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Cultura

Il racconto della vendemmia a settembre: dall’uva al vino

Redazione

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La vendemmia è un rito antico, fatto di echi storici, poetici e agricoli che ora fonde la tradizione
degli avi alle moderne tecniche enologiche.
“Cui zappari sapi, zappassi la so vigna. Cui voli aviri bonu mustu, Zappassi la viti ad agustu”.
L’inizio della storia…
La mia famiglia aveva preso in affitto un piccolo casolare e un pezzetto di terra er adibirlo alla
coltivazione di uva sia da tavola che per fare il vino… correva l’anno 1967 (un desidero che il mio
caro padre volle realizzare per ottimizzare la sua passione per la campagna e per il buon vino…).
U juornu ra vinnigna
Lu suli appèna spuntàtu, nmezzu li filàra sta ammucciàtu.
Li pàmpini chini chini d’acquazzìna,vàgnanu li robbi di prima matìna.
Li rappi di racìna sunnu lucènti, sarànnu mustu ntempu di nenti.
Li vespi e li cattùbbuli mbriàchi vannu vulànnu, màsculi e fìmmini vinnìgnanu cantànnu.
Anchi si lu suli tuttu lu jòrnu pica ntesta, vinnignàri è sempri ‘na ranni festa.
La racìna di ‘sta nostra terra è la furtùna, ogni còcciu è tunnu e beddu comu la luna.

Il giorno della vendemmia e la mia compartecipazione…
Il momento del passaggio dall’uva al vino è un vero e proprio viaggio. Una pratica antichissima che
ha radici ancora più remote tanto da essere celebrata dalla letteratura greca e latina.
Raccolta e condivisione sono le parole chiavi che rappresentano questo magico momento. Una
riunione che racchiude tradizione e innovazione.
La vendemmia è il momento di raccolta dell’uva. È l’occasione che riunisce tutte le persone che
lavorano fianco a fianco per intere settimane. È la festa di fine stagione. La conclusione di un duro
lavoro fatto insieme.
Era un lunedì mattina di inizio settembre. Tutti eravamo pronti per iniziare a vendemmiare. Lungo
la strada che conduceva ai primi vigneti io, mio padre, mio zio ed alcuni amici eravamo già lì di
buon’ora mentre la mia cara madre era intenta ad osservare il panorama. Cielo limpido e azzurro,
odore dell’erba e della terra, calore del primo sole che riscalda il volto determinato di decine e
decine di lavoratori.
I trattori erano già accesi aspettando di esser caricati di uva.

