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Pantelleria la guarnigione spagnola e i suoi capisquadra

Redazione

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I soldati di guardia al Castello di Pantelleria

Al tempo di don Juan de Vega y Enríquez, Viceré e Capitano Generale di Sicilia dall’anno 1547 all’anno 1557, lo stesso procedette ad una puntuale riorganizzazione militare dell’intero sistema di difesa della grande isola mediterranea e delle piccole isole adiacenti tra cui Pantelleria, finallora affidata a disorganizzate e spesso indisciplinate milizie feudali.

Il Vega costituì una forza di 12.000 fanti e li riparti per tutta la Sicilia, suddivisa per lo scopo in 9 “sergenzie” o “sargentarie”, con a capo di ognuna un “sargenti mayuri”. A quel tempo i gradi militari non corrispondevano a quelli moderni e il sergente maggiore era di fatto un generale.
Solo al “sargenti mayuri” spettava di organizzare e comandare in tempi rapidi la risposta militare ad eventuali tentativi di sbarchi di nemici ovvero di barbareschi nel territorio di sua competenza. Il sergente maggiore Francesco Salsedo ebbe la “sergenzia” di Lentini e di tutte le città, casali e terre “convichini” e cioè di Francofonte, Vizzini, Buccheri, Mineo, Licodia Eubea, Sciortino, Buscemi, Ferla, Militello, Palazzolo Acreide, Melilli, Avola.

In questo vasto territorio della Sicilia Occidentale compito del Salsedo era la formazione e il comando di tutte le compagnie sul posto, compagnie costituite di 300 soldati ciascuna. A capo di ogni compagnia egli doveva poi scegliere un sergente (corrispondente grosso modo al grado di capitano) che “sacha scriviri”.

A sua volta la compagnia doveva essere articolata in 12 squadre con la forza per ognuna di 25 fanti. Prendeva il comando della singola squadra un caposquadra o capural (corrispondente ad un ufficiale o tenente), anche il capural doveva essere “persuna pratica et sacha scriviri”.

Praticamente l’ossatura portante della “nova milicia” del Vicerè don Juan de Vega veniva ad essere la squadra con il suo caporale, cui spettava il ferreo controllo dei loro sottoposti affinché fossero sempre presenti nei “servicii et exercicii di la guerra”. Inoltre ai caporali spettava tenere la lista nominativa dei soldati della propria compagnia e l’elenco delle armi in dotazione ad ognuno di essi.

Questo sargenti mayuri Francesco Salsedo era imparentato con il ramo dei Salsedo di Pantelleria, di quest’ultima in quello stesso torno di tempo era castellano e governatore Giovanni Salsedo, (forse un suo cugino, se non addirittura fratello). Sul finire del Cinquecento era poi ufficiale (caposquadra o capural, anche qui parliamo di gradi cinquecenteschi)) nella guarnigione del castello di Pantelleria un suo omonimo (forse un nipote), Francesco Salsedo.

Quest’ultimo, figlio di Ioannis Salsedo e di sua moglie Laura, lo ritroviamo, con la consorte Paula, nell’atto di battesimo del loro figlio Pietro, datato 4 dicembre 1590, in cui Francesco è detto “magnifico”. Padrino del bambino è don Francesco di Santo Stefano, capitano d’arme ovvero governatore dell’isola e madrina la moglie di questi Isabella.

Oltre Pietro, Francesco Salsedo e sua moglie Paola hanno altri figli: Joe o Giovanni, Maria, Paulo, Giovanna detta Joannella, Didacus o Diego, Vitria e Caterina. Maria Salsedo nasce il 21 dicembre 1598.

La battezza il parroco don Mariano Tarantino. Questa Maria contrae matrimonio il 17 febbraio 1621, quindi di anni 23, con Franciscus Scalabrino, figlio del “magistri” Vincenzo Scalabrino della città di Marsalia (Marsala) e di sua moglie Maria. Parroco don Giovanni Battista Maxucco. Testimoni il magnifico Ioanne Maxucco, Josephi de Malta e Andrea Maxucco. Paulo Salsedo nasce il 25 gennaio 1601. Joe Salsedo muore il 10 luglio 1604. Joannella Salsedo sposa il 5 ottobre 1604 Leonardus Stuppa, figlio di Michele Stuppa e Caterina. Testimoni sono Giuseppe de Bonomo, Jacobus Casano e tale Antonio. Didacus ovvero Diego Salsedo muore il 30 dicembre 1608 e viene sepolto nella “Matrice Ecclesia” presso l’altare denominato Jesus.

Vitria Salsedo contrae matrimonio il 3 febbraio 1616 con Petru Sardano, figlio di Petru Sardano, milite del castello e originario de “insula Maiorche”, e di sua moglie Nicola. Caterina Salsedo sposa il 18 ottobre 1625 Giuseppe Hernandes, figlio di Gregorio Hernandes, soldato della guarnigione castellana, e di sua moglie Pasqua. Rimasta vedova, Caterina contrae nuovo matrimonio il 10 novembre 1647 con Sebastiano Verdun o Verdum.

