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Cultura

Pantelleria, grande successo per l’inaugurazione della personale di M° Cossyro “Nostos 2”: altre 33 opere donate ai panteschi

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Il “ritorno” di Cossyro a Pantelleria con un bagaglio eccezionale: una collezione di 100 opere da lasciare ai panteschi

Ha creato una collezione strepitosa e di moltissimi pezzi, il M° Michele Cossyro, al secolo Valenza, e ne fa dono ai suoi concittadini.
100 opere di arte moderna, a sua firma, lasciate ai panteschi i tre trance, da 33.
L’avvio dell’iniziativa è avvenuta lo scorso agosto 2024, alla presenza dell’immancabile Bruno Corà, critico e curatore di Cossyro.

L’evento di ieri, 01 agosto 2025, ha richiamato moltissimo pubblico che ha gremito l’intera Mediateca di San Leonardo. 
Il nome dell’esposizione e il motivo della donazione ce li spiega direttamente il protagonista, in un delicato dialogo a tu per tu: Maestro, come mai questo desiderio di lasciare ai panteschi ben 100 delle sue opere? “Intanto spiego che ‘Nostos’ significa ritorno.  Quando io ho compiuto 80 anni ho detto la vita è breve, sono l’unica artista di Pantelleria riconosciuto fuori, ho fatto biennale, quadriennale, voglio lasciare qualcosa per i giovani, per i posteri, perché questa è la mia terra, è la mia terra che mi carica come una pila,  cioè anche se non parlo del faraglione c’è l’energia dentro di me data da questa terra che io amo moltissimo. E così domani potrà diventare un museo e c’è un percorso anche per le scuole.
Lei consideri che io essendo nato nel 1944 dopo la guerra, non avevo colori, non c’era pastella, non c’era pennello, non le dico la difficoltà che ho incontrato, per cui anche per le giovani generazioni questo deve essere uno stimolo, uno spunto. Semplicemente per questo motivo”.

Durante la presentazione della mostra hanno preso la parola anche il critico d’arte nonchè curatore della stessa, Bruno Curò, che ha spiegato l’intimo rapporto tra Cossyro, l’arte e la sua isola, anche attraverso sguardi futuristici, si coglie la natura dell’artista.
Anche il Sindaco Fabrizio D’Ancona ha espresso compiacimento per Cossyro come uomo e come artista e gratitudine per l’eredità che sta lasciando nei suoi lavori, “per sentirsi fortemente pantesco e perchè, pur avendo tante possibilità ha scelto di lasciare un segno concreto delle sue origini, facendo di Pantelleria non solo la sua radice, ma anche la sua firma… Attraverso la sua arte a portato Pantelleria nel mondo, rendendoci tutti partecipi. Grazie per essere rimasto uno di noi, e, infine, per aver pensato alla tua isola come custode della sua opera, della sua visione della sua sensibilità. La donazione delle 100 opere è un atto d’amore verso Pantelleria, che resterà nella storia culturale dell’isola.
Ringraziamenti anche al Professor Bruno Corà, che con la sua esperienza e il suo sguardo ci accompagna nel percorso della mostra.”

L’invito infine di D’Ancona a pensare Nostos un abbraccio tra arte, territorio e memoria

Michele Valenza, in arte Cossyro

Nato a Pantelleria nel 1944, Michele Cossyro (nome d’arte derivato dalla denominazione greca Kossyra dell’isola di Pantelleria), appartenente a una famiglia isolana di maestri d’ascia per la costruzione di imbarcazioni, si distingue nella capitale tra gli allievi della Scuola di scultura di Pericle Fazzini, all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Dal 1978 al 2011 ha affiancato alla sua carriera da artista quella di titolare delle Cattedre di Decorazione nelle Accademie di Belle Arti di Catania, Urbino, Venezia, L’Aquila e Roma nella quale nel 2014 gli viene conferito il titolo di Maestro Accademico Emerito.
Numerosi sono gli incarichi in commissioni artistiche da esperto e consulente ricoperti da Cossyro, tra cui quello presso il Ministero delle Finanze per la Zecca dello Stato.
Dal 1970 a oggi Cossyro ha attuato oltre 60 esposizioni personali e innumerevoli collettive, distinguendosi nelle Quadriennali di Roma, (1975, 1986, 2005), alla Biennale di Venezia (1984), alle Biennali di Milano (1989), di Basilea (1983) e di Menton (1974).