Il responsabile delle operazioni Don Carmelo… controllava che tutto era ben sistemato tenendo
d’occhio il procedere della raccolta. Un po’ di vento, qualche nuvola che si intravedeva in
lontananza e la voglia di iniziare a toccare, con mani esperte, grappoli di uva grossi e succosi.
Quello della vendemmia era un momento importante per la nostra famiglia era un momento di
condivisione. I filari si sviluppavano in modo ordinato uno accanto all’altro in parallelo, e davano
un senso di perfezione ed armonia nei nostri cuori.
La sua pratica ha origini molto antiche e una rilevanza letteraria molto alta. Ricordiamo il racconto
di Bacco e delle Baccanti che rappresentano l’emblema dell’iconografia antica del vino ma anche
dell’opera di Plinio il Vecchio “Naturalis Historiae” che va ad analizzare le caratteristiche del
territorio e delle coltivazioni delle viti.
I filari raccoglievano le voci, una diversa dall’altra, degli operai a quelle degli amici e nel nostro
caso anche di alcuni nostri parenti… che raccoglievano l’uva con gesti meccanici e mirati. Le mani
che afferravano il grappolo e le cesoie che con un taglio netto, permettevano al grappolo di cadere
in secchi di plastica di ogni forma e dimensione.
La fatica era visibile sui volti dei lavoratori. La terra stessa sudava la fatica degli operai, ma era
ancora più visibile nei volti dei nostri amici e parenti che non erano abituati a quel tipo di lavoro
duro e ripetitivo.
Uomini e donne caricavano l’uva all’interno di casse trainate da trattori per poi scomparire in
lontananza diretti verso la cantina che aveva l’onore di trasformare l’uva in vino.
Il grande cancello veniva spalancato per lasciare passare, come un corteo festoso, i trattori. L’uva
faceva il suo ingresso sotto gli occhi degli operai e di tutti noi pronti ad intraprendere un passaggio
fondamentale, attento e scrupoloso: la trasformazione dell’uva in vino.
Ciò che un tempo veniva fatto a piedi nudi in botti di legno, oggi viene controllato e
meccanizzato… Tempi che furono!
Il Racconto della raccolta ai tempi di mio padre…
Il racconto di mio padre sulla vendemmia che mi fece una sera in occasione del suo 68°
compleanno nella casa di mare…; Aspettavamo per l’occasione mio zio “Zinu” (Enzo…) zia Maria e i
miei cugini Costantino e Giovanni che venivano da Milano…
“Anche quello della vendemmia, caro Salvatore (solo mia madre mi chiamava Titì…), era come un
rito, il rito di un tempo del mondo contadino, un mondo che adesso non esiste più e si concludeva,
come sempre, come per altri riti, con una grande festa, perché il vino mica veniva comprato come
oggi ai supermercati nelle bottiglie che di quel vino hanno mantenuto solo il colore, invece il
sapore viene ottenuto mediante un miscuglio di qualche polverina chimica con l’alcol”.
All’epoca, attorno le case di campagna dove andavamo con la mia famiglia, c’erano lunghe file di
viti che chiamavamo filari, decine, centinaia di filari paralleli e campi e campi piantati ad uva… non
erano le nostre; all’epoca la mia famiglia trascorreva buona parte della villeggiatura in una casa
presa in affitto adiacente ai campi destinati alla coltivazione dell’uva. (in seguito mio padre
acquistò quella casa ed un appezzamento di terreno).

Mio Padre mi descriveva la sua prima esperienza di vendemmia, quando ogni filare era una lunga
fila di pali piantati nella terra ad una distanza sempre uguale l’uno dall’altro. Prima pali di legno,
poi di cemento, poi di plastica poi tolsero tutto, tolsero le piante, tolsero i filari e tolsero anche il
vino e con il vino tolsero un’altra parte della nostra cultura.
“La pianta della vite era come la pianta della vita, mio caro Salvatore, il contadino custodiva ogni
singola vite un po’ come fa Dio con ciascuno di noi”.
Io trovai mio padre nei filari che controllava una pianta dopo l’altra, sceglieva il tralcio che
considerava sano e tagliava gli altri che buttava via perché l’uva non doveva essere
necessariamente tanta ma doveva essere buona.
Mio padre si soffermò nel dire che la cura della pianta della vite era un impegno che durava tutto
l’anno.
“A quel tempo si passava tra i filari e si guardava ogni singolo grappolo crescere e, proprio come
nella vita, se si vedeva anche un solo acino marcio lo si strappava e lo si buttava via ma se l’intero
grappolo avesse avuto troppi acini marci si sarebbe dovuto buttare tutto il grappolo a terra.
Poi, prima che l’autunno arrivasse e l’inverno ci chiudesse in casa, dopo aver durante la primavera
e la stagione estiva raccolto ogni frutto della terra, per ultimo si raccoglieva l’uva e si andava a
vendemmiare.
Allora, si tiravano fuori i cesti riposti dell’anno precedente, quelli ancora in legno, quelli che
qualche parente, forse un secolo prima, sapeva ancora intrecciare. Restava almeno il cesto e così
forse pure il ricordo del parente, poi si preferì la cesta in plastica lavabile e così si perse pure il
ricordo del parente.
E cominciavano ad arrivare amici, conoscenti, parenti e vicini cui poi si sarebbe ricambiato il favore
perché la vendemmia era un po’ come una comunione per la quale, sai, ci si prendeva pure le ferie
dal lavoro per andare come ad una messa laica anche se la sera diventava spesso pure una messa
alcolica dove, diciamo, a volte parlava pure lo Spirito Santo.
Così si aprivano anche i cassetti dove, sempre l’anno prima, si erano riposte le forbici a cesoia e
quasi si buttavano sul tavolo e così tante mani cominciavano ad aprirne ad a una a una la sicura
per provarle, testare se la molla era dura o morbida o se si inceppava; c’era pure chi veniva con la
sua forbice personale e guai ad usarla perché poteva quasi costarti la vita.
Era il capo degli operai… (il più esperto in materia…) che decideva da dove iniziare. Decideva a
seconda di come era andato l’anno e a che punto era la maturazione dell’uva, se vendemmiare
prima la bianca o la nera, l’Italia o la zuccarina, e così, uomini e donne, andavamo nei filari ognuno
con la propria forbice e il proprio cesto ed attaccavamo un pianta dopo l’altra, prendendo sotto
ogni singolo grappolo per non farlo cadere e non rovinarlo, scostavano con l’altra mano le foglie e
si recideva il gambo riponendo poi così il grappolo nella cesta che piano piano si riempiva…non
c’era fretta in modo che nessun grappolo sfuggisse perché, proprio come nella vita, nessuno
doveva stare indietro e, non colto, marcire sulla pianta.
Ma il vero oggetto del desiderio per alcuni bambini, che in occasione della vendemmia si
trovavano nella tenuta, era il trattore che trainava il carro dell’uva in mezzo ai filari dove si