Il capural Francesco Salsedo muore in Pantelleria il 14 luglio 1645. Nell’atto di decesso si legge “unus militis residentis in hac insula Pantellaria” e viene indicata la sepoltura “in Ecclesia S.mi Rosarj”, la chiesa dei soldati dell’isola, ubicata accanto al castello. Nella seconda metà del Cinquecento la guarnigione del castello di Pantelleria poteva contare su una forza di un terzo di compagnia, ovvero 4 squadre per un totale di 100 militi con un sergente (capitano) e 4 caporali o capisquadra al comando.

La provenienza dei soldati era per lo più spagnola (o di discendenza), con una discreta aliquota sarda. Oltre a Francesco Salsedo, degli altri tre caporali di quel periodo ne conosciamo solo uno: Giovanni Peres o Prez, che compare, quale padrino, in un atto di battesimo del 6 dicembre dell’anno 1587.

Cerimonia particolare questa in quanto si battezzano due gemelle, Antonia e Caterina, figlie di Filippo De Strada soldato. Giovanni Peres era sposato con una certa Magdalena. La casata Peres si estingue in Pantelleria agli inizi del Settecento con la morte di Filippa Peres, che si era coniugata con Vito Maccotta in data il 6 gennaio 1675 (domenica). Dall’anno 1598 il grado di caposquadra / caporale sembra scomparire dagli atti dei vari registri panteschi, sostituito man mano dal nuovo grado di caposquadra / sergente.

Orazio Ferrara

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Il Vespa Club Pantelleria incontra i bambini nei Circoli per gli auguri di Natale

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Vespe in garage per maltempo, ma i soci del Club di Pantelleria non si fermano e incontrano i bambini per gli auguri di Natale. L’affettuosa accoglienza dei Circoli

Vespa in garage stamani per i soci del Vespa club Pantelleria, purtroppo a causa delle condizioni meteo non favorevoli i vespisti insieme al suo Babbo Natale hanno incontrato i bambini dell’isola con l’autovettura, iniziando dal circolo Trieste Stelle a Khamma dove ad aspettarli c’era il Presidente Eduardo Raffaele che ha offerto panettone e caffè per tutti.

Da lì si sono diretti nella contrada di Scauri al circolo Agricolo, dove ad aspettarli vi era il Presidente Salvino Marino ad attenderli non solo con panettoni, bibite per tutti ma anche con dello spumante aperto alla fine dell’incontro per augurare a tutti i presenti un Santo Natale.

Il tour termina nei raffinati locali dello storico Bar Tikirriki con la consegna dei doni agli ultimi bambini arrivati.


Un bel giro partecipativo di una importante associazione che non esita a organizzare eventi aggregativi per la società isolana, portando movimento, colore, allegria. 

Abbiamo chiesto al Presidente Pavia, com’è andata stamani con questo tempo un po’ uggioso? “È andata! Purtroppo le Vespa abbiamo dovuto tenerle ferme, cambiando un pò il programma per via del maltempo. Ma non ci siamo tirati indietro, pochi bambini forse proprio per questo tempo incerto.”

Avete comunque portato a casa un risultato o no? Assolutamente si! soddisfatti anche se aspettavamo più pubblico sinceramente.”

I circoli come hanno risposto? “L’ospitalità dei circoli Trieste Stella ed Agricolo Scauri è unica, altre volte abbiamo collaborato con loro e sempre ci siamo sentiti a casa nostra, il clima è molto armonioso e i Presidenti Eduardo e Salvino oltre ad essere amici di tutti sono persone che si prodigano per la comunità e nel portare avanti una realtà isolana che hanno costruito i nostri nonni.  Speriamo che i nostri giovani sapranno apprezzare e continuare a dare vita ai circoli stessi, Pantelleria è un po’ lenta a carburare ma una volta riscaldato il motore sa dare la giusta grinta.

Vuole darci la data del prossimo appuntamento vespistico? “Certamente “Carnevale in Vespa” il  17 febbraio 2026, tempo permettendo.
“Approfitto per augurare a tutti un Santo Natale ed un felice 2026 a tutta la comunità.”

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Cultura

Pantelleria, oggi tanti festeggiamenti alla Chiesa Matrice con il Vescovo GIurdanella

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Questa mattina, del 21 dicembre 2025, il Vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, Angelo Giurdanella, in un difficoltoso arrivo sull’isola, ha officiato la Santa Messa presso la Chiesa Matrice Ss Salvatore di Pantelleria.

Tanti gli eventi che lo attendevano e che hanno visto la partecipazione di autorità militari e anche del primo cittadino, Fabrizio D’Ancona, che ha colto l’occasione per i rituali auguri di Buone Feste alla collettività.

