secoli dopo, Solarino resta un paese che suona e questa è, senza dubbio, una delle sue vittorie più grandi.
Laura Liistro
Cultura
Elena Pizzuto Antinoro: da Santo Stefano Quisquina alla scena internazionale della ricerca linguistica
Donna siciliana, studiosa di straordinaria competenza e voce autorevole della ricerca italiana, Elena Pizzuto Antinoro è considerata una delle figure più influenti negli studi contemporanei sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.
Psicologa, linguista e ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha contribuito in modo determinante al riconoscimento della Lingua dei Segni Italiana (LIS) come sistema linguistico pienamente strutturato, superando visioni riduttive che ne avevano a lungo limitato la comprensione. Il suo percorso accademico si è svolto tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove ha approfondito la Lingua dei Segni Americana (ASL) entrando in contatto con metodologie di ricerca all’avanguardia. Questa esperienza internazionale fu decisiva: rientrata in Italia, introdusse nuovi paradigmi analitici che avrebbero innovato radicalmente lo studio della LIS, collocando la ricerca italiana in un dialogo costante con quella mondiale. Caratteristica centrale del suo lavoro fu l’approccio interdisciplinare.
Elena operò a stretto contatto con persone sorde, analizzando i processi cognitivi, le strutture linguistiche e le dinamiche comunicative della lingua visivo-gestuale. Le sue pubblicazioni rappresentano oggi un riferimento fondamentale non solo in Italia, ma anche nel contesto internazionale degli studi sulle lingue dei segni. Tra le iniziative più rilevanti da lei guidate figura VISEL, progetto dedicato allo sviluppo di sistemi di scrittura per la lingua dei segni e alla definizione di strumenti didattici innovativi. Un contributo che ha ampliato le possibilità di ricerca e di accesso alla comunicazione visiva, rafforzando il ruolo dell’Italia nel panorama scientifico globale. Colleghi e collaboratori ricordano Elena Pizzuto Antinoro come una professionista rigorosa, dotata di una forte integrità etica e di una visione capace di anticipare nuove prospettive. Il silenzioso applauso con cui la comunità sorda l’ha salutata ne sottolinea il profondo impatto umano e scientifico.
Oggi, Elena Pizzuto Antinoro è riconosciuta come una figura chiave della linguistica internazionale e un esempio di eccellenza femminile nel mondo accademico. Siciliana, figlia di Santo Stefano Quisquina, ha portato la sua terra d’origine nei principali centri di ricerca del mondo, lasciando un’eredità destinata a influenzare a lungo gli studi sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.
Laura Liistro
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