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Cultura

Il Santo Natale e il Presepe Siciliano, nel mito e nella storia

Redazione

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Difficile immaginare un luogo ideale, proprio per il Presepe, più dell’Italia. Forse perché “inventato” da San Francesco, forse perché i nostri paesaggi e la nostra cultura antica, agricola e pastorale, ben si prestano a evocare atmosfere, immagini e “situazioni” consolidate dalla tradizione, soprattutto nel Centro e nel Meridione. Non a caso, infatti, Napoli e la Sicilia sono le due aree capitali della manifestazione presepistica, che comunque alligna ovunque.

Nell’area iblea, subregione geografica che costituisce il territorio del Sud Est dell’isola, grandi sono le radici della cultura del Presepe. Infatti splendidi esempi, di notevole fattura artistica e di grande valore storico, ve ne sono quasi ovunque , dai più grandi centri ai paesini minori.

Famoso, a Modica, quello sito nella meravigliosa ed elegante basilica di Santa Maria di Betlemme, che occupa una intera grande cappella sul fianco sinistro della costruzione, con uno scenario roccioso e rupestre di grandissimo e stupefacente effetto, animato da tante figure, quasi ad altezza reale, che rappresentano attività e mestieri del tempo che fu, coincidenti o quasi con l’epoca delle Natività. Figure in cartapesta, ma talmente curate, anche con panneggi precisissimi, tanto da sembrare un film, arredi e attrezzi come solo la cultura contadina e la ricerca antropologica sanno rappresentare.

A Scicli, nella scenografica Chiesa di San Bartolomeo, altro magnifico presepe con statue lignee di analogo grandissimo valore, anche qui in rilevante scala quasi reale.

Stupefacente poi è il riporto alla memoria che queste grandi opere sono tutte successive alla grande distruzione di tutto il territorio per il Grande Terremoto del 1693, che rase al suolo città, palazzi, chiese, mura e castelli, causando solo a Ragusa oltre 5000 morti, quasi altrettanti a Modica, e altre decine di migliaia fino a Noto, Siracusa, Caltagirone e Vizzini. Stiamo parlando quindi del Settecento e dell’Ottocento, quando la voglia di rinascere fece sì che si affermasse, in quelle che erano state città dall’aspetto gotico e rinascimentale, la nuova architettura e arte barocca e tardobarocca (rococò).

Anche in Ragusa, nel transetto destro della cattedrale di San Giovanni Battista, sotto l’altare, dà bella mostra di sé un più piccolo ma delizioso presepe, di grande suggestione e raffinata eleganza. Cito per brevità solo tre esempi di presepi fissi, ma tante parole si potrebbero spendere per altre realtà e -da non dimenticare- i presepi viventi in tante diverse località, utilizzando il paesaggio naturale che qua e là carsico si presta a riprodurre scorci dell’antica Palestina, a Ispica, Modica, Giarratana, Monterosso Almo, Mineo e ancora altri.

A ciò aggiungiamo l’usanza dei presepi domestici, spesso partecipanti a locali concorsi e altrettanto spesso aperti alle gratuite visite dei tanti appassionati, tanto che in Ragusa Ibla vi è addirittura una via dei Presepi, durante le festività frequentata da migliaia di visitatori.

A cosa si deve questa evocatrice traduzione? Ad avviso di chi scrive, aldilà della cristiana ricorrenza, nel grande sforzo di rinascita dal buio della distruzione sismica, psichicamente indotto dal cataclisma nei sopravvissuti, che “volevano” rinascere alla Luce; esattamente il senso del Santo Natale, quello vero e non commerciale, che diventa innervatura del pensiero, del sentimento e dell’azione, sia individuale che comunitaria.

Sono le tracce visibili e concrete di una profonda fede, in Dio certo, ma anche nella sacralità dell’Uomo.

Enzo Bonomo Ferrandes

Nella foto presepe di Modica

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2 Comments

2 Comments

  1. Avatar

    Bruno

    23:29 - Dicembre 2, 2019 at 23:29

    Eccellente excursus sulle origini e motivazioni del presepe. Complimenti all’autore.

  2. Avatar

    Gianbattista Del Campo

    17:51 - Dicembre 4, 2019 at 17:51

    Bellissima sintesi di una tradizione secolare,Modica era ai tempi una Contea florida e importante ,seppe risollevarsi a fatica dalla tragedia del terremoto così come gli altri paesi, penso che dalle origini molto spagnole di quella cultura si sia evoluta la passione del Presepe proprio per i motivi sopra letti(non scordiamoci che in contemporanea nasce anche la scuola Napoletana)…..sono perfettamente d’accordo che la grande fede in dio e la sacralità dell’uomo siano state le basi di questa raffinatissima tradizione. Complimenti all’autore per questa celebrazione che dovrebbe portare tutti a una maggiore riflessione sui mali che ci affliggono.