Nonostante in maltempo durato per tutta la mattinata, i panteschi più fedeli e solerti non si sono fatti fermare ed hanno assistito ad una serie di eventi, celebrati durante la messa.

Così, questa mattina, sua eminenza si è trovato a officiare la messa della Quarta Domenica dell’Avvento, dedicata sicuramente agli 80 anni di presenza sul territorio pantesco delle Suore delle Poverelle; il conferimento al  Ministero dell’Accolitato a Franco Palumbo e Giuseppe Crimi; infine, ma non per ultimo, l’arrivo del nuovo parroco Don Easu Kuzhanthai.


Una messa molto sentita, in una atmosfera singolare, come quella del Natale.

Ricordiamo che da ieri giorno 20 fino al 23 dicembre, dalle ore 17,30 alle ore 19,00, presso il Sagrado della Chiesa Madre si terrà il presepe vivente, meteo permettendo.

Tutte le immagini sono tratte dalla pagina facebook della Chiesa Madre Ss Salvatore di Pantelleria

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Cultura

Claudia Ferlita, custode della memoria: il palazzo di piazza Castello che racconta Santo Stefano Quisquina

Laura Liistro

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A Santo Stefano Quisquina, in piazza Castello, sorge un palazzo ottocentesco che sembra aver fermato il tempo. Non è solo un edificio: è custode di una memoria profonda, della storia di una famiglia e dell’identità di un’intera comunità.
Oggi continua a vivere grazie a Claudia Ferlita, che ne ha raccolto il testimone con uno sguardo attento e sensibile, trasformando la conservazione in un atto nobile e civile.
Non esiste ancora una documentazione completa sulla sua costruzione, ma sulla chiave di volta del portale d’ingresso è scolpita la data 1872, probabilmente l’anno in cui Salvatore Puleo, imprenditore intraprendente e uomo “del fare”, lo edificò.
Non nobile, ma protagonista dello sviluppo locale, Puleo contribuì alla realizzazione della strada Corleonese-Agrigentina e della villa comunale, opere che ancora oggi segnano il volto della cittadina.
Il palazzo racconta la sua epoca attraverso dettagli unici: il lungo balcone in ferro battuto decorato con vasi di ceramica di Burgio, una rara targa assicurativa antincendio della compagnia Generali e interni straordinariamente conservati. La cucina in muratura con le maioliche bianche e blu e gli arredi originali restituiscono la sensazione di entrare in un tempo sospeso.
Ma il valore del palazzo va oltre l’architettura.
Custodisce lettere, fotografie e oggetti appartenuti a generazioni della famiglia Puleo, fino ad Angela Puleo in Palma e al professor Ugo Palma, che hanno saputo preservarne la storia e l’identità.
Entrare in queste stanze è come percorrere un ponte tra passato e presente: i mobili e gli oggetti sono rimasti esattamente dove erano stati lasciati, raccontando le vite e le abitudini di chi le ha vissute.
L’incontro di Claudia con il palazzo è stato un vero colpo di fulmine.
Varcando la soglia per la prima volta, percepì che la casa non era morta, nonostante anni di vuoto.
«Avevo la sensazione che la padrona di casa potesse apparire da un momento all’altro», racconta.
La vendita fu gestita da Costanza Palma, nipote di Ugo Palma, che aveva ereditato la dimora dalla madre Angela. Lontana da Santo Stefano e priva di legami con il territorio, decise di non trattenere la proprietà.
Tra tutti gli ambienti, la biblioteca emerge come cuore pulsante del palazzo.
L’odore dei libri antichi si mescola a quello dei mobili, restituendo l’immagine di una famiglia colta e curiosa, aperta al mondo.
Riordinare i volumi ha permesso a Claudia di comprendere meglio la storia di chi ha abitato la casa e di sentire il peso e l’onore di custodire un patrimonio culturale così ricco.
Il gesto di Claudia Ferlita va oltre la proprietà privata: è un atto esemplare di responsabilità culturale e civica, un modello per chiunque possa recuperare e valorizzare altri luoghi storici.
Conservarlo significa rispettare chi ci ha preceduto e permettere a chi verrà dopo di conoscere la propria storia.
Se il palazzo potesse parlare, racconterebbe una storia d’amore: l’amore coniugale per cui fu costruito da Salvatore Puleo per la giovane sposa napoletana, ma anche amore per l’arte, la cultura e la conoscenza.
Oggi lo stupore che suscita il palazzo, la sua autenticità intatta e la memoria custodita, sono destinati a essere condivisi, per permettere a tutta la comunità di attraversare il tempo senza perdere il senso profondo della propria storia.
Grazie alla sensibilità e alla generosità di Claudia, piazza Castello non è più solo uno spazio fisico: è memoria viva, esempio di cura, identità e amore per la cultura e la storia di Santo Stefano Quisquina.

Laura Liistro

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