Cultura
Lettera aperta sull’insegnamento della lingua siciliana nelle scuole: una risposta accademica e civile a chi parla di “baratro formativo”

Siamo linguisti, glottologi, sociolinguisti, pedagogisti, studiosi di politiche linguistiche e didattica plurilingue, provenienti da istituzioni accademiche italiane e internazionali.
Con questa lettera desideriamo rispondere, in modo rigoroso e documentato, alla recente dichiarazione pubblica firmata da alcuni docenti delle università siciliane, nella quale si invitano i consigli comunali a respingere il manifesto da noi proposto, e conseguentemente il disegno di legge regionale volto a chiedere al Parlamento della Repubblica Italiana l’inserimento della lingua siciliana tra le lingue tutelate dalla legge 482 del 1999. In quella dichiarazione si parla di “baratro formativo”, di “strategie ideologiche sulla pelle dei bambini” e di “aggravio sulle fragili spese regionali”. Sono affermazioni gravi, che meritano una risposta fondata su dati scientifici, prassi europee consolidate e una visione pedagogica aggiornata.
1. L’educazione bilingue è un modello consolidato e benefico
Definire “baratro formativo” l’introduzione del siciliano nella scuola equivale a ignorare decenni di ricerca accademica e le raccomandazioni degli organismi internazionali in materia di educazione plurilingue. La letteratura scientifica, dalla linguistica educativa alla pedagogia comparata, è concorde nel riconoscere che l’insegnamento in e di una lingua regionale:
rafforza la consapevolezza metalinguistica;
migliora le competenze nella lingua nazionale e in lingue terze;
aumenta l’autostima degli studenti e la loro motivazione all’apprendimento;
favorisce l’inclusione scolastica e riduce il tasso di abbandono.
Esperienze consolidate in Catalogna, Galles, Paesi Baschi, Trentino-Alto Adige, Sardegna e Friuli dimostrano che l’introduzione di una lingua minoritaria o regionale nel contesto scolastico non compromette le competenze linguistiche generali, bensì le arricchisce. In nessuno di questi contesti è stata registrata una regressione dell’alfabetizzazione dovuta al bilinguismo scolastico.
2. La politicizzazione del dibattito danneggia il confronto scientifico
L’insinuazione secondo cui l’attenzione alla lingua siciliana in ambito scolastico risponderebbe a “strategie di accaparramento elettorale” appare come una forzatura polemica.
Le politiche linguistiche non sono, per loro natura, neutrali; ma è proprio per questo che devono essere valutate sulla base di evidenze empiriche, e non sulla base di sospetti ideologici. Delegittimare un movimento civico ampio, radicato nei territori e composto da parlanti nativi, insegnanti, genitori e studenti, riducendolo a un’operazione elettorale, non contribuisce a un dibattito costruttivo. Va sottolineato che i promotori di questa proposta legislativa non sono un partito politico, né un gruppo folkloristico: si tratta di un movimento popolare, contemporaneo, con competenze specifiche e interlocuzioni costanti con studiosi, docenti e attivisti di altre regioni europee. Il riconoscimento istituzionale di una lingua non è un atto ideologico, ma una misura di giustizia linguistica.
3. L’investimento nella lingua non è un costo superfluo, ma una responsabilità pubblica
Sostenere che l’introduzione del siciliano nella scuola comporterebbe un onere eccessivo per le “spese fragili della Regione” ignora il quadro normativo esistente. La Legge 482/1999 prevede specifici fondi nazionali per le lingue minoritarie, fondi già utilizzati da altre regioni italiane per il friulano, il sardo, il ladino, l’occitano. Il siciliano, pur essendo una delle lingue romanze più vitali e dotate di una produzione letteraria millenaria, non ha ancora ricevuto pari dignità istituzionale. L’argomento economico, in questo caso, non è solo fragile: è anche miope. L’abbandono linguistico ha costi elevati in termini di identità, coesione sociale, appartenenza. Investire nella trasmissione ordinata e consapevole del patrimonio linguistico non è un lusso, ma un dovere delle istituzioni democratiche.
4. Il progetto non impone uno standard unico, ma valorizza la pluralità
Una delle critiche più ricorrenti riguarda il presunto rischio di standardizzazione e perdita della ricchezza linguistica interna al siciliano. Anche questo è un equivoco: il modello proposto adotta un approccio elastico, polinomico, già collaudato in molte realtà con forte variazione diatopica interna. Non si propone una varietà unica e prescrittiva, ma una scrittura funzionale e adattabile, capace di rappresentare efficacemente il siciliano nei contesti formali, nel rispetto delle varianti locali. Non si tratta di “imporre una lingua”, ma di offrire strumenti. Una lingua che non si può scrivere non si può difendere. E negare strumenti ai parlanti equivale, di fatto, a negar loro diritti.
