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Cultura

Pantelleria, “se l’ami, l’ami per sempre”. Lettera di una turista nostalgica

Redazione

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Scritto da una ‘turista per caso’.
Il vento regnava sovrano condizionando le scelte quotidiane di residenti e forestieri toccando vesti, palme, canne, arbusti e acque.
Forse per questo a Pantelleria non c’era sabbia cosi il vento non avrebbe potuto spostare anche quella.
Quel vento spostava tutto per poi rimetterlo apposto, com’era prima.
A volte era fastidioso, al mare faceva volare i cappelli lontano dalle teste delle donne, impediva alle imbarcazioni di attraccare. Al contempo aiutava i bagnanti a sopportare il caldo consentendo in estate di godere al meglio del solleone.
Il vento in fin dei conti simboleggiava l’isola.
Un’isola che ad un primo approccio appariva scomoda, dura, senza spiagge, con le strade strette e tortuose, con i Dammusi nascosti nella selvaggia vegetazione; un posto in cui gli alberi di agrumi dovevano essere protetti all’interno del cosiddetto giardino pantesco, una struttura in pietra a forma circolare, che impediva al vento di entrare con forza e disturbare la crescita dell’albero, ed in cui , per la stessa ragione, le viti prendevano la forma di un alberello collocato all’interno di buche nel terreno, profonde 20 centimetri .
Eppure, guardando meglio, ci si accorgeva che l’essenza dei luoghi era li, sotto i tuoi occhi, ancora tutta da scoprire …. l’aridità nascondeva la loro morbidezza , l’apparente aggressività nascondeva armonia, la spigolosita’ era anche la loro forza.
Il segreto dell’isola stava nei suoi silenzi , nella sua capacità di avvolgerti, di svegliarti, di scuoterti per farti capire che la natura, li’, con la sua maestosità, con i rumori forti del vento che scuote, decide le tue sorti, ti impone di riflettere, di prenderti del tempo, di pazientare per poi allietarti con i sapori più genuini, con lo zibibbo accompagnato dai capperi, dalle zucchine, dai pomodori cotti al sole rovente, con i tramonti, quelli che ricordano l’Africa, lenti, importanti, tutti da gustare mentre sorseggi un passito e ti chiedi : cosa puoi desiderare di più dalla vita?
Pantelleria ti impone di confrontarti con l’unica cosa che in questo mondo frenetico ti può salvare , il contatto forte, appassionato, smisurato con la forza della natura che ti insegna a leggere la vita , a rialzarti proprio lì , dove poco prima (il vento) ti aveva fatto cadere, ad accettare di cambiare per poi rinascere nuovamente, altro da te, più forte, più vero.
I Dammusi, i vecchi Dammusi, ti ricordano la storia, storia di contadini che li’ trovavano il fresco dopo il duro lavoro della terra, ti ricordano la fatica, i sacrifici, le dominazioni che si sono susseguite lasciando tutte un po’ di se’ e aggiungendo, ognuna di esse, qualcos’altro a ciò che era prima.
E’ proprio vero quello che mi disse la prima volta in cui andai un saggio vecchietto cresciuto sull’isola: Pantelleria o l’amavi o la detestavi.
E una cosa era certa: se l’amavi l’amavi per sempre.
Maria Ivana Cardillo
Foto di Marina Cozzo
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Cultura

La Ruota nella Terra di San Paolo: un trovatello a Solarino nel 1820

Laura Liistro

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Nel pomeriggio del 24 luglio 1820, alle ore sedici, nella piccola comunità di San Paolo Solarino, allora ancora feudo dei Requesens e lontana dall’essere il Comune autonomo che diventerà solo decenni più tardi, veniva registrato un episodio che, pur nella sua drammatica ordinarietà, ci restituisce un vivido spaccato della società siciliana nel pieno dell’epoca borbonica.