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Cultura

Pantelleria, oggi presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore

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Questo pomeriggio, 7 dicembre 2025, dalle ore 16.30, presso i noti locali del Circolo Ogigia di Pantelleria Centro, si terrà la presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore.

Ad affiancare l’autore, Franca Zona e Giovanna Drago, apprezzate donne di cultura, che si alterneranno in una intervista conoscitiva del libro.

Antonino Maggiore, classe 1982, è un docente di musica presso la scuola primaria di Pantelleria, dove unisce rigore e creatività, nel quotidiano rapporto con l’infanzia.
Lo scrittore pantesco non è alla sua prima opera. Negli anni ha già pubblicato due raccolte poetiche: “Niente di importante” e una “Penna x amico“, grazie alle quali ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti.
Le note strane” è un romanzo autobiografico: in viaggio intimistico tra fragilità ed ironia, attraversando il confine spesso sottile tra disperazione e gioia, risa e pianto.

Con il delicato contributo musicale di Maria Bernardo, si profila un piacevole pomeriggio letterario, al caldo e tra “degustatori” di libri.

L’ingresso è libero

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Cultura

I racconti del vecchio marinaio di Pantelleria: Il rito antico della dragunera

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Quel giorno lasciai gli scogli di San Leonardo più presto del solito, mentre i miei amici erano ancora a mollo a mare, in un’acqua trasparente e azzurrina come solo il mare di Pantelleria sa esserlo. Mi soffermai ancora una volta a leggere le scritte multicolori che rendevano meno triste il vecchio bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. L’amore di sempre: “ti voglio bene, “un cuore solo”, “ti amerò per sempre” precedute da un nome femminile e tante altre scritte, eredità amorose di generazioni di giovani panteschi. Una però faceva a pugni con tutte le altre, “Mariuccia buttana”. Doveva essere stato davvero un brutto tradimento, per bollarlo con un marchio di fuoco e per tramandarlo così ai posteri.

Giunsi sulla banchina e lo vidi seduto sulla solita bitta di fronte al castello, la nuvola azzurrina del fumo della sua pipa gli conferiva una strana aureola di mistero. Avevo deciso di porgli alcune domande, ma appena mi vide cominciò a parlare con voce arrochita dal tabacco e dalla salsedine. “Il veliero Madonna di Trapani era un vero e proprio gioiello della marineria pantesca. Due alberi, bompresso lungo come una lancia, vele latine che sapevano piegarsi al vento, ma non alla paura. Patrun Vitu, il suo comandante, era un uomo di mare e di silenzi infiniti, con le mani dure come la nostra pietra lavica e gli occhi di un verde misterioso, che avevano visto tempeste e miracoli. Nelle sue mani il timone seguiva docilmente l’invisibile linea della rotta fissata.

Quel giorno, ero ancora picciotto ‘i varca, avevamo da diverse ore passatu l’isola di Ustica e puntavamo, con tutte le vele spiegate su Trapani, fermarci qui la notte e il giorno seguente tornare a Pantiddraria, dove dovevamo sbarcare delle merci comprate a Napoli. Il mar Tirreno sembrava quieto e il vento amico, ma ‘ogni marinaio sa che “Cu ventu e cu mari nun si fa cuntrattu” (Col vento e col mare non si fa contratto). Così all’improvviso il cielo cambiò.

Una linea nera si stese sull’orizzonte, e il vento cadde morto di colpo. I marinai si guardarono l’un l’altro muti e attoniti. Il capitano Vito salì sul ponte e scrutò quel cielo nerastro e la vide: una dragunera (tromba marina), la maledizione antica e rabbiosa per chi va per mare. Essa, sottile e affilata, scendeva dal cielo come il dito di dio marino irato, girando vorticosamente sull’acqua.

Il nostromo Turi colse l’ansia e il timore degli altri uomini dell’equipaggio e chiese a patrun Vitu di virare. Ma Vito no, non solo perché la cosa era impossibile per mancanza di vento, ma perché egli era uomo che accettava intrepido le sfide in mare. Lui conosceva lu ritu anticu, lo aveva visto fare

da suo nonno e da suo padre prima di lui. Aprì il baule sotto il timone e ne trasse un coltello d’ossidiana, nero come la notte e affilato come il silenzio che precede la burrasca. Poi disse deciso “Mantenete la rotta, non si fugge davanti alla dragunera. Si tagghia”.