5. La pianificazione linguistica è un campo consolidato, non un’utopia
L’opposizione sistematica alla pianificazione linguistica moderna, osservabile in una parte del mondo accademico siciliano, si fonda su una visione datata e isolazionista. La pianificazione linguistica non è un’invenzione contemporanea né una deriva ideologica: è una disciplina con solide basi teoriche e applicazioni pratiche da oltre cinquant’anni, riconosciuta a livello europeo e applicata in tutti i contesti multilingui avanzati. Negarne la validità, o ignorarne l’esistenza, significa isolarsi dal dibattito internazionale e privare la Sicilia di strumenti fondamentali per gestire il proprio patrimonio linguistico in modo consapevole, razionale, partecipato. Invece, insieme con la competenza del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, la normalizzazione del siciliano si potrebbe svolgere con il massimo rigore accademico e con i risultati migliori per la promozione e la propagazione della lingua nelle generazioni successive, evitando un siciliano “forgiato sull’italiano”. Per questo cerchiamo la collaborazione, non la concorrenza.
6. Le comunità parlanti chiedono strumenti, non musei
È importante ribadire che la spinta per l’introduzione del siciliano a scuola non proviene da un’élite culturale isolata, ma da una base ampia di parlanti che quotidianamente usano il siciliano nei contesti più diversi. La richiesta non è quella di trasformare la scuola in un laboratorio etnografico, ma di riconoscere dignità a una lingua storicamente discriminata, e di dotarla degli strumenti per vivere nel presente. Le comunità linguistiche non accettano più di essere oggetto di studio, ma chiedono di essere soggetti di diritti. Questo è il senso più profondo del movimento attuale: un passaggio da una condizione passiva a una rivendicazione attiva, consapevole, fondata e – soprattutto – democratica.
Già 18 comuni hanno firmato il Manifesto per la lingua siciliana, chiedendo che il siciliano venga riconosciuto come lingua co-ufficiale della regione insieme all’italiano e che la nostra lingua sia tutelata come le altre lingue moderne d’Europa. È possibile vedere il testo completo del manifesto e leggere di più sul progetto sul sito cademiasiciliana.org.
Cademia Siciliana
Nell’immagine, mappa dei Comuni che hanno approvato il Manifesto finora. Una versione aggiornata è disponibile sul sito.
Cultura
Tra spezie, musica tunisina e danzatrici del ventre: Marina Cous Cous conquista tutti, nel segno del Mediterraneo

Profumi di spezie, suoni che arrivano dal Maghreb, danze che raccontano storie antiche: Marina di Ragusa per tre giorni è diventata il cuore pulsante del Mediterraneo grazie alla prima edizione di Marina Cous Cous – Sagra del Couscous Mediterraneo, che si è conclusa ieri sera tra grande partecipazione e applausi.
Il cous cous è stato il vero protagonista della manifestazione. In tantissimi hanno fatto la fila agli stand per gustarlo nelle tre versioni proposte: alle verdure, nella variante più semplice e antica; al pesce, amatissimo soprattutto nella declinazione siciliana; e alla carne, tipica delle cerimonie tunisine. A servire i piatti c’erano i volontari dell’associazione interculturale “Uniti senza frontiere”, che con il loro impegno hanno reso concreto il messaggio della rassegna: il cibo come occasione di incontro e condivisione.
La serata finale ha avuto un sapore particolarmente mediterraneo, grazie alle musiche tunisine del Ramzi Harrabi Ensemble e alle danzatrici del ventre che hanno coinvolto il pubblico con i loro balli, trasformando la Rotonda in un piccolo teatro a cielo aperto. Nei giorni precedenti, il festival aveva già regalato momenti di grande coinvolgimento con i concerti della Good Time Band e del gruppo folk I Beddi, ma anche con cooking show e laboratori per bambini che hanno permesso di scoprire il cous cous attraverso i cinque sensi, guidati da chef e food blogger come Luigi Geraci, Andrea Giannone, Fethia Bouhajeb, Salvina Scottino e Luisa Marabita.
Non è mancata nemmeno l’attenzione alla solidarietà: il cibo rimasto in esubero è stato donato all’associazione Mecca Melchita, che si occupa di sostegno alle famiglie più bisognose. Un gesto che ha chiuso idealmente il cerchio di un’iniziativa nata proprio all’insegna della condivisione.
