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Cultura

Grande ritorno della Guida Sushi di Gambero Rosso: omaggio alla cultura culinaria nipponica, tra tecniche tradizionali ed esperimenti più creativi

Redazione

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Guida Sushi di Gambero Rosso: omaggio alla cucina nipponica

Una rosa di 223 indirizzi per assaporare la qualità del cibo giapponese più famoso del mondo. 32 le eccellenze riconosciute con le Tre Bacchette e 13 i Premi Speciali

 

La Sicilia spicca con l’Hio Sushilab di Palermo che si aggiudica le Tre Bacchette

e 3 tra i migliori take away e delivery d’Italia

 

 

Roma, 13 giugno 2024 – Sushi: combinazione perfetta tra le parole “su” (aceto) e “meshi” (riso), arte antica che ha conquistato i palati di tutto il mondo e che torna a essere celebrata da Gambero Rosso nella nuova edizione della Guida Sushi 2025. Un ritorno atteso da tutti gli amanti della cucina giapponese, dopo l’esordio nel 2021 e la pausa in questi anni di trasformazione dei ristoranti nipponici in Italia anche a causa della pandemia da Covid-19. Tra sushi bar, insegne fusion, fine dining, osterie, take-away e delivery, la Guida del Gambero interpreta questo nuovo scenario con una selezione accurata dei migliori luoghi dove gustare il cibo giapponese più famoso al mondo: 223 indirizzi di insegne che hanno investito in qualità e innovazione, tra sapori autentici, ma anche contaminazioni più moderne, per un cibo sempre più popolare che continua ad attirare nuovi consumatori. 

 

“In questo volume ci sono tante storie di amore per la cultura nipponica, storie di giapponesi che hanno voluto trasmettere al nostro Paese la grande eredità gastronomica di cui sono testimoni e storie di italiani, folgorati dal fascino della cucina del Sol Levante. La nostra selezione cerca di evidenziare le esperienze di eccellenza incentrate intorno al sushi” spiega Pina Sozio, curatrice della Guida.

 

 

Le Tre Bacchette

 

Sono 32 le eccellenze che offrono le migliori proposte di sushi lungo tutto lo stivale: la maggior parte si concentra a Milano, da sempre città aperta alle influenze internazionali e oggi capitale della cucina giapponese in Italia, una delle prime città nel nostro Paese ad aver accolto i primi ristoranti. A partire dalla celebre insegna Poporoya da cui parte la storia del sushi a Milano nel 1989 con lo chef Hirazawa Minoru, detto Shiro, che pian piano è riuscito a vincere la ritrosia degli italiani per una cucina allora misteriosa. Si rivelano una grande sorpresa, invece, regioni come la Puglia e la Campania, più legate alle tradizioni mediterranee e che invece hanno assistito negli ultimi anni a un incremento significativo di ristoranti che offrono specialità giapponesi, spesso reinterpretate con un tocco locale. Assente il Molise. 

 

 

La Sicilia

 

Tra le 7 insegne siciliane inserite nella guida spicca tra tutte l’Hio Sushilab di Palermo aggiudicandosi l’ambito riconoscimento Tre Bacchette. Il regno della cucina fusion a opera del talentuoso Filippo Gugino approda in una nuova sede, glamour negli arredi ed esclusiva nell’atmosfera, dove ci si coccola con un’esperienza di fine dining che lo chef, attento ricercatore di materie prime pregiate e misurato direttore d’orchestra, cuce addosso al cliente. Il menu accontenta tutti, dagli amanti delle portate classiche (pasta e pesce) a chi varca la soglia per sperimentare le specialità del Sol Levante, e spazia tra snack, tacos, primi, secondi e le forme nel sushi. Sashimi e nigiri risultano corretti nei tagli e nelle dimensioni, ciascun boccone è un equilibrato mix di sapori ben accostati. Tra gli uramaki, degno di nota il Salmone e scampi con mango, zest di limone, tobiko, yuzu e riduzione di salsa ponzu. Cantina di livello che non delude, per varietà e qualità, le aspettative degli avventori. Il servizio è cortese e puntuale.

 

Sparse su tutto il territorio della regione, le altre eccellenze che entrano a pieno diritto nella guida:

 

Catania:La cucina fusion di Amocù, la cui proposta fusion si lascia apprezzare per puntualità del servizio, qualità delle materie prime e sapori ben orchestrati.
 

Il giapponese Oxidiana, l’insegna che ha scritto per prima a Catania la storia del sushi di qualità.
 