Si diresse a prua e la sua figura alta e possente sembrò dominare le onde. Il vento intanto aveva ripreso a soffiare forte e impetuoso che a momenti gli strappava il berretto. La dragunera si avvicinava, ululando conne una magara. Vito attese, fermo, come nu parrinu davanti all’artari. Quando la coda della tromba marina fu a portata, egli disse vecchie parole che non si potevano intendere, poi tracciò con il coltello d’ossidiana una grande croce nell’aria e recitò a voce alta questa preghiera:

Nniputenza di lu Patri,
Sapienza di lu Figghiiu,
pi virtù di lu Spiritu Santu
e pi nnomu di Maria
sta cuda tagghiata sia

Un suono sordo, come un lamento, si levò dal mare. La vorticosa colonna d’acqua si dissolse e il cielo si aprì all’azzurro. Tutti noi marinai, increduli, guardavamo ammirati e a un tempo intimoriti il capitano come si guarda un uomo che ha parlato allora allora con gli spiriti. Vito tornò al timone, rimise il coltello di ossidiana nel baule e disse solo: “Adesso a casa”. Al tramonto del giorno dopo Pantelleria ci apparve all’orizzonte, nera e fiera e materna. Il Madonna di Trapani, come sempre, entrò in velocità nello stretto passaggio che dava al porto vecchio. Solo capitan Vito e qualche altro patrun si potevano permettere di sfidare la scogliera cartaginese semisommersa.

La voce del subitaneo taglio della dragunera si sparse, in un battibaleno, in tutte le contrade dell’isola e da quel giorno ogni marinaio pantesco che incrociava patrun Vitu lo salutava con rispetto misto ad ammirazione. Perché non tutti sanno tagghiare la coda a una tromba marina. E soprattutto non tutti hanno il coraggio di farlo”.

Il vecchio marinaio si tacque definitivamente.
Girò le spalle e si mise a guardare, assorto, il mare come aspettasse l’arrivo di qualcuno, intanto la nuvola azzurrina del fumo della pipa, che lo avvolgeva in tenui volute, gli conferiva un certo non so che di misterioso.

Orazio Ferrara


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Cultura

Trapani e l’oro rosso del Mediterraneo: “Il Corallo anima di Trapani”. Un mese di eventi

Redazione

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Dal 2 al 19 dicembre 2025, Trapani celebra la sua storica tradizione corallara con la seconda edizione di “Il Corallo anima di Trapani”, un programma che coinvolgerà studenti, artigiani, istituzioni e comunità del Mediterraneo.
L’iniziativa, promossa dal Comune di Trapani e dalla Biblioteca Fardelliana con il contributo dell’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione Siciliana intreccia formazione, cultura e diplomazia mediterranea per preservare e tramandare l’antica arte della lavorazione del corallo.
Dal 2 al 5 dicembre, le botteghe e showroom trapanesi apriranno le porte agli studenti per visite guidate alla scoperta dei segreti di quest’arte millenaria.
Il percorso prosegue dal 9 al 12 dicembre al Museo Regionale Pepoli con il laboratorio creativo “Dal Mediterraneo al Museo – Il viaggio del corallo”, curato dall’Associazione “Amici del Museo Pepoli”.
Il 13 dicembre alle ore 17.00, sempre al Museo Pepoli, verrà presentato il restauro del prezioso Presepe in corallo del XVIII secolo, capolavoro dell’artigianato trapanese.
L’evento culminante si terrà il 19 dicembre alle ore 17.30 alla Biblioteca Fardelliana: la tavola rotonda internazionale “Rotte del Corallo – Dialogo tra culture mediterranee” vedrà rappresentanti istituzionali e maestri corallai e la firma di un protocollo della “Rete Mediterranea delle Città del Corallo”, un’alleanza che consolida i legami tra le comunità mediterranee unite da questa tradizione.
“Quest’anno proponiamo la seconda edizione de “Il Corallo anima di Trapani”. Siamo estremamente orgogliosi che questo progetto prosegua: dopo l’edizione del 2024, oggi varchiamo i confini della nostra città per un momento di dialogo con le tradizioni dell’arte del corallo non soltanto di un’altra città siciliana come Sciacca, ma anche di altre città d’Italia – Torre del Greco e Alghero – e oltre i confini nazionali, nel Mediterraneo con Tunisia e Andalusia.
Ci confronteremo non solo per raccontare la nostra tradizione, durante una sessione scientifica del convegno, ma vogliamo stilare un protocollo d’intesa per costituire una rete mediterranea delle città del corallo. L’obiettivo è avviare un percorso comune e condiviso di promozione, affinché questa antichissima e preziosa arte possa essere rinnovata e valorizzata congiuntamente” – così affermano Giacomo Tranchida, sindaco del Comune di Trapani e Rosalia d’Alí, assessore alla Cultura.
Per tutto dicembre, la Biblioteca Fardelliana proporrà un percorso audiovisivo dedicato al corallo trapanese: un docufilm che racconta tradizione e futuro attraverso l’intelligenza artificiale e un documentario che esplora il corallo tra arte, ricerca e innovazione. Due narrazioni complementari che offrono sguardi contemporanei su un’arte antica.
“Il corallo anima di Trapani” è un modello di valorizzazione che coniuga tutela delle tradizioni, innovazione e cooperazione internazionale.

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