Il ritrovamento nella notte

Estratto documento pagina 1 in cui si descrive il ritrovamento

Secondo quanto riportato negli atti civili dal don Giuseppe Miano, Eletto di Polizia e Ufficiale dello Stato Civile, nella notte tra il 23 e il 24 luglio, alle ore due, la campanella posta accanto alla ruota dell’Annunziata, presso la Casa dei Proietti in una strada del borgo al n. 29, squillò nel silenzio della notte.
Quel suono, breve e discreto, era tutto ciò che restava del gesto anonimo di chi, nell’oscurità, aveva deposto un neonato, incapace — o impossibilitato — di occuparsene.
La prima a intervenire fu Maria Sbrinsi, quarant’anni, impiegata nella Casa dei Proietti, che insieme al “Parrucu” Don Antonino De Benedittis, figura religiosa e assistenziale di riferimento, trovò il bambino “involuto in alcuni pannolini”, ma “senza alcun segno apparente sul corpo”.
Nessuna medaglietta, nessun nastro diviso in due, nessun biglietto: nessun indizio di una possibile futura rivendicazione materna.
Un trovatello anonimo, consegnato al destino.
Come prevedeva la consuetudine — e la paura di una mortalità infantile altissima — il neonato fu battezzato lo stesso giorno da Don Antonino De Benedittis, che gli diede il nome di Concetto.
Un nuovo nome per una nuova vita, almeno nelle intenzioni delle istituzioni assistenziali dell’epoca.

Solarino nel 1820: una ruota che gira tra povertà e fede

Nel 1820 Solarino era ancora Terra di San Paolo, parte del feudo dei Requesens: un piccolo centro rurale, dipendente ecclesiasticamente e amministrativamente da Siracusa, lontano dalle trasformazioni che investivano i grandi centri dell’isola e, soprattutto, distante dai moti rivoluzionari che proprio in quell’anno scuotevano il Regno delle Due Sicilie.
La Casa dei Proietti dell’Annunziata costituiva uno dei rari presidi di assistenza per i neonati abbandonati, inserita nella più ampia rete di istituzioni caritative siciliane sviluppatesi tra XVI e XVIII secolo.
La ruota, dispositivo semplice ma cruciale, garantiva l’anonimato a chi non poteva rivelare la propria identità e offriva ai bambini una possibilità di sopravvivenza altrimenti negata.
Una volta registrato, il piccolo Concetto veniva affidato — come stabiliva la normativa borbonica — a una nutrice, pagata con una mesata in tarì, incaricata di allattarlo e crescerlo fino ai cinque anni. Solarino, non essendo ancora Comune, dipendeva per questi oneri dall’amministrazione superiore, mentre il tessuto sociale locale contribuiva spesso in modo informale all’accudimento dei bambini.
Trascorsa la prima infanzia, come molti altri proietti maschi, Concetto sarebbe stato avviato al lavoro presso artigiani o contadini, in un percorso che univa assistenza, controllo sociale e necessità economiche.

Una memoria che riaffiora

Estratto documento Nota Lato pagina in cui si dichiara battezzato il “trovatello “ con il nome Concetto

L’atto del 24 luglio 1820 è molto più di una semplice registrazione amministrativa.
È una finestra su un mondo in cui fede, povertà, solidarietà e norme borboniche si intrecciavano nella gestione dei più fragili.
Il pianto del neonato Concetto — raccolto dalla ruota dell’Annunziata nella notte dei moti siciliani — è una delle tante voci che emergono dalla storia silenziosa della Terra di San Paolo.
Un episodio minore solo in apparenza: un frammento prezioso del vissuto collettivo, che ricorda quanto profonde siano le radici della cura, dell’abbandono e della misericordia nella comunità solarinese.
Rileggendo oggi quell’episodio, emerge quanto certe problematiche sociali, pur mutate nelle forme, restino purtroppo attuali.
L’abbandono dei neonati, allora affidato a una ruota discreta e protetta, oggi si manifesta in contesti drammatici e pericolosi: nei cassonetti, nei campi o in luoghi isolati, con rischi spesso mortali. La memoria di Concetto e della Casa dei Proietti ci ricorda che la soluzione non può essere solo l’atto di pietà, ma la costruzione di sistemi di protezione chiari, accessibili e sicuri, capaci di garantire dignità e vita ai più fragili.
Se la società odierna riuscisse a ripensare la cura dell’infanzia con la stessa attenzione, ma con strumenti moderni e coordinati — educazione, sostegno economico, punti di accoglienza sicuri — molte tragedie potrebbero essere prevenute.
In questo senso, la ruota dell’Annunziata non è solo un reperto del passato, ma un monito: la civiltà si misura dalla capacità di proteggere chi non ha voce, ieri come oggi.

