Cultura
L’antico fascino del “friscaletto” o “frischittulu”, strumento della tradizione siciliana
Liggenna d”u “Friscalettu” (Canto): Picurareddu ch’mmucca mi teni – jeu sugnu figghia di Re Cavaleri – e pi pigghiari na pinna di cù me frati Peppi tradituri fù Maestà, maestà – granni prudigiu mi capitò – Maestà, Maestà – pruvati vui, vostra figghia turnò A tia Patri ca’ mmucca mi teni – jeu fu’ghittata ‘nta l’acqui sereni – pi a tia purtari ‘na pinna di cù me frati Peppi lu tradituri fù
Grazie alla passione per la storia dell’amabile amico, l’architetto Luciano Tummino, vi propongo una delle ultime eccellenze del quartiere di S. Paolo di Ibla, lu Zu Paolo di Camascia, artista del legno e valente musicista. Siamo andati di buon’ora una domenica mattina di luglio a trovare l’ultimo suonatore di friscaletto , lo strumento che si era costruito da solo (io sin da piccolo lo sentivo chiamare “Frischittulu”).
Trovammo già lu Zu Paolo seduto davanti alla sua terrazza ben soleggiata ma riparata da una ombrosa vite americana che si intrecciava in un pergolato di legno bianchissimo… dopo le consuete frasi di saluto l’architetto Luciano mi presentò al Maestro di Friscaletto e insieme gli proponemmo di dirci qualcosa sulle tecniche dello strumento e le fasi per suonarlo bene… Il Maestro rispose senza indugiare che: “Tecniche esecutive particolari non ce ne sono. Posso dire che il friscaletto, se vuoi impararlo, lo devi considerare come un qualsiasi altro strumento che si studia in Conservatorio o in una qualsiasi scuola di musica. Uno studio giornaliero e costante dello strumento, frutto di una forma mentis che mi sono creato negli anni studiando il sassofono mi ha confermato che solo il tempo darà i risultati. E molto probabilmente anche il modo di suonare e il suono che sono riuscito ad ottenere, secondo chi mi conosce, sia dovuto alla formazione musicale da cui provengo. Come tutti gli aerofoni, bisogna prima di tutto imparare a soffiare nel modo corretto. poi sarà lo studio, e solo lo studio, a facilitare il percorso di ognuno”. Capii subito che il Maestro non era un semplice suonatore di Friscaletto amatoriale ma un vero musicista, esperto con una preparazione indiscussa su tutto ciò che riguardava lo strumento da lui virtuosamente creato e suonato.
Il Maestro dopo queste primo approccio sulle tecniche approfondì la tematica…
Friscalettu, uno strumento antico che ancora oggi allieta le feste e lo legano alla terra siciliana, affonda le sue origini nel mito e su questo si tramandano curiose storie. “Non ci sono feste senza musica, canti e danze; i ballerini girano ognuno per proprio conto con grazia e dignità (…); di solito queste danze sono accompagnate da flauti, cennamelle ed altri strumenti a fiato.” Così scrive Hélène Tuzet, riportando le note di viaggio in Barteìs. Ancora Alexandre Dumas, in viaggio in Sicilia nella prima metà dell’Ottocento, ci lascia una puntuale e briosa cronaca di una festa tradizionale, quella celebrata sulle rive del lago di Ganzirri per onorare il patrono locale S. Nicola, dove un ruolo musicale di primissimo piano è riservato al flauto: “Si danza da soli, in due, in quattro, in otto ed in un numero indefinito di partecipanti e come si vuole, un uomo con un altro, una donna con un’altra (…). Per quanto concerneva la musica che metteva in movimento tutta quella gente non era, come da noi, riunita in un solo punto, ma era disseminata sulle rive del lago; l’orchestra si componeva di due soli musicisti, uno suonava il flauto e l’altro una specie di mandolino”.
Queste alcune testimonianze nella letteratura o nei resoconti dei viaggiatori stranieri, che ci ricordano come nei contesti festivi della cultura siciliana, assumeva ed assume tutt’oggi un ruolo di fondamentale importanza u friscalettu, (tradotto “fischietto”, uno strumento rustico di canna, simile ad un piccolo flauto).