Il progetto di donazione del Maestro di origine pantesca prevede un primo gruppo di 33 opere all’anno per tre anni e che dal 1973 giungono all’attualità, dando visione esemplare del percorso soprattutto pittorico. Siamo alla seconda fase, per l’anno venturo è prevista quella finale, che chiude il ciclo d’opera della sua attività pittorico plastica, comprese le installazioni e ogni altra ricerca originale realizzata in mosaico o con materiali inusuali, talvolta rari (ossidiana e altre pietre, giunchi usati per le nasse, specchi e altri materiali).

Gli orari della Mediateca:

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Marina Cozzo è nata a Latina il 27 maggio 1967, per ovvietà logistico/sanitarie, da genitori provenienti da Pantelleria, contrada Khamma. Nel 2007 inizia il suo percorso di pubblicista presso la testata giornalistica cartacea L'Apriliano - direttore Adriano Panzironi, redattore Stefano Mengozzi. Nel 2014 le viene proposto di curarsi di Aprilia per Il Corriere della Città – direttore Maria Corrao, testata online e intraprende una collaborazione anche con Essere Donna Magazine – direttore Alga Madia. Il 27 gennaio 2017 l'iscrizione al Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti nel Lazio. Ma il sangue isolano audace ed energico caratterizza ogni sua iniziativa la induce nel 2018 ad aprire Il Giornale di Pantelleria.

Ambiente

Pantelleria, vendemmia 2025: i risultati tra siccità pregressa e peronospera

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Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano

Ogni anno teniamo sott’occhio quella che una eccellenza indiscussa di Pantelleria: la viticultura.
Grazie a questa pratica di agricoltura decisamente eroica anche ai nostri tempi, l’isola ha conquistato uno spazio nei patrimoni dell’umanità, per cui l‘UNESCO ha conferito, lo ricordiamo, il riconoscimento proprio per la vite ad alberello.
Quest’anno abbiamo voluto fare un approfondimento, con una intervista, viste le recenti problematiche ambientali. Abbiamo contattato, all’uopo, Giovanni Bonomo, agricoltore eroico soprattutto per la passione che mette nel suo lavoro. Solerte, studioso, conosce i nomi latini di tutti o buona parte i parassiti che aggrediscono la vite, ma anche i capperi e altre colture importanti nella nostra economia. Con quel suo fare un pò romantico e un pò nostalgico, si sofferma ad analizzare soluzioni possibili per arginare problematiche simili, anche in modo sostenibile, si veda la conferenza che si terrà il 13 novembre prossimo e di cui parleremo in questo articolo.

E così, esordiamo: Signor Bonomo, com’è andata la vendemmia di quest’anno?Partiamo dalla siccità dell’anno scorso che ha portato una certa sofferenza alle piante. Quest’anno invece è piovuto circa 600 mm, quindi un po’ d’acqua è entrata nel terreno, però le piante venivano da un periodo di indebolimento, in cui la vendemmia è stata pessima.
Quest’anno però le viti, queste viti che hanno piantato i nostri antenati, che le hanno scelte fondamentalmente molti migliaia di anni fa, potendo risalire sino ai fenici, perchè lo zibibbo arriva a Pantelleria con i fenici, hanno avuto un buon ristoro grazie appunto all’azione della pioggia. Seppur non sia stata abbastanza generosa.
Ma ciò che ha afflitto quest’anno le piante è stata la peronospera che ha inflitto loro un effetto di “bruciatura”. 

Vuole spiegare a chi non è del settore cos’è la peronospera? “La peronospera, è un parassita, venuto dall’America, come anche lo Oidio, che in Italia si chiama malaria. Esso si riproduce, si replica, e alla fine le foglie tenere e i grappoli teneri che vengono colpite restano come “bruciate”. L’intera isola ha sofferto di questo “attacco”.
 
Siamo a novembre, la vendemmia ormai è arrivata quasi al termine. A Pantelleria si fanno più raccolti, ce li vuole spiegare?Sì, oramai l’abbiamo terminata. La prima raccolta si fa all’incirca ad agosto, nelle zone troppo veloci, partendo dalla scogliera con le uve primizie.
Queste primizie, una volta partivano per fare le cosiddette gabbiette ed essere distribuite come uva da tavola. Fatta questa prima raccolta, via via si risale di quota.”

Quali sono i vitigni della tradizione pantesca?In gran parte è lo zibibbo, poi i panteschi avevano, un tempo per uso personale, il catarrato, il nero nostrale l’insolia, il garignano e altri vitigni secondari. Però ripeto, una volta questi coltivati per uso personale, l’uva che andava alla vendita era lo zibibbo.
“Questo perchè, in genere, l’agricoltore pantesco non  gradisce tanto lo zibibbo, specie il vino dalla prima raccolta che sa essere stucchevole.
“Ma, negli ultimi decenni, sono cominciati ad arrivare i Merlot, i Cabernet, i Shiraz e via discorrendo così.”

Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano

La vendemmia di quest’anno ha prodotto un quantitativo e un qualitativo che ci (6:40) lascia soddisfatti?Come quantitativo si potrebbe fare un po’ di più, se non venissimo da un anno molto arido, come qualità è molto buono. L’uva passa appassisce sempre a quel livello là, quindi poi sono sia i viticoltori con la loro cura, sia gli enologi che fanno dei grandi vini.
Questo quando non piove proprio quando è durante la vendemmia, perchè va a peggiorarsi la qualità dell’uva. Questo, per fortuna non si è verificato in questa annata.
Ho parlato ieri con l’Antonio  D’Aietti l’enologo, forse il principale professionista dell’isola, e lui mi ha detto che stanno guardando gli ultimi arrivi delle varie particelle, delle varie produzioni: siamo sui un 22 mila, si potrebbe arrivare a  24-25 mila quintali.”

Tra qualche giorno si darà via a un corso formativo all’avanguardia, che vuole esporre l’isola ad uno step nel progresso dal punto di vista dei trattamenti. Organizzato dal Centro Giamporcaro e nato da una sua idea, cosa può anticiparci? “L’Università di Palermo ci ha indicato questo formatore, il prof. Luigi Rotondo. Il corso si terrà dal 13 al 16 ottobre e durerà 14 ore, distribuite in tre pomeriggi e una mattinata, cercando di conciliare l’orario con le esigenze degli agricoltori, che di solito lavorano sempre e non hanno mai tempo di fare i corsi.
L’idea è di chiarirci le idee sulla peronospora e altri parassiti,  formando i lavoratori del settore  anche con l’autoproduzione di alcuni preparati, per cercare anche di ridurre l’impatto chimico sulle coltivazioni, che poi la parte anche li mangiamo noi.”
“L’argomento è molto grande, rispetto anche a come si mantengono i terreni, tenendo presente pure l’età delle persone, i mezzi che hanno a disposizione, i guadagni.”

Abbiamo notato  che questo corso è  considerato talmente valido, che il centro Giamporcaro ha radunato parecchi sostenitori: oltre Comune e Parco Nazionale, il Consorzio Vini Doc, le cantine Pellegrino, Emanuela Bonomo e Donnafugata. Poi Fertigess e Stelmond Bio, ma anche l’Autonoleggio Policardo, seppur non sia del settore. “Infatti, già durante una riunione dello scorso marzo abbiamo invitato diverse aziende, le più importanti hanno risposto, quindi Donna Fugata, Pellegrino, adesso è arrivata anche Emanuela Bonomo. Abbiamo anche come sponsor il Noleggio Policardo che è sempre molto sensibile ad appoggiare iniziative per il territorio. Tutta questa gente ha creduto in questo progetto presentato dal Giamporcaro, con il suo presidente Anna Rita Gabriele. Il  Giamporcaro dura da 30 anni con un grande lavoro alle spalle: è uno dei maggiori soggetti attivi dal punto di vista sociale, culturale, il tutto, essendo una associazione no profit lo fa gratuitamente per la comunità di Pantelleria.”

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Cultura

Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura

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Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.

Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.

Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.

In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.

Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.

Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?

Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura  aziende che lo producono con 10 aggiunte.

A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.

Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di  fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi  per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto  si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.

Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.

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Cultura

Pantelleria e l’asso degli aerosiluranti a Margana: Guido Robone

Orazio Ferrara

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Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici

Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici, che andavano a rifornire l’isola di Malta ridotta ormai allo stremo dal lungo assedio delle forze dell’Asse.

La 278a era dotata del velivolo Savoia-Marchetti S.M.79 detto Sparviero, un aereo trimotore ad ala bassa multiruolo. Si riconosceva immediatamente per la tipica “gobba” dietro l’abitacolo di volo, gobba in cui alloggiavano mitragliere Breda-SAFAT da 12,7 mm. Per tale tipicità era denominato dagli avieri scherzosamente anche col nomignolo di “gobbo maledetto”.
Distintivo della 278a: quattro gatti, due bianchi e due neri. Motto: “Pauci sed semper immites” (Pochi ma sempre implacabili). Uno degli S.M.79 di stanza a Margana, identificato con il numero “278-1”, era l’aereo dal tenente pilota Guido Robone da Como. Il Robone, quand’era ancora un giovane sottotenente, era stato uno dei pochi ad aver superato la durissima selezione di piloti, che il 25 luglio 1940 a Gorizia erano andati a costituire il primo “Reparto Sperimentale Aerosilurante”.
Di quel gruppo ristretto faceva parte anche l’allora tenente Carlo Emanuele Buscaglia, che sarà poi uno dei più famosi aviatori nella specialità degli aerosiluranti, riuscendo ad affondare oltre 100 000 tonnellate di naviglio nemico. Le onorificenze concesse al Buscaglia testimoniano del suo indomito valore: Medaglia d’oro, ben sei Medaglie d’argento, Croce di Ferro di 2ª Classe, due avanzamenti di gradi per merito di guerra. E scusate se è poco. In molte missioni di guerra Robone fu gregario di Buscaglia Da sottolineare che anche Buscaglia avrà modo di operare, col suo aerosilurante, da Pantelleria nel giugno del 1942 al tempo della vittoriosa battaglia di “Mezzo giugno”, in cui la Royal Navy inglese subirà una pesante e umiliante sconfitta. Quando il tenente pilota Guido Robone giunse a Margana in quella calda estate del ‘41, lo precedeva la fama di asso, come confermavano i nastrini azzurri appuntati sul petto di due medaglie d’argento.

Le medaglie

Motivazione della prima medaglia: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante già provato per ardimento in molteplici rischiose e difficili azioni di guerra, il giorno 14 ottobre in ore notturne raggiunta una formazione navale nemica,

nonostante violentissima reazione contraerea, la attaccava decisamente riuscendo a colpire un incrociatore.
Confermava cosi le sue elevate doti di combattente, alto senso del dovere e sprezzo del pericolo Cielo del Mediterraneo, 14 ottobre 1940-XVII”.

Motivazione della seconda: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, di provato valore guidava il proprio apparecchio all’attacco di formazioni navali nemiche in mare aperto ed in munitissime basi riuscendo a colpire col siluro tre unità.

II giorno 11 gennaio 1941 al rientro da una lunga azione di ricognizione offensiva condotta in mare aperto con condizioni atmosferiche proibitive, a causa di perdita di benzina si ritrovava senza carburante lontano dalla base su zona montagnosa. Anziché affidare la propria salvezza al paracadute, preferiva effettuare un pericolosissimo atterraggio notturno di fortuna con siluro a bordo riuscendo a portare in salvo l’equipaggio, l’arma e parte del materiale. Nel nobile tentativo restava ferito. Cielo del Mediterraneo, 2 novembre 1940-11 gennaio 1941-XIX”.
Dalle motivazioni precedenti si può comprendere bene quale tempra d’uomo e di pilota fosse il Robone. D’altronde quest’ultimo, al suo arrivo a Pantelleria, era appena reduce da un altro successo, conseguito nei mari prospicienti l’Africa Settentrionale decollando dal campo di Berka (Bengasi).
Infatti alle ore 19:25 del precedente 21 aprile 1941, aveva attaccato con la solita determinazione e con il consueto indomito coraggio una formazione navale britannica, silurando, malgrado la furiosa contraerea, la petroliera British Lord di 6.000 tonnellate e danneggiandola gravemente.
Dell’efficacia del siluramento si ebbe poi conferma anche dagli inglesi.

Orazio Ferrara
(1 – continua)

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