 Laura Liistro

Fonte storica
Questa ricostruzione è tratta da un documento originale conservato presso l’Archivio Storico di Siracusa
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Cultura

Pantelleria, Ministero di Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi: 21 dicembre con il Vescovo

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In Chiesa Matrice Ss Salvatore, domenica 21 dicembre sarò una giornata particolare per la comunità strettamente religiosa di Pantelleria. 
Se, infatti, da una parte avremo l’anniversario dell’arrivo sull’isola delle Suore delle Poverelle, dall’atro durante la stessa celebrazione Eucaristica di ringraziamento delle ore 11:00, il nostro Vescovo Angelo Giurdanella conferirà il Ministero dell’Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi.

Per saperne di più: Suore delle Poverelle, 80 anni di professione a Pantelleria. Messa con il Vescovo Giurdanella

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Cultura

Pantelleria, Sold out per Antonino Maggiore e il suo libro “Le note stonate”

Direttore

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Presentazione con mini spettacolo per un pubblico di ogni età 

Sold out al Circolo Ogigia, sempre magistralmente capitanato da Florinda Valenzain occasione della presentazione del libro di Antonino Maggiore “Le note stonate”.
Il pomeriggio culturale Centro ha ottenuto un tale successo da superare le previsioni degli organizzatori.

Un pubblico così nutrito, sfidando il vento e il gelo, ha totalmente gremito la sala dello storico circolo di Pantelleria Centro. Persone di ogni età è accorsa a conoscere la nuova opera del musicista pantesco.
Moderata da Franca Zona, esperta e raffinata scrittrice, e da Giovanna Drago, insegnante sensibile e preparata, la presentazione ha alternato momenti di pura e intimistica commozione a quelli di leggerezza e sobrietà, esattamente come lo stesso libro, “Le note stonate” (Casa Editrice Menna – Avellino) fa e induce a fare durante la lettura.

Antonino Maggiore, presentato come uomo e come scrittore da Franca Zona, è  definito “maestro per passione”. “Le note stonate” viene  scritto in quattro giorni, o meglio notti. La stesura è nata come un “viaggio segreto” da condividere con poche persone. E così, inizialmente è stato: l’autore aveva mandato ciò che egli stesso ha definito un opuscolo, a Giovanna Drago la quale immediatamente inizia un’opera di convincimento alla pubblicazione che svolta quando la collega lo invita a riflettere sul ruolo degli insegnanti che devono essere anche degli educatori, in un contesto storico dove spicca la fragilità degli alunni.
Da qui, l’invio alla casa editrice e parte tutta questa nuova avventura da cui si appalesa la personalità di Antonino Maggiore. 
L’entusiastico approccio non solo alla lettura, ma all’ascolto del libro “Le note stonate” era palese ancor più pensando alle ondate di sentimenti e percezioni che da esso scaturiscono.

Per sorpresa del protagonista del pomeriggio letterario, un capannello di suoi alunni, ad un certo punto, lo ha circondato in un coro canoro, o meglio, in abbraccio canoro, affettuoso e leggiadro per la tenera età.
Un sipario, un piccolo ma dolce spettacolo che ha reso ancora più apprezzato l’evento de “Le note stonate”.

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