Messina:
 

Il ristorante giapponese Kajiki, il primo ad aver proposto cucina giapponese in città, nel quale da oltre 10 anni si possono gustare specialità tipiche nipponiche e cocktail di grande livello.
 

Il Love’s Sushi Bar, un locale minimal e un menu con tante golose proposte, alcune con interessanti contaminazioni di ingredienti e materie prime del territorio, di ottima qualità, nel quale il sushi ha un posto di rilievo.
 

Palermo:Ishi al Molo a Palermo, per gli amanti della cucina fusion in abbinata alla mixology che ha tutte le carte in regola per diventare un must della ristorazione fusion cittadina.
 

Catania:Il fusion Nuk Urban Sushi Bar a Sant’Agata Li Battiati (CT), dove chi viene qui per la prima volta resta conquistato non solo dalla completezza della proposta gastronomica e dall’attenzione ai dettagli con cui vengono presentate tutte le pietanze.
 

A meritare invece la presenza in Guida come migliori take away in Italia, ci sono anche:

Ragusa: Zencho Sushi di Ragusa;
Palermo: Finch 
Catania: Nuk.
 

Per la classifica completa si rimanda al pdf allegato mentre qui è possibile visionare la cartella stampa completa: https://bit.ly/3XfhM6y

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Cultura

La caponata dei marinai dei velieri / 1

Orazio Ferrara

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di Orazio Ferrara

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che questa caponata non ha nulla a che vedere con quella famosa oggigiorno preparata in Sicilia e in altre regioni e che ha come ingrediente principe la melenzana. Però, senza dubbio alcuno, dalla caponata marinara di una volta trae origine, con modifiche e varianti a volte sofisticate, quella di oggi.

Origini della caponata

La caponata marinara fu per secoli il “combustibile” alimentare che faceva andare la forza remiera (i forzati ai remi) delle galere da guerra. E non solo i remieri, ma anche l’intero equipaggio si nutriva con essa. L’antica consuetudine di consumare a bordo questa vivanda passò poi in uso agli equipaggi delle navi a vela sia da guerra che commerciali. Già il nome di caponata o capponata (per alcuni paesi costieri siciliani e questi sono più vicini alla parola originaria) o capponada per dirla coi genovesi (gente di mare di prim’ordine) è di difficile decifrazione.
Scartiamo subito, perché sa di cosa troppo letteraria, la tesi che la vuole derivata dal latino “caupona” nel suo significato di “taverna”. Non ci convince nemmeno anche la tesi che la vuole derivata dal “pesce capone” o lampuga, anche se quest’ultimo, essiccato, compare sporadicamente quale ingrediente in antiche ricette. Dobbiamo quindi andare alle origini quando la caponata aveva ancora l’arcaico nome di “cappon di galera” (per i marinai genovesi “capun de galera”). Siamo nella marineria remica delle galere o galee mediterranee del ‘300 / ‘400.

Probabilmente i marinai intesero dare, con ironia tutta marinaresca, quel nome al loro quotidiano pasto a bordo, che di cappone e quindi di carne saporita non aveva un bel niente e che pertanto si rivelava essere appunto un cappone (finto) di galera. Eppure quel pasto, assai semplice da preparare e con ingredienti poveri, era saporito e piaceva, tanto da passare indenne attraverso generazioni di uomini di mare quale tradizionale e sostanzioso alimento in navigazione.

Ma quali erano gli ingredienti e la preparazione?

Dell’assenza delle melenzane abbiamo già accennato, occorre però precisare che erano assenti anche i pomodori, che fanno la loro comparsa saltuaria nelle caponate dei velieri del tardo Ottocento. Infatti i pomodori, di origine del Sud America, vennero portati in Europa dai navigatori spagnoli nel XVI secolo. In Italia fanno la loro comparsa nell’anno 1548 alla corte di Cosimo de’ Medici, ma per diversi secoli quel frutto viene considerato solo ornamentale e quindi non commestibile.

Gli ingredienti utilizzati per la caponata erano quelli di facile conservazione e che non andavano a male facilmente durante i lunghi viaggi per mare: gallette, cipolle, aglio, olive in salamoia, origano, aceto, olio e pesce essiccato. Quello principe era costituito dalle gallette (non altro che fette di pane biscottato), che si conservavano abbastanza croccanti per almeno un anno intero. Le forme delle gallette erano diverse a seconda delle marinerie.