svuotavano i cesti pieni di grappoli… facevano a spintoni per salire sugli alti scalini di quella
macchina che ai loro occhi sembrava gigante per mettersi al volante e fingere di guidare.
Quando poi arrivava l’adulto che guidava il trattore, se erano fortunati, e all’epoca erano molto
fortunati, questi li faceva sedere sui copri ruota del trattore che erano abbastanza grandi e,
tenendosi forte ad ogni sporgenza, che non fosse un organo meccanico in movimento, si tenevano
duri pronti a partire. C’era anche chi preferiva trovare posto nel cassone vuoto per un lungo giro
prima di andare in mezzo ai filari; era un vero e proprio divertimento come andare in giostra ma
molto meglio.
Passavamo così giorni interi nei campi perché tante e tante erano le viti – e i giri in trattore – così
pure molte erano le famiglie che, una dopo l’altra, si davano una mano recandosi nelle case e nelle
tenute delle altre a vendemmiare.
Ad un certo orario portavamo i panini col salame di maiale, salame vero, quello di un maiale vero,
non so se mi capisci, ed il vino vecchio, quello dell’anno prima, quello che si doveva per forza
consumare e in alcuni casi si esagerava, qualcuno cominciava a cantare e l’altro a fianco lo
accompagnava ed erano tutti allegri e tutti si scambiavano i bicchieri di vetro mezzi pieni che si
riempivano un’altra volta e l’uno usava il bicchiere dell’altro e nessuno si ammalava sai e anche i
bambini a volte rubavano qualche sorso.
Alla sera poi, se ancora non era freddo, si mettevano le tavole in cortile, che all’epoca si chiamava
bagghiu , e si brindava alla giornata conclusa e all’ultimo frutto dell’anno che si era colto e,
finalmente, si guardava chi c’era, chi non era potuto venire e chi non c’era più perché la vita poi
finisce ma come l’uva, frutto della vite, può diventare qualcosa di ancor più buono in vino così la
morte, anch’essa frutto ma della vita, non era altro che il compimento della vita terrena… Tempi
che furono e ricordi che affiorano come gocce di pioggia che si adagiano lentamente nella mia
memoria man mano che scrivo per raccontare, ed è proprio così che un ultimo ricordo mi affiora
innanzi, quando con una sonora risata Don Carmelo alla fine della lauta cena dopo un’abbondante
bevuta di vino… esclamò “Lu vinu fa cantari, l’acqua fa allintari…”

Salvatore Battaglia
Presidente Accademia delle Prefi

Cultura

Elena Pizzuto Antinoro: da Santo Stefano Quisquina alla scena internazionale della ricerca linguistica

Laura Liistro

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Donna siciliana, studiosa di straordinaria competenza e voce autorevole della ricerca italiana, Elena Pizzuto Antinoro è considerata una delle figure più influenti negli studi contemporanei sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.

Psicologa, linguista e ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha contribuito in modo determinante al riconoscimento della Lingua dei Segni Italiana (LIS) come sistema linguistico pienamente strutturato, superando visioni riduttive che ne avevano a lungo limitato la comprensione. Il suo percorso accademico si è svolto tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove ha approfondito la Lingua dei Segni Americana (ASL) entrando in contatto con metodologie di ricerca all’avanguardia. Questa esperienza internazionale fu decisiva: rientrata in Italia, introdusse nuovi paradigmi analitici che avrebbero innovato radicalmente lo studio della LIS, collocando la ricerca italiana in un dialogo costante con quella mondiale. Caratteristica centrale del suo lavoro fu l’approccio interdisciplinare.

Elena operò a stretto contatto con persone sorde, analizzando i processi cognitivi, le strutture linguistiche e le dinamiche comunicative della lingua visivo-gestuale. Le sue pubblicazioni rappresentano oggi un riferimento fondamentale non solo in Italia, ma anche nel contesto internazionale degli studi sulle lingue dei segni. Tra le iniziative più rilevanti da lei guidate figura VISEL, progetto dedicato allo sviluppo di sistemi di scrittura per la lingua dei segni e alla definizione di strumenti didattici innovativi. Un contributo che ha ampliato le possibilità di ricerca e di accesso alla comunicazione visiva, rafforzando il ruolo dell’Italia nel panorama scientifico globale. Colleghi e collaboratori ricordano Elena Pizzuto Antinoro come una professionista rigorosa, dotata di una forte integrità etica e di una visione capace di anticipare nuove prospettive. Il silenzioso applauso con cui la comunità sorda l’ha salutata ne sottolinea il profondo impatto umano e scientifico.

Oggi, Elena Pizzuto Antinoro è riconosciuta come una figura chiave della linguistica internazionale e un esempio di eccellenza femminile nel mondo accademico. Siciliana, figlia di Santo Stefano Quisquina, ha portato la sua terra d’origine nei principali centri di ricerca del mondo, lasciando un’eredità destinata a influenzare a lungo gli studi sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.

Laura Liistro

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Cultura

Pantelleria, è tempo di bilanci al Centro Giamporcaro con chiusura gustosa come da tradizione

Direttore

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Un 2025 ricco di eventi e ospitate per i soci del Centro Giamporcaro, nel resoconto di Sergio Minoli e Anna Rita Gabriele

E’ tempo di bilanci, al Centro Culturale Vito Giamporcaro di Pantelleria, per l’anno associativo 2025.
Ieri, si è tenuta una riunione, durante la quale si è fatto un excursus di tutte le attività.
Magistralmente, Sergio Minoli, alternandosi di tanto in tanto con il presidente Anna Rita Gabriele, ci ha accompagnato in una narrazione perfetta dell’anno trascorso.

Gli eventi
La premessa era incentrata su come è nato il centro voluto dal compianto Vito Giamporcaro e l’idea di creare una raccolta di libri, da dare in prestito, nonchè sul fatto che l’associazione sia una delle poche se non l’unica sull’isola a vantare una propria sede, capace di ospitare eventi sui più svariati argomenti. E’ stata anche ricordata la prima presidente, Rosanna Gabriele, che raccontato gli albori della compagine.

Così tra conferenze sull’archeologia, organizzate presso la sede stessa del centro e con nomi altisonanti del settore, da Maurizio Cattani a Stefano Cespa per esempio; corso sull’agricoltura con Giovanni Bonomo e Luigi Rotolo, o sulla micologia, per cui il Centro è in grado di rilasciare il patentino, o ancora il corso di scacchi; interventi nelle scuole primarie, per l’avvicinamento dei bambini ai libri; ma ancora, tour per l’isola alla scoperta o riscoperta di chiese e cappellette, organizzando pullman pieni di entusiasti partecipanti. Ma a proposito di gite, non possiamo dimenticare le escursioni tra i sentieri di Pantelleria, nè le conferenze di Pietro Ferrandes, sulle specie di uccelli rare avvistate sull’isola. 