A differenza di altri strumenti, come il violino, richiestissimo prima nei contesti di festa popolare, il flauto sopravvive ai profondi mutamenti che investono il tessuto socioculturale contadino e pastorale nei primi decenni del nostro secolo, adattandosi alle mutate esigenze musicali delle classi popolari, nonché al nuovo repertorio di ballabili e conserva allo stesso tempo alcune sue prerogative e funzioni esclusive di strumento pastorale. Il legame con il territorio Ibleo… Tra le storie, che legano lo strumento alla terra siciliana, ce n’è una che lo lega al passaggio nel territorio Ibleo del pastore Aristeo, che addomesticava le api col suono del suo flauto. La leggenda vuole che questo mitico pastore abbia insegnato al popolo del re Hyblon due cose: l’apicoltura razionale, tradizione ancora oggi ben viva nel territorio, e l’uso del flauto, che in dialetto siciliano appunto diviene u friscalettu. Ancora si narra di un re, che aveva due figli, un maschio ed una femmina, un giorno chiese loro di portargli una penna di pru (un uccello particolare). I due si misero in cammino. Fu la donna a trovare per prima la penna, poi il fratello. quest’ultimo ingelosito, sulla strada del ritorno, durante una sosta nei pressi di un fiume, spinse la sorella in acqua, facendola annegare. La sorte volle che a distanza di non poco tempo passasse di lì un pastore. L’uomo, strappata la canna più grossa tra quelle che crescevano sulla riva, decise di ricavarne un flauto (u friscalettu appunto).
Quando il flauto fu pronto, il pastore si apprestò a suonarlo; portò lo strumento alle labbra, ne uscì un canto lento e malinconico che richiamò lo spirito della fanciulla, vagante nel luogo e, con stupore e meraviglia, lo strumento parlò: “Picurareddu chi ‘mmucca mi teni iu sugnu figghia di Re cavaleri e pi pigghiari la pinna di pru me frati Peppi lu scelleratu fu”. (Pecoraro che in bocca mi tieni, io sono la figlia del re…e per prendere la penna di pru…mio fratello Peppe lo scellerato fu…)
Il pastore, stupito ed atterrito, provò di nuovo, ottenendo sempre la stessa risposta. Così, montato in sella decise di andare dal re. Quando fu alla sua presenza raccontò con eccitazione l’avvenuto. Il re credette al racconto e volle provare a sua volta. Preso in mano lo strumento, iniziò a suonarlo, ma appena le prime note si diffusero nell’aria, furono nuovamente accompagnate dalle parole e si sentì: “patruzzu mio chi ‘mmanu mi teni iu fui iccata nall’acqua e pi pigghiari la pinna di pru, me frati Peppi lu scilliratu fu!” (Padre mio, che in mano mi tieni, fui gettata in acqua per prendere la penna di pru, mio fratello Peppe scellerato fu!) Così il re seppe quello che era successo in riva al fiume e la triste fine di sua figlia, in tal modo la giovane trovò pace nello strumento.
Questa è la storia del “friscalettu”, la storia di una sfortunata principessa, il cui spirito sembra ancora oggi rivivere nell’allegria delle feste folcloristiche, in quelle feste, dove, grazie alle “orchestrine artigiane”, chitarra, mandolino, violino, organetto, fisarmonica, clarinetto e, più tardi, anche i flauti, insieme ai complessi bandistici, si è diffuso in ambito popolare, un vastissimo repertorio vocale e strumentale di matrice di cultura popolare, dalle romanze alle arie, dalle tarantelle di impianto rigidamente tonale alle danze di ampia circolazione internazionale come il valzer, la mazurca, la quadriglia, la polka e lo scottish, tutte quelle forme musicali che da sempre la tradizione ci ha tramandato.
Beh…! dopo tanto parlare il Maestro uscì da un astuccio il suo decantato Friscaletto con una premessa inaspettata… Quante volte vi avranno spiegato il segreto della felicità; “lasciate andare il flusso caotico dei pensieri che perennemente oscillano tra passato e futuro e vivete consapevolmente nel presente, momento per momento, ora ascoltatemi e pensate ai tempi della vostra fanciullezza… ritornerete per un attimo ad essere felici”. L’esibizione e il testo del brano eseguito Il Maestro suonò Il brano “L’amuri sicilianu” magistralmente con un’abilità e sentimento che riuscì per un attimo a riportarci indietro nel tempo… in una Sicilia arcaica e genuina. Vennero attirati dalla musica dei ragazzi del quartiere suscitando in me una forte emozione… pensai che quando si è veramente bravi in qualsiasi campo… tutti si viene rapiti da tale eccellenza… Il Maestro quando finì di suonare fu acclamato da noi e da tutti i ragazzi in modo schietto e spontaneo… Il Testo per curiosità mia lo volli trascrivere sulla mia agenda, per ricordare negli anni futuri questo giorno particolare e con grande trasporto emotivo ve lo trascrivo…
Il Testo L’amuri sicilianu, – l’amuri sicilianu, – ca metti tantu arduri ‘nta lu cori. L’amuri sicilianu, – l’amuri sicilianu – l’Etna lu focu si pigghiò… Li notti a Taormina sunu duci, – lu cielu è tuttu stiddi arraccamatu, l’amuri sicilianu a tutti piaci – picchì è fattu di sincerità!… L’amuti sicilianu, – l’amuri sicilianu, – ca metti tantu arduri ‘nta lu cori.