Il bilancio è positivo: pubblico numeroso, stand sempre animati e un’atmosfera di festa che ha fatto da cornice all’intero fine settimana. La sagra è stata organizzata dall’Associazione Sicilia Event, con la direzione artistica di Marco Guastella, il patrocinio del Comune di Ragusa, la collaborazione della Pro Loco Mazzarelli e di Liolà, e la direzione food affidata a Barbara Conti. Fondamentale il sostegno degli sponsor e partner che hanno creduto nell’iniziativa: Fidagel, Despar Sicilia, Sicibia e 350 Grammi Showroom.
Cultura
“Antiche voci di Pantelleria” di Angelina Rodo: presentazione 29 agosto in Sala Consiliare

Presentazione del libro “Antiche voci di Pantelleria” di Angelina Rodo
Venerdì 29 agosto – ore 19:00
Comune di Pantelleria – Sala Consiliare
Un appuntamento speciale dedicato alla memoria e all’identità linguistica della nostra isola.
Il volume “Antiche voci di Pantelleria” di Angelina Rodo raccoglie vocaboli, grammatica, espressioni e origini del dialetto pantesco, restituendogli dignità e valore come documento storico e culturale.
Nato dal desiderio di conservare e tramandare alle nuove generazioni un patrimonio a rischio di oblio, il libro non è soltanto un elenco di parole: è uno studio attento delle radici etimologiche, delle differenze tra contrade, delle inflessioni dovute a età, ambiente e storia, fino a toccare le influenze arabe e le peculiarità uniche del parlato pantesco.
Durante la presentazione avrò il piacere di dialogare con l’autrice per accompagnarvi in questo viaggio nella lingua e nell’anima dell’isola.
Ingresso libero.
Un’occasione preziosa per chi ama Pantelleria e vuole riscoprirne la voce più autentica.
Cultura
Pantelleria riscopre il sacro: grande successo per Gibele, il Monte degli Dei

Sala gremita per il secondo incontro del ciclo Pantelleria Segreta. Discussa l’origine fenicia del nome e i legami con divinità come Tanit, Iside e Cibele
Pantelleria ha risposto con entusiasmo al secondo appuntamento del ciclo Pantelleria Segreta, organizzato dal Centro Studi e Ricerche Arco di Apollo. La conferenza dedicata al Monte Gibele, cuore simbolico e spirituale dell’isola, ha registrato un’affluenza oltre ogni aspettativa: i posti a sedere non sono stati sufficienti e diversi partecipanti hanno scelto di assistere seduti a terra, pur di non mancare.
Durante l’incontro sono state esplorate ipotesi innovative e suggestive:
- l’origine fenicia del nome Gibele, con radici anteriori al periodo arabo;
- la sua collocazione nelle mappe del sacro e nei racconti di teofania;
- i legami con figure divine femminili come Tanit e Iside, fino al sincretismo con Baalat Gebal e Cibele;
- i fenomeni non ordinari che, ancora oggi, si manifestano sul cratere, rafforzando l’idea di Gibele come “monte degli dèi”.
«Pantelleria non è solo un’isola vulcanica: è un luogo di iniziazione, un tempio a cielo aperto. Con questi incontri stiamo restituendo voce a memorie sepolte da secoli» ha dichiarato Elìa Fiumefreddo, fondatore del CSR Arco di Apollo.
Il successo è stato accompagnato anche da critiche – fisiologiche e attese quando si affrontano temi così profondi – che confermano la necessità di continuare a stimolare il dibattito e ad attirare l’attenzione anche di esperti e studiosi.
Prossimo appuntamento
Il ciclo Pantelleria Segreta proseguirà con:
“Il Sese e il Villaggio del Dio Dormiente”, un’indagine tra mito e archeologia che ricostruirà il valore sacrale del sito, mettendolo in dialogo con le culture del Mediterraneo e offrendo nuove chiavi di lettura sul ruolo di Pantelleria come centro sacro e non periferia marginale.
Data e dettagli saranno annunciati a breve.
Ringraziamenti: il CSR Arco di Apollo ringrazia Le Alcove di van der Grinten – Spaces for the Urban Arts per l’ospitalità e Capitan Ficus della barca Margherita per il contributo alla realizzazione dell’incontro.
Con Pantelleria Segreta l’obiettivo non è solo divulgare, ma riaccendere una memoria sacra, restituendo all’isola il posto che le spetta nelle grandi mappe del mito e della storia.
Info: WhatsApp 371 1278468
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