E così tanti altri momenti culturali importanti, di livello da mettere a disposizione della comunità.
Non dimentichiamo, poi, la mostra di quadri, istallazioni e foto  realizzata presso il Castello: l’antico maniero era costellato al suo interno di piccole opere piene di significato che arricchivano le mura medievali. L’inaugurazione ancora la menzioniamo, con una sorta di battesimo del grande M° Michele Cossyro.

Le ospitate/partecipazioni
Tante, ma tante attività, tutte creative, ben concepite, da un direttivo energico e volenteroso di fare e di esserci concretamente nel territorio.
Infatti, anche il presenziare alle attività di altri è il giusto segnale per una presenza viva sul territorio: l’ultima in ordine cronologico è stata alla scopertura del busto in onore del Dr. Michele Zurzolo, a Piazza Perugia, dove si erano radunati Circoli, Rotary Club, amministrazione comunale e tanti semplici cittadini.

A proposito di Rotary, lo scorso 11 dicembre, il Club insieme ai Lions, si è riunito presso i locali del Centro Giamporcaro per la conclusione del progetto, di quest’anno, di donazione di occhiali usati, a dimostrazione che la disponibilità e la sinergia non possono che essere costruttivi e sempre positivi, specie in piccole comunità. L’interazione, lo scambio sono crescita e la nostra associazione non fa che confermarlo con le sue larghe vedute, mai miopi ed egoriferite.

Di manifestazioni e ospitate ne potremmo annoverare ancora, ma andiamo per quelle rappresentative e più emblematiche come al Progetto da Pantelleria, di Salvatore Gabriele, che quest’anno ha visto premiato Italo Cucci, noto e grande giornalista, nonchè, negli ultimi anni, Commissario Straordinario dell’Ente Parco di Pantelleria.

Come si vede, è stata, quella del 2025, una annata piena e ricca di partecipazioni preziose anche per esempio nel complesso di Pantelleria Asinabile, evento del Parco durato una settimana, durante la quale il Centro Giamporcaro era presente in Piazza Cavour con un  proprio stand per promuovere la vendita di due libri, il cui ricavato andrà alla realizzazione della statua dell’asino pantesco, voluta da Lillo di Bonsulton

Ma l’associazione ha saputo, anche in quel frangente del festival sull’asino pantesco, creare dei momenti di socialità con i giovani di Pantelleria: con stimolanti cruciverba o pensieri da scrivere venivano coinvolti studenti dalle classi primarie fino alle superiori.

Sempre in tale occasione si è potuto anche acquistare l’ultimissimo calendario di Stefano Ruggeri, ormai atteso di ano in anno. L’autore si è prestato ad esporre e anche autografare i calendari, presso il gazebo del Centro, creando un nuovo movimento.

La serata si è conclusa come da tradizione con un momento conviviale, che ha visto il suo apice nella tradizionale cuccìa di Santa Lucia, per mano dell’abile presidente Anna Rita Gabriele, cuoca e padrona di casa ineccepibili.

Teniamo a ricordare che è  ancora possibile acquistare il libro “Le poesie di Lillo” pantesco e quello di Erina Monteleone “Endemiche rare e rarissime di Pantelleria” affascinanti piante endemiche, per contribuire alla realizzazione del monumento, recandosi presso la sede del Centro, sita in Via Manzoni 72. Potrebbe essere un’ottima idea regalo per questo Natale.

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Cultura

Raccontare e vivere Pantelleria con un nuovo strumento digitale

Redazione

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Martedì 16 dicembre 2025, alle ore 11.00, presso l’Aula Consiliare, si terrà la presentazione della piattaforma digitale APP pensata per la valorizzazione del turismo locale e del patrimonio culturale dell’isola.

Un progetto che mette in connessione cittadini e visitatori, raccogliendo informazioni, servizi ed eventi in un unico spazio digitale, con l’obiettivo di rendere il territorio sempre più accessibile e riconoscibile.

L’incontro è aperto a tutti coloro che desiderano conoscere il progetto e partecipare.

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