L’amuri sicilianu, – l’amuri sicilianu – di l’Etna lu focu si pigghiò.. L’amuri è tuttu ccà… – Viniti di luntanu furasteri – ca l’amuri ccà si fà… Sicilia si la terra di lu suli – tu si la gioia di li ‘nnamurati – ca venunu di tutti li paise volunu ristari sempri ccà… L’amuri sboccia ‘mmenzu li giardini, – di zagara d’aranci e mannarini… Salutammo il Maestro e ci avviammo per il ritorno carichi di emozioni e riconoscenza…
Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi
Cultura
Pantelleria, per i Morti il Vespa Club in tour nei suggestivi cimiteri dell’isola
In occasione della giornata dedicata ai defunti il Vespa Club Pantelleria si presenta in formazione ridotta per visitare i 3 cimiteri isolani iniziando alle 8.30 da quello di Pantelleria centro , poi giunti a quello di Khamma dove hanno partecipato alla Santa Messa, da lì si sono diretti a quello di Scauri dove hanno concluso la mattinata.
Come sempre, le escursioni dei nostri vespisti sono momento di attrazione, per i colori dei mezzi che sfrecciano, per l’atmosfera leggera che aleggia intorno a ciascuno di loro come un’aurea benefica. Abbiamo sentito il Presidente del Club di Pantelleria, Giovanni Pavia, per chiedergli di fare il punto della compagine dopo questa giornata tra i suggestivi cimiteri dell’isola.

Presidente ma come mai così pochi vespisti oggi siete in organico ristretto? “Eh si purtroppo e per fortuna di alcuni soci continua la raccolta delle olive , altri influenzati ed altri impegnati con il lavoro , cmq l’importante è essere presenti e portare avanti la nostra passione.”
Quando si chiuderà il campionato vespistico del 2025? “Abbiamo ancora due giornate la prossima domenica, il 16 novembre sempre se il tempo lo permette oppure si posticipa alla domenica successiva.”
Vuole anticiparci la classifica dei soci adulti e dei minori? “Ma guardi preferisco di no , cmq posso dirvi che quest’anno sarà un po’ diversa dagli anni precedenti , abbiamo una classifica bella di soci che hanno meritato il risultato fino a ora ottenuto, tantissimi saranno i premi di partecipazione per i vari eventi svolti oltre il campionato che vedrà vincitori i primi 10 soci in classifica adulti e altrettanti soci minorenni o Accompagnatori minorenni.
“Vi terremo cmq informati , al momento auguro a tutti una felice domenica.

Ambiente
Pantelleria, vendemmia 2025: i risultati tra siccità pregressa e peronospera
Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano
Ogni anno teniamo sott’occhio quella che una eccellenza indiscussa di Pantelleria: la viticultura.
Grazie a questa pratica di agricoltura decisamente eroica anche ai nostri tempi, l’isola ha conquistato uno spazio nei patrimoni dell’umanità, per cui l‘UNESCO ha conferito, lo ricordiamo, il riconoscimento proprio per la vite ad alberello.
Quest’anno abbiamo voluto fare un approfondimento, con una intervista, viste le recenti problematiche ambientali. Abbiamo contattato, all’uopo, Giovanni Bonomo, agricoltore eroico soprattutto per la passione che mette nel suo lavoro. Solerte, studioso, conosce i nomi latini di tutti o buona parte i parassiti che aggrediscono la vite, ma anche i capperi e altre colture importanti nella nostra economia. Con quel suo fare un pò romantico e un pò nostalgico, si sofferma ad analizzare soluzioni possibili per arginare problematiche simili, anche in modo sostenibile, si veda la conferenza che si terrà il 13 novembre prossimo e di cui parleremo in questo articolo.
E così, esordiamo: Signor Bonomo, com’è andata la vendemmia di quest’anno? “Partiamo dalla siccità dell’anno scorso che ha portato una certa sofferenza alle piante. Quest’anno invece è piovuto circa 600 mm, quindi un po’ d’acqua è entrata nel terreno, però le piante venivano da un periodo di indebolimento, in cui la vendemmia è stata pessima.
Quest’anno però le viti, queste viti che hanno piantato i nostri antenati, che le hanno scelte fondamentalmente molti migliaia di anni fa, potendo risalire sino ai fenici, perchè lo zibibbo arriva a Pantelleria con i fenici, hanno avuto un buon ristoro grazie appunto all’azione della pioggia. Seppur non sia stata abbastanza generosa.
Ma ciò che ha afflitto quest’anno le piante è stata la peronospera che ha inflitto loro un effetto di “bruciatura”.
