Cultura
Palazzo Adriano: ecoviaggio tra lenti fluidi di identità
La Sicilia di ieri, oggi e domani
Giungendo con uno sguardo nuovo, nell’ultimo borgo palermitano confinante con la provincia di Agrigento, con l’inconsapevolezza di trovarsi davanti alla perla dei Sicani , si visita un territorio regnato da Madre Natura, nella Riserva Naturale e nella Valle del Sosio, segnato da secoli di Storia da scoprire con lentezza.
E’ un luogo che si fa amare ed insegna ad amarsi.
Ph. di Nicola Vaiana
E’ inevitabile, infatti, abbandonarsi ai raggi del sole mattutino passeggiando lungo piazza Umberto I, rinfrescarsi con l’acqua della fontana ottagonale e meravigliarsi davanti alle sue due antiche chiese che si fronteggiano nella perfetta simbiosi: quella di rito Greco – Bizantino e quella di rito Latino, dimostrando la secolare convivenza civile tra diversi.
Verbo d’obbligo: camminare per rigenerarsi tra angoli, luoghi intimi di ricordi, vecchie fontane, edicole votive, cortili e vicoli.

E, poi, ancora il suo lavatoio comunale, costruito in epoca fascista per volere del duce, in cui basta poca immaginazione per sentire i discorsi delle donne di Palazzo alle prese con il lavaggio dei loro panni.
Palazzo Adriano, una comunità che ti abbraccia con la sua piazza all’ingresso del paese e che regala al visitatore la migliore accoglienza, ha una corposa e fondamentale storia risalente al 1481 con l’insediamento , nella zona ormai spopolata, delle ultime resistenze albanesi capeggiate da Giorgio Castriota Scanderberg, giunti in Sicilia per fuggire all’avanzata turca.
Visitando il Museo della cultura albanese avviene una profonda immersione etnoantropologica tra paramenti sacri dei celebranti della liturgia bizantina risalenti dal XVIII al XX secolo, alle riproduzioni cintemporanee dei costumi arberesche e gigantografie degli acquarelli di Jean Houel del 1782 in cui è possibile osservare le donne di Palazzo Adriano con abiti tradizionali.
La comunità è stata sempre alla luce della sua identità popolare ma, negli ultimi anni, si sta riscoprendo bandiera dell’identità siciliana ,grazie , pure, al capolavoro cinematografico di Tornatore “ Nuovo Cinema Paradiso”.
Un film che ha coinvolto direttamente sia la gente di Palazzo Adriano sia i luoghi.
La piazza Umberto I è stata protagonista e, ancora oggi, basta dire “la piazza è mia” per aprire un capitolo emozionale.
Numerosi visitatori , infatti, giungono sui luoghi del set cinematografico per rivedere angoli , vicoli e facciate di edifici in cui Totò , Elena, Alfredo, il parroco, Spaccafico e gli altri personaggi continuano a vivere tra il ricordo ed il cuore palpitante della nostalgia sicula.
Palazzo Adriano, dal fervore dorato, sta dimostrando la sua grandezza in un nuovo progetto di comunità: Museo Nuovo Cinema Paradiso, nuovo spazio espositivo caratterizzato dal percorso sensoriale e artistico nel mondo dell’arte cinematografica.

Un palazzo dall’area espositiva ampia su due livelli in cui è possibile vedere foto di scena della Cristaldi film, gli oggetti di scena del film e piccoli cimeli del periodo delle riprese.
Visitando i vari ambienti di grande interesse, l’occhio non può fermarsi se non sulla bicicletta su cui Alfredo portava in giro il piccolo Totò, dalle simpatiche fossette, alle proiezioni del Cinema Paradiso .
L’obiettivo del Museo Nuovo Cinema Paradiso , spiega il sindaco Nicola Granà, è preservare e valorizzare il patrimonio culturale di Palazzo Adriano che accoglie migliaia di turisti e appassionati del cinema da tutto il mondo.
Durante le giornate del Festival del Cinema, i visitatori possono rivivere la memoria storica del borgo nella sua degna memoria .”
La combinazione Storia e cinema richiama l’attenzione dei curiosi e dei buongustai alla ricerca di angoli di paradiso.
Questa nuova operazione culturale dell’amministrazione Granà è un fattore favorevole al rinnovamento del paese, nonchè un mezzo esemplare di rilancio economico e turistico.
L’intenso legame tra storia e territorio si esprime, pure, nella tradizione gastronomica locale legata al forte desiderio del vivere sano e consapevole.
In una realtà globalizzata colma di ‘non luoghi’ , Palazzo Adriano si vuol distinguere perchè vuol rapire lo sguardo di colui che vuol cogliere l’identità profonda di un luogo.
Palazzo Adriano, appartenente al circuito Honos, distintosi per la preziosa presenza di cittadini attivi e per l’importante azione esemplare svolta sul territorio, offre il suo passato su un piatto d’oro e, ancor di più, si offre per il suo presente e futuro.
Tutto ciò in un piccolo borgo dei Sicani che, come con pennellate artistiche, regala al mondo emozioni di varia natura con sfumature diverse.
Laura Liistro
Cultura
Pantelleria, inaugurato il busto a dr. Zurzolo tra gente commossa, riconoscente e affiatata
L’opera è stata realizzata dal M° Michele Cossyro
Si è svolta ieri, 7 dicembre 2025, la cerimonia di scopertura del busto dedicato al compianto dottor Michele Zurzolo.
In una silenziosa Piazza Perugia, le gente arrivava quasi in punta di piedi, per non disturbare un momento che sarebbe stato prezioso per quel sito e per la comunità pantesca tutta.
Il Sindaco Fabrizio D’Ancona ha aperto la celebrazione annunciando diversi interventi tra cui quello di Maria Casano, che ha promosso l’idea, quello della moglie Anna Maria Brignone, delle due nipoti.
“Il Dottore Michele Zurzolo, nel corso della sua vita professionale, si è dedicato anima e corpo a tutta questa comunità e oserei dire anche a tutta la cittadinanza di Pantelleria – Ha esordito il primo cittadino – Ma molti di voi hanno avuto anche la possibilità di conoscere un amico, una persona che ha fatto della sua professione una storia di vita. Lui era una persona di altri tempi e lo ha dimostrato. Abbiamo ritenuto come di regola accade quando una persona si contraddistingue in questa vita terrena per le sue attività, per le sue azioni, per le sue gesta, di ricordarlo in una maniera particolare. Abbiamo deciso di fare un busto commemorativo e di posizionarlo in questa piazza Perugia che è sostanzialmente il cuore di questa contrada.”
Di poi i ringraziamenti alla giunta comunale e, in modo particolare, ai consiglieri Giuseppe Maddalena e Nadia Ferrandes che hanno perorato il progetto, fino al suo completamento.
Così, dopo i toccanti pensieri dei familiari del dr. Zurzolo, l’intervento di Michele Cossyro. L’artista che ha portato il nome di Pantelleria nel mondo con le sue opere ha ben accolto l’invito a realizzare la richiesta, facendo una vera copia non solo delle sembianze, ma anche dell’espressione del medico. Realizzando un basamento singolare, in pietra lavica, ha poi come proseguito l’opera con il busto di bronzo, adesso lucido e liscio.
Tra i presenti anche il presidente del Consiglio Comunale, Giuseppe Spata, diversi politici, i presidenti dei circoli e di alcune associazioni importanti, tutti testimoni della benevolenza, dell’umiltà, della nobiltà di un uomo coraggioso, che metteva il paziente sopra ogni altra esigenza e pensiero, elargendo diagnosi sempre precise e puntuali e mai sbagliate, nonostante la strumentazione dell’epoca, a Pantelleria.
Va ricordato, non in ultimo, che il Dr. Zurzolo era un grande studioso originario della Calabria, eppure, egli aveva eletto Pantelleria come sede della sua dimora e del suo lavoro, dove ha affrontato vita e professione sempre con un immancabile e inestimabile sorriso bonario e rassicurante.
La toccante cerimonia si è conclusa con la benedizione di Don Ramses.
Cultura
Pantelleria, oggi presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore
Questo pomeriggio, 7 dicembre 2025, dalle ore 16.30, presso i noti locali del Circolo Ogigia di Pantelleria Centro, si terrà la presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore.
Ad affiancare l’autore, Franca Zona e Giovanna Drago, apprezzate donne di cultura, che si alterneranno in una intervista conoscitiva del libro.
Antonino Maggiore, classe 1982, è un docente di musica presso la scuola primaria di Pantelleria, dove unisce rigore e creatività, nel quotidiano rapporto con l’infanzia.
Lo scrittore pantesco non è alla sua prima opera. Negli anni ha già pubblicato due raccolte poetiche: “Niente di importante” e una “Penna x amico“, grazie alle quali ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti.
“Le note strane” è un romanzo autobiografico: in viaggio intimistico tra fragilità ed ironia, attraversando il confine spesso sottile tra disperazione e gioia, risa e pianto.
Con il delicato contributo musicale di Maria Bernardo, si profila un piacevole pomeriggio letterario, al caldo e tra “degustatori” di libri.
L’ingresso è libero
Cultura
I racconti del vecchio marinaio di Pantelleria: Il rito antico della dragunera
Quel giorno lasciai gli scogli di San Leonardo più presto del solito, mentre i miei amici erano ancora a mollo a mare, in un’acqua trasparente e azzurrina come solo il mare di Pantelleria sa esserlo. Mi soffermai ancora una volta a leggere le scritte multicolori che rendevano meno triste il vecchio bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. L’amore di sempre: “ti voglio bene, “un cuore solo”, “ti amerò per sempre” precedute da un nome femminile e tante altre scritte, eredità amorose di generazioni di giovani panteschi. Una però faceva a pugni con tutte le altre, “Mariuccia buttana”. Doveva essere stato davvero un brutto tradimento, per bollarlo con un marchio di fuoco e per tramandarlo così ai posteri.
Giunsi sulla banchina e lo vidi seduto sulla solita bitta di fronte al castello, la nuvola azzurrina del fumo della sua pipa gli conferiva una strana aureola di mistero. Avevo deciso di porgli alcune domande, ma appena mi vide cominciò a parlare con voce arrochita dal tabacco e dalla salsedine. “Il veliero Madonna di Trapani era un vero e proprio gioiello della marineria pantesca. Due alberi, bompresso lungo come una lancia, vele latine che sapevano piegarsi al vento, ma non alla paura. Patrun Vitu, il suo comandante, era un uomo di mare e di silenzi infiniti, con le mani dure come la nostra pietra lavica e gli occhi di un verde misterioso, che avevano visto tempeste e miracoli. Nelle sue mani il timone seguiva docilmente l’invisibile linea della rotta fissata.
Quel giorno, ero ancora picciotto ‘i varca, avevamo da diverse ore passatu l’isola di Ustica e puntavamo, con tutte le vele spiegate su Trapani, fermarci qui la notte e il giorno seguente tornare a Pantiddraria, dove dovevamo sbarcare delle merci comprate a Napoli. Il mar Tirreno sembrava quieto e il vento amico, ma ‘ogni marinaio sa che “Cu ventu e cu mari nun si fa cuntrattu” (Col vento e col mare non si fa contratto). Così all’improvviso il cielo cambiò.
Una linea nera si stese sull’orizzonte, e il vento cadde morto di colpo. I marinai si guardarono l’un l’altro muti e attoniti. Il capitano Vito salì sul ponte e scrutò quel cielo nerastro e la vide: una dragunera (tromba marina), la maledizione antica e rabbiosa per chi va per mare. Essa, sottile e affilata, scendeva dal cielo come il dito di dio marino irato, girando vorticosamente sull’acqua.
Il nostromo Turi colse l’ansia e il timore degli altri uomini dell’equipaggio e chiese a patrun Vitu di virare. Ma Vito no, non solo perché la cosa era impossibile per mancanza di vento, ma perché egli era uomo che accettava intrepido le sfide in mare. Lui conosceva lu ritu anticu, lo aveva visto fare
da suo nonno e da suo padre prima di lui. Aprì il baule sotto il timone e ne trasse un coltello d’ossidiana, nero come la notte e affilato come il silenzio che precede la burrasca. Poi disse deciso “Mantenete la rotta, non si fugge davanti alla dragunera. Si tagghia”.
Si diresse a prua e la sua figura alta e possente sembrò dominare le onde. Il vento intanto aveva ripreso a soffiare forte e impetuoso che a momenti gli strappava il berretto. La dragunera si avvicinava, ululando conne una magara. Vito attese, fermo, come nu parrinu davanti all’artari. Quando la coda della tromba marina fu a portata, egli disse vecchie parole che non si potevano intendere, poi tracciò con il coltello d’ossidiana una grande croce nell’aria e recitò a voce alta questa preghiera:
Nniputenza di lu Patri,
Sapienza di lu Figghiiu,
pi virtù di lu Spiritu Santu
e pi nnomu di Maria
sta cuda tagghiata sia
Un suono sordo, come un lamento, si levò dal mare. La vorticosa colonna d’acqua si dissolse e il cielo si aprì all’azzurro. Tutti noi marinai, increduli, guardavamo ammirati e a un tempo intimoriti il capitano come si guarda un uomo che ha parlato allora allora con gli spiriti. Vito tornò al timone, rimise il coltello di ossidiana nel baule e disse solo: “Adesso a casa”. Al tramonto del giorno dopo Pantelleria ci apparve all’orizzonte, nera e fiera e materna. Il Madonna di Trapani, come sempre, entrò in velocità nello stretto passaggio che dava al porto vecchio. Solo capitan Vito e qualche altro patrun si potevano permettere di sfidare la scogliera cartaginese semisommersa.
La voce del subitaneo taglio della dragunera si sparse, in un battibaleno, in tutte le contrade dell’isola e da quel giorno ogni marinaio pantesco che incrociava patrun Vitu lo salutava con rispetto misto ad ammirazione. Perché non tutti sanno tagghiare la coda a una tromba marina. E soprattutto non tutti hanno il coraggio di farlo”.
Il vecchio marinaio si tacque definitivamente.
Girò le spalle e si mise a guardare, assorto, il mare
come aspettasse l’arrivo di qualcuno, intanto la nuvola azzurrina del fumo della pipa, che lo
avvolgeva in tenui volute, gli conferiva un certo non so che di misterioso.
Orazio Ferrara

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