Ricordiamo quelle rotonde dei marinai genovesi e quelle a ferro di cavallo (‘u viscottu) caratteristiche della marineria pantesca. Solo che le gallette di quest’ultima non erano a base di farina, ma bensì d’orzo, che a detta dei marinai di un tempo erano molto più saporite. Infatti, nel tempo andato, l’orzo in Pantelleria era un alimento fondamentale per la popolazione in quanto lo stesso veniva coltivato in loco, mentre la farina doveva venire, con gravosa spesa, dalla Sicilia. Era usuale in passato nei vigneti intercalare filari dì orzo a quelli di zibibbo. Si ottenevano così due vantaggi.
Il primo era costituito dall’orzo raccolto per l’alimentazione, il secondo che quei filari d’orzo intercalati proteggevano i teneri germogli dello zibibbo dal secco e caldo vento di scirocco di casa nell’isola.

(1 – continua)
Orazio Ferrara

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Cultura

Ragusa, “Raccontami di te” al Castello di Donnafugata 4ª edizione del premio letterario

Redazione

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Il suggestivo castello di Ragusa ospiterà, il 23 agosto 2025, la quarta edizione dell’evento “Raccontami di Te…”, un’iniziativa che fonde l’arte dello scrivere con quella figurativa. Organizzato dall’associazione Malia, l’evento si svolgerà in un nuovo spazio più ampio e incantevole, promettendo un’esperienza indimenticabile per il pubblico.

Quest’anno, “Raccontami di Te…” vedrà la partecipazione di numerosi scrittori e pittori, creando un’alchimia di emozioni attraverso la combinazione di musica, pittura, scrittura, teatro e letteratura. Tra gli ospiti d’onore, ci sarà il Presidente dell’Accademia delle Prefi Salvatore Battaglia, che contribuirà con la sua esperienza e il suo talento.

Gli ideatori dell’evento, Debhorah Di Rosa e Salvo Garipoli, spiegano che il progetto è nato con l’obiettivo di stimolare una partecipazione attiva delle persone. “Ciascuno di noi porta nel cuore il ricordo di una persona speciale: un bene prezioso che vorremmo non perdere mai. Il progetto ‘Raccontami di tè nasce proprio dalla volontà di dare sostanza a queste emozioni, sentirle e renderle immortali, attraverso il potere magico delle parole e dei colori”, affermano.

A dare voce alle storie di Raccontami di te 4 sarà quest’anno Giulia Guastella, attrice e autrice che ha scritto e interpretato “Idonea ma non ammessa”, “Artemisia, la pittora”, spettacolo vincitore di diversi premi come il prestigioso premio Giulietta masina e “ Il modo giusto (per sbagliare)”, andato in scena allo Zelig di Milano.

In attesa della magica notte, il prossimo 23 agosto, l’associazione Malia e lieta di annunciare che vi sarà una nuova forma d’arte quest’anno a Raccontami di te. Sul palco al Castello di Donnafugata le creazioni di Mariella D’Angelo: una collezione che parte dal passato e giunge ad oggi, unendo la tradizione alla modernità.

Abiti che sapranno vestire la nostra notte e ci avvolgeranno di meraviglia.
Tra le opere presentate, spicca un racconto “UN RICORDO… UNA SERATA DI MAGGIO IN COMPAGNIA DI MIO NONNO TURIDDU…”. L’autore descrive nel primo racconto una storia che parla della Sicilia di un tempo vista con gli occhi di un uomo, il nonno dell’autore, quando ci si capiva con poche parole o, meglio ancora, con uno sguardo. Per l’Evento è stato assegnato il racconto ad una artista che han interpretato e raffigurato ciò che il racconto la ha ispirato. Il quadro a la firma di Ilenia Madaro.
“Raccontami di Te…” non è solo un evento, ma un viaggio nelle emozioni e nei ricordi. Come per le edizioni precedenti, il pubblico sarà rapito dalla magia che si crea quando diverse forme d’arte si incontrano al tramonto. Un’esperienza unica, che lascia senza fiato e che continua a crescere in bellezza e intensità anno dopo anno.
Appuntamento quindi al 23 agosto al castello di Ragusa per un evento che promette di toccare il cuore di tutti i partecipanti, rendendo immortali le emozioni attraverso l’arte.

Salvatore Battaglia
Presidente Accademia delle Prefi

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Cultura

Avvio anno scolastico 2025/26 a rischio per il caldo: la proposta del CND

Direttore

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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani lancia nuovamente un
appello urgente al Ministero dell’Istruzione e del Merito, prof. Giuseppe Valditara, alle famiglie e a
tutte le istituzioni democratiche: è tempo di agire con coraggio e visione, non solo per affrontare
l’emergenza, ma per trasformare radicalmente il modo in cui concepiamo il sistema scolastico di
fronte al cambiamento climatico.
1. Le scuole non possono chiudere per tre mesi: servono presìdi educativi aperti anche
d’estate
Mentre l’Italia soffoca sotto temperature record, con città da bollino rosso, blackout elettrici, vittime
e ospedali sotto stress, le scuole – che potrebbero diventare presìdi di accoglienza, inclusione e
formazione – restano chiuse. Eppure, una scuola aperta è un presidio sociale e climatico: è un luogo
che può proteggere i più giovani, offrire spazi climatizzati, attività di recupero, socializzazione e
supporto emotivo in un periodo in cui la solitudine e il disagio si amplificano.
Chiediamo pertanto:
– l’apertura estiva programmata delle scuole per corsi di recupero, supporto personalizzato,
alfabetizzazione digitale e attività culturali, specie nelle aree a maggiore dispersione
scolastica;
– il coinvolgimento di enti locali, terzo settore e famiglie in un patto educativo estivo che
valorizzi le risorse del territorio;
– risorse dedicate al personale volontario e supplente per garantire l’organizzazione delle
attività e la sicurezza degli ambienti.
2. Aule come serre: servono scuole resilienti al caldo. Un piano nazionale per il comfort
climatico scolastico
Non possiamo più ignorarlo: le nostre aule sono ostili alla vita nei mesi estivi e spesso anche a
settembre e maggio. Non è più solo una questione di “disagio”: è un tema di salute, di
concentrazione, di equità territoriale e di diritto costituzionale allo studio. A Palermo, Napoli,
Lecce, Foggia, Roma o Cagliari, moltissime scuole superano i 35° già alle 11 del mattino, in locali
senza ombra né ventilazione. Questo rende drammatica anche la fase di avvio dell’anno scolastico
2025/2026, con molte strutture incapaci di garantire un ambiente sicuro e vivibile per studenti e
personale, costringendo a rinvii, riduzioni dell’orario o condizioni di studio insostenibili.
Proponiamo l’avvio immediato di un Piano Nazionale per la Resilienza Climatica delle Scuole, con
i seguenti obiettivi:
– climatizzazione intelligente e sostenibile delle aule, con impianti a basso impatto energetico;
– riqualificazione bioedilizia: tetti verdi, schermature solari, ventilazione naturale, materiali
isolanti;
– installazione di stazioni climatiche scolastiche per il monitoraggio costante di temperatura,
umidità e qualità dell’aria interna, da usare anche a fini didattici;
– inclusione di queste misure nei fondi PNRR, FSC e nei piani regionali di edilizia scolastica,
con priorità per le scuole del Centro-Sud.
3. L’istruzione deve diventare parte della risposta nazionale al cambiamento climatico
Accogliamo con favore il protocollo sul lavoro e il caldo promosso dalla Ministra Calderone, ma
riteniamo insufficiente l’attenzione rivolta finora al mondo della scuola. Il cambiamento climatico
non è solo una variabile metereologica: è una questione educativa, ambientale, economica e di
giustizia sociale. Per questo chiediamo che anche il Ministero dell’Istruzione e del Merito adotti un
proprio protocollo di adattamento climatico, da integrare con quelli del Lavoro e della Salute,
prevedendo:

0
– una mappatura climatica delle scuole italiane;
– l’introduzione dell’indice di stress termico scolastico, per sospendere o rimodulare le lezioni
quando si superano soglie critiche;
– l’educazione al clima come asse trasversale curricolare, dalla scuola dell’infanzia alle
superiori;
– un Osservatorio permanente scuola-clima-salute, in coordinamento con INAIL, CNR e
Protezione Civile.
Il CNDDU ritiene che non si possa più parlare di un “ritorno alla normalità” in un mondo
profondamente mutato dal cambiamento climatico. Esiste solo la necessità di costruire una scuola
nuova: più equa, più sicura, più vitale. Alle famiglie rivolgiamo l’invito a condividere questa
visione, sostenendo un’istituzione scolastica che non si spegne durante l’estate, ma si trasforma in
un luogo accogliente, protettivo e rigenerante. Al Ministro dell’Istruzione chiediamo un impegno
deciso, concreto e coraggioso: la definizione di un patto educativo-climatico nazionale.
L’alternativa sarebbe l’inerzia, con il rischio di assistere ogni estate alle aule che si trasformano in
forni, agli studenti che soffrono e al diritto allo studio che viene sistematicamente compromesso.

prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU

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