Vuole spiegare a chi non è del settore cos’è la peronospera? “La peronospera, è un parassita, venuto dall’America, come anche lo Oidio, che in Italia si chiama malaria. Esso si riproduce, si replica, e alla fine le foglie tenere e i grappoli teneri che vengono colpite restano come “bruciate”. L’intera isola ha sofferto di questo “attacco”.
Siamo a novembre, la vendemmia ormai è arrivata quasi al termine. A Pantelleria si fanno più raccolti, ce li vuole spiegare? “Sì, oramai l’abbiamo terminata. La prima raccolta si fa all’incirca ad agosto, nelle zone troppo veloci, partendo dalla scogliera con le uve primizie.
Queste primizie, una volta partivano per fare le cosiddette gabbiette ed essere distribuite come uva da tavola. Fatta questa prima raccolta, via via si risale di quota.”
Quali sono i vitigni della tradizione pantesca? “In gran parte è lo zibibbo, poi i panteschi avevano, un tempo per uso personale, il catarrato, il nero nostrale l’insolia, il garignano e altri vitigni secondari. Però ripeto, una volta questi coltivati per uso personale, l’uva che andava alla vendita era lo zibibbo.
“Questo perchè, in genere, l’agricoltore pantesco non gradisce tanto lo zibibbo, specie il vino dalla prima raccolta che sa essere stucchevole.
“Ma, negli ultimi decenni, sono cominciati ad arrivare i Merlot, i Cabernet, i Shiraz e via discorrendo così.”
Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano
La vendemmia di quest’anno ha prodotto un quantitativo e un qualitativo che ci (6:40) lascia soddisfatti? “Come quantitativo si potrebbe fare un po’ di più, se non venissimo da un anno molto arido, come qualità è molto buono. L’uva passa appassisce sempre a quel livello là, quindi poi sono sia i viticoltori con la loro cura, sia gli enologi che fanno dei grandi vini.
Questo quando non piove proprio quando è durante la vendemmia, perchè va a peggiorarsi la qualità dell’uva. Questo, per fortuna non si è verificato in questa annata.
Ho parlato ieri con l’Antonio D’Aietti l’enologo, forse il principale professionista dell’isola, e lui mi ha detto che stanno guardando gli ultimi arrivi delle varie particelle, delle varie produzioni: siamo sui un 22 mila, si potrebbe arrivare a 24-25 mila quintali.”

Tra qualche giorno si darà via a un corso formativo all’avanguardia, che vuole esporre l’isola ad uno step nel progresso dal punto di vista dei trattamenti. Organizzato dal Centro Giamporcaro e nato da una sua idea, cosa può anticiparci? “L’Università di Palermo ci ha indicato questo formatore, il prof. Luigi Rotondo. Il corso si terrà dal 13 al 16 ottobre e durerà 14 ore, distribuite in tre pomeriggi e una mattinata, cercando di conciliare l’orario con le esigenze degli agricoltori, che di solito lavorano sempre e non hanno mai tempo di fare i corsi.
L’idea è di chiarirci le idee sulla peronospora e altri parassiti, formando i lavoratori del settore anche con l’autoproduzione di alcuni preparati, per cercare anche di ridurre l’impatto chimico sulle coltivazioni, che poi la parte anche li mangiamo noi.”
“L’argomento è molto grande, rispetto anche a come si mantengono i terreni, tenendo presente pure l’età delle persone, i mezzi che hanno a disposizione, i guadagni.”
Abbiamo notato che questo corso è considerato talmente valido, che il centro Giamporcaro ha radunato parecchi sostenitori: oltre Comune e Parco Nazionale, il Consorzio Vini Doc, le cantine Pellegrino, Emanuela Bonomo e Donnafugata. Poi Fertigess e Stelmond Bio, ma anche l’Autonoleggio Policardo, seppur non sia del settore. “Infatti, già durante una riunione dello scorso marzo abbiamo invitato diverse aziende, le più importanti hanno risposto, quindi Donna Fugata, Pellegrino, adesso è arrivata anche Emanuela Bonomo. Abbiamo anche come sponsor il Noleggio Policardo che è sempre molto sensibile ad appoggiare iniziative per il territorio. Tutta questa gente ha creduto in questo progetto presentato dal Giamporcaro, con il suo presidente Anna Rita Gabriele. Il Giamporcaro dura da 30 anni con un grande lavoro alle spalle: è uno dei maggiori soggetti attivi dal punto di vista sociale, culturale, il tutto, essendo una associazione no profit lo fa gratuitamente per la comunità di Pantelleria.”
Cultura
Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura
Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.
Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.
Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.
In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.
Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.
Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?
Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura aziende che lo producono con 10 aggiunte.
A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.
Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.
Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.
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