Cultura
La Pasqua in Sicilia tra tradizioni e ricordi
Puisia ri Pasqua
“Lu Lunniri si cianci pi tutta la simana –
lu Martiri accumenzunu li lutti
lu Mercuri si fa la Quarantana –
Joviri si firrianu li Sipulcri
lu Venniri ri lignu la campana –
lu Sabbatu Maria ni ciama a tutti
Ruminica Gesuzzu n’Celu p’acciana –
pi sarvarni re peni e ri li curpi”.
Le festività pasquali sono molto sentite in Sicilia e sono davvero tantissime le manifestazioni sacre che nei giorni di festa animano le strade delle grandi città e dei piccoli paesi. La Pasqua è la ricorrenza che, fin dai tempi più antichi e più di ogni altra, ha suscitato in tutto il territorio dell’isola un’intensa partecipazione popolare. Nella Settimana Santa è un susseguirsi di rappresentazioni e processioni che hanno come intento quello della rievocazione e commemorazione della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo.
I cortei che si snodano per le vie delle città sono formati da confraternite di arti e mestieri nei loro caratteristici costumi e seguiti dal clero con i paramenti quaresimali, nonché da simulacri di Gesù morto, della Madre sua in dolore e dagli altri personaggi che contornano la Passione di Cristo. Spesso però queste rappresentazioni sono impersonate dai fedeli che raffigurano con grande pathos i tristi momenti del Calvario di Gesù. La presenza emotiva dei fedeli è talmente forte che i sentimenti di dolore, per la Morte prima e per la gioia della Resurrezione del Redentore poi, appaiono autentici momenti di teatralità. Forte è la simbologia che connota e caratterizza la Settimana Santa sia a livello decorativo degli scenari per la presenza di elementi rituali quali il grano, il pane, il colore viola dei paramenti, i fiori ed altro che a livello metaforico, in quanto si vuole che la Pasqua, che cade sempre in Primavera, rappresenti il risveglio della Natura dopo il letargo invernale, e quindi la rinascita della Vita ed il trionfo del Bene sul Male.
Tra gli antichi sapori della Pasqua
Il pranzo di Pasqua in Sicilia è un inno alla tradizione. Sulle tavole dei Siciliani non mancano i ricchi piatti della tradizionale cucina siciliana che celebrano la fine della Quaresima. Così come in tutte le province siciliane anche la Cucina tipica Ragusana è caratterizzata da vari piatti tipici. Il Menù di Pasqua e della cucina Ragusana è un vero trionfo di sapori: dalle “scacce” alle “ ‘mpanate” di agnello o pollo, dalla “Nfigghiulata” di ricotta ai “Turciniuna” fino ad arrivare ai dolci dove primeggiano quelli con la ricotta vaccina come le Cassate Pasquali e il classico cannolo di ricotta. Sul piano gastronomico la Pasqua viene commemorata con una serie di preparazioni rievocative della ricorrenza.
La pasticceria è arricchita dalla produzione di pecorelle di pasta reale così come di pasta reale sono i frutti coloratissimi che le contornano. Ed ancora le “cuddure o aucieddi cu l’ova” una sorta di grande biscotto (a volte a forma di uccello) in cui vengono incastonate una o più uova. Nel territorio messinese è stata riscoperta e riproposta la ricetta dell’antico dolce di Valdina, “la ciauna”, dal gusto unico e delicato. Ed infine la pignolata e la cassata, tipici e rinomati dolci siciliani ormai noti in tutto il mondo. Le “Mpanate” di carne Ragusane Impanate di carne, un altro ricordo della cucina di casa mia. Piatto tipico di Pasqua nella zona di Ragusa. Oggi si preparano anche in altre occasioni. Solitamente venivano fatte con la carne di agnello ma adesso vengono preparate anche con la carne di tacchino o di pollo.
La Ricetta della Nonna Marianna
per le “Mpanate” ragusane Ingredienti: 650 gr. carne d’agnello tagliata a tocchetti con o senza ossa sale 12 gr. pepe nero due foglie d’aglio verde tritate, prezzemolo Procedimento: Condire la carne d’agnello la sera prima affinché continui a frollare e gli ingredienti si malghino tra loro L’impasto viene preparato come per le focacce, basta solo aggiungere della sugna (strutto) per rendere più friabile la pasta, (una noce di strutto per ogni kg. di farina); sul panetto confezionato, come per le focacce, prima di porlo a lievitare, viene praticata con il dorso del coltello una lieve pressione, in modo da ottenere un solco a collare, non molto profondo, che divida il panetto in due parti. Una volta lievitato, il panetto viene diviso in due parti, una parte viene stirata per fare da fondo e l’altra viene stirata per fare da coperchio all’mpanata. Sulla parte inferiore si pone la carne condita e con la parte superiore della pasta si copre; i margini vengono saldati con una leggera pressione delle dita; si creerà un cordoncino intrecciato a spirale (“u rieficu”) che servirà a chiudere l’impanata. La superficie della pasta viene oliata e bucherellata con una forchetta per permettere la traspirazione durante la cottura in forno (per circa un’ora) … e magicamente la “Mpanata” è fatta, pronta per essere degustata. Un Tour per le Città ricche di usi e tradizioni nel periodo pasquale
Agrigento
A Licata è molto sentita la Festa dell’Addolorata: il Venerdì Santo un corteo di fedeli e bambine vestite come sante segue la statua dell’Addolorata, che termina con la degustazione delle tradizionali muffulette.
Aragona si popola di grandi fantocci raffiguranti San Pietro e Paolo, che la domenica di Pasqua sfilano in parata adornati da nastri e primizie. A San Biagio Platani si allestiscono grandi archi composti da pani glassati e frutta, sorretti da una complessa impalcatura fatta di canne: questi archi sono lo scenario dell’incontro tra la Madonna e il Cristo per il giorno della Resurrezione.
Caltanissetta
La Settimana Santa di Caltanissetta è celebre in tutto il mondo: è gemellata con quella di Siviglia e le sue celebrazioni durano dal martedì alla domenica. Celebre la sfilata della Real Maestranza, che raggruppa le maestranze locali ed ogni anno è guidata da un Capitano, scelto tra le varie maestranze. Il Giovedì Santo sfilano le “Vare”, gruppi sacri realizzati in cartapesta che raffigurano le stazioni della via crucis, e che sfilano in centro città accompagnati da congregazioni e da un fiume di fedeli. Altrettanto famosa è la processione del Cristo Nero che sfila il Venerdì Santo tra le vie del centro storico: la statua del Cristo, di un colore tipicamente scuro, è accompagnata dalle “laudate”, canti tradizionali intonati dai fogliamari, custodi di un patrimonio folcloristico che affonda le sue origini in un tempo remoto. Un’altra processione di enormi fantocci è quella che si svolge a San Cataldo: i Sampauluna, grandi personaggi mossi da operatori, sfilano in processione per festeggiare la notizia della Resurrezione di Cristo.
Catania
Adrano mette in scena l’incontro tra Cristo risorto e la Madonna nel giorno di Pasqua. A portare scompiglio “i Diavulazzi ‘i Pasqua”, simulacri che raffigurano Lucifero e i diavoli che tentano in tutti i modi di non far avvenire l’incontro. Una tradizione questa che ha origine nel ‘700. Solo l’intervento dell’Arcangelo Michele impedirà che i diavoli abbiano la meglio. A Bronte si svolge la tradizionale visita ai sepolcri: altari decorati con primizie e addobbi floreali, che sono anche i decori dei fercoli che sfilano in processione.
Enna
Il Venerdì Santo sfilano per le strade centinaia di confratelli incappucciati che portano in processione su cuscini e vassoi gli strumenti della passione. Apre il corteo la Confraternita della Passione. La sfilata si svolge in un particolare silenzio che rende l’evento molto suggestivo. Pietraperzia: celebre è “U Signuri di li fasci”, un altro rito del venerdì santo che vede la statua di Gesù Cristo poggiata su una trave di cipresso portata a spalla da 80 fedeli. Alla trave di legno sono annodate circa 200 fasce di lino bianco lunghe 33 metri, come gli anni di Cristo, che appartengono ai devoti. Il fercolo sfila per le vie cittadine tutta la notte e ogni devoto proprietario di una fascia la tiene stretta tra le mani per tutta la processione.
Palermo
Anche a Palermo si fa visita ai sepolcri: la sera del Venerdì Santo gli altari delle chiese, adornati di
fiori e preziosi ex voto, ricevono un fiume di gente che percorre il proprio itinerario di fede la sera.
Una commistione di culture quella di Piana degli Albanesi, dove le liturgie pasquali sono officiate in
greco e in albanese seguendo il rito bizantino. Le giovani donne del paese sfilano per le strade
indossando splendidi abiti tradizionali ricamati con fili d’oro, che fanno parte del loro corredo
nuziale.
Anche a Prizzi va in scena “l’abballu di li diauli”: le strade arroccate sulla montagna si colorano di
diavoli di tutte le età vestiti con costumi rossi, pelli di capra e mascheroni. I diavoli seguono la
Morