Salute
8 marzo, Giornata della Donna 2022: infermieristica, professione al femminile, ma non per questo sempre “rosa”

Giornata della Donna, giornata delle infermiere.
Quella infermieristica, infatti, è una professione al femminile: le infermiere donne sono in Italia il 76,45% degli iscritti agli ordini professionali contro il 23,55% degli uomini, che sono tuttavia in aumento (in tutto gli infermieri sono circa 456mila).
L’International Labour Organization, agenzia delle Nazioni Unite, stima (dati novembre 2021) a livello mondiale, in generale, una forza lavoro al femminile del 42,7%, mentre gli uomini sono il 57,3 per cento e per l’Italia la media è del 40,9% per le donne e del 59,1% per gli uomini.
Per le infermiere al lavoro in Italia però, non in tutte le Regioni e in tutte le aree geografiche la percentuale è la stessa. Al Nord Ovest, infatti, le infermiere sono l’83,83% degli iscritti agli albi, al Nord Est l’83,28% (ma in Trentino-Alto Adige raggiungono la percentuale più alta d’Italia con l’86,39%), al Centro sono il 77,64%, al Sud il 67,37% e nelle Isole il 64,38%, ma con la Sardegna al 79,23% e la Sicilia con il dato più basso d’Italia al 59,05 per cento
Insomma, tra il Trentino-Alto Adige e la Sicilia c’è una differenza del 27,34 per cento.
Un trend che si conferma guardando la percentuale di neolaureati: il 76,9% sono donne nell’ultima sessione di lauree analizzata nel rapporto Almalaurea 2021, il consorzio interuniversitario che esamina numeri e condizioni dei laureati.
Le donne durante l’università hanno anche lavorato – ovviamente in altri settori – di più dei loro colleghi (circa il +10% durante gli studi aveva un’altra occupazione).
Diverso il discorso retributivo, dove le donne guadagnano in meno, sempre secondo Alamlaurea, circa il 12,8% rispetto agli uomini se si considera l’alto tasso di part time tra il sesso femminile, differenza che scende al -2,6% se invece si considerano solo i professionisti a tempo pieno.
Le infermiere hanno pagato un prezzo alto, come tutti, nella pandemia, rappresentando il 34% dei decessi registrati tra il personale infermieristico italiano. E 106mila infermieri contagiati da inizio pandemia (il 53% della famiglia professionale su circa 200mila contagi) a oggi sono donne. Non a caso il simbolo di rinascita con la prima vaccinata d’Italia è stata proprio un’infermiera.
C’è un capitolo, poi, che va sottolineato quando si parla di infermiere: quello della violenza.
Per quanto riguarda la violenza sulle donne-infermiere sul posto di lavoro circa 180mila infermiere l’hanno subita negli anni e per oltre 100mila si è trattato di un’aggressione fisica.
“Si dovrebbero prevedere pene anche più severe per chi aggredisce verbalmente e fisicamente un professionista sanitario donna sul luogo di lavoro – dice Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione degli ordini delle professioni infermieristiche – prevedendo la questione di genere e l’aggravante del pericolo che nell’azione possono correre gli assistiti. Ma si devono anche prevenire le aggressioni non fisiche regolamentando ad esempio l’uso dei social nei luoghi di lavoro e rispetto all’attività professionale per evitare commenti, furti di identità e proposte inappropriate: ne sono vittima circa il 12% dei professionisti coinvolti che nella professione sono per il 77% donne, quindi quasi 42mila su circa 55mila”.
“Inoltre – aggiunge la presidente FNOPI – si dovrebbe considerare con più attenzione la carenza di personale e lo sforzo che a quello in servizio è richiesto per coprire tutte le necessità dei servizi e i bisogni di salute dei cittadini, considerando anche che le differenze di genere spesso incidono anche sul corretto andamento dei ritmi familiari e che comunque ci sono da colmare differenze, anche economiche, del tutto ingiustificate vista l’assoluta parità di formazione e tipologia di lavoro svolta. Anche per questo la Federazione ha indetto gli Stati Generali dell’infermieristica che consentiranno l’analisi puntuale di tutte le incongruenze del sistema e di proporre i giusti correttivi”.
Salute
Sanità, Giuliano (UGL): “OSS, figura confinata in un angolo. Non esistono lavoratori di serie B, la politica deve intervenire”

“E’ passato del tempo da quando, era il 2021, la senatrice Paola Boldrini cercò attraverso un DDL di far ottenere agli OSS quei diritti e quella dignità ancora oggi negati. Non essendo schiavi di alcun pregiudizio politico salutammo con soddisfazione quello che immaginavamo potesse essere l’inizio di un cammino che portasse alla luce, garantendo definizione e valorizzazione del ruolo che prevedesse anche una formazione continua e di alta qualità, una figura essenziale ed insostituibile della piramide della sanità italiana. Tante buone intenzioni, si parlava anche della possibilità di dichiarare usurante la professione, a cui però non è stato dato alcun riscontro. Così che ad oggi la figura dell’operatore sociosanitario rimane confinata in un angolo, quasi dimenticata, senza ottenere i riconoscimenti, giuridici e materiali, che sarebbero dovuti. Anzi con la creazione della figura dell’assistente infermiere, su cui confermiamo la nostra assoluta contrarietà, si è data una violenta spallata a quella crescita professionale che da tempo viene giustamente reclamata dalla categoria. Così, oggi, gli emolumenti degli OSS continuano a non garantire loro una vita dignitosa a fronte di carichi di lavoro spesso insostenibili cui si sommano da tempo aggressioni fisiche e verbali che sono tra le cause scatenanti dei sempre maggiori casi di burn-out. Discutere di un futuro migliore della sanità italiana rimane una missione impossibile se si continueranno ad avere lavoratori di serie B, messi al margine del sistema. Per questo chiediamo alla politica di intervenire per riprendere il filo di quanto la senatrice Boldrini aveva pensato. Per garantire agli oss di uscire dal limbo reclamando quella dignità che meritano” dichiara in una nota Gianluca Giuliano, segretario nazionale della UGL Salute.
Salute
Pantelleria e Egadi nella telemedicina dell’ASP di Trapani con Tunisia, progetto da 900mila euro

L’UE finanzia un progetto di telemedicina dell’Asp Trapani con la #Tunisia. E’ stato infatti approvato dal Dipartimento regionale della Programmazione il progetto di cooperazione, con capofila l’ASP Trapani, nell’ambito del Programma “Interreg VI-A Next Italia Tunisia 2021-2027” per iniziative di Telemedicina, denominato “TÉLÉ-MÉD-ISOLÉS – Services innovants de télémédecine a impact euroméditerranéen pour les sujets en conditions d’isolement”.
Il progetto, in partenariato con enti e istituzioni italiane e tunisine, prevede azioni di cooperazione transfrontaliera per promuovere la parità di accesso all’assistenza sanitaria e la resilienza dei sistemi sanitari. Mira a fornire servizi innovativi di telemedicina “di prossimità”, a impatto #euromediterraneo, a favore di un target di beneficiari, comprensivo di soggetti in condizione di “isolamento” sia per lontananza, sia per status sociale, migliorando significativamente la gestione delle malattie croniche e promuovendo la prevenzione in Sicilia e Tunisia, sfruttando le tecnologie di telemedicina per superare le barriere geografiche e socioeconomiche all’accesso alle cure, e riducendo gli spostamenti per raggiungere i luoghi di cura.
Il contributo comunitario per la realizzazione del progetto è pari a 907 mila euro, per un biennio di attività.
Sei i partner: tre italiani, ASP Trapani (capofila), Università degli Studi di Messina – Dipartimento di Giurisprudenza e Consorzio Sisifo, e tre tunisini, DACIMA Consulting, Association pour l’Education sanitarie en Médicine d’urgence e ABSHORE Tunisie. La convenzione tra gli enti partner sarà siglata il prossimo 5 maggio.
I partner tunisini individueranno di contro le località del territorio caratterizzate da difficoltà di accesso in cui implementare il progetto, aventi come target di riferimento i pazienti affetti da malattie croniche, con particolare riferimento al #diabete mellito. Il diabete comporta anche costi molto elevati: il 6,7% dell’intera spesa sanitaria nazionale, pubblica e privata è assorbita dalla popolazione diabetica
Salute
Prevenzione neonatale, presentato in ARS disegno di legge per diagnosi su immunodeficienze primitive

E’ stato presentato disegno di legge a firma di Giuseppe Pace, capogruppo di Democrazia Cristiana presso l’ARS, su “Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle immunodeficienze primitive”.
Lo scopo di tale atto è quello di inserire nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) lo screening neonatale obbligatorio per la diagnosi precoce delle immunodeficienze primitive.
Tali malattie sarebbero tanto rare quanto gravissime con possibili conseguenze fatali. La diagnosi precoce potrebbe evitare tutto ciò.
In buona sostanza diagnosticare un sistema immunitario carente può rappresentare un salvavita per il neonato.
Il disegno di legge farebbe realizzare un Centro di coordinamento per gli screening neonatali dedicato alle immunodeficienze primitive, presso i presìdi ospedalieri dotati di Unità Operativa di Oncoematologia pediatrica.
In questo modo anche lo stile di vita del neonato migliorerebbe, evitandone la migrazione sanitaria, per viaggi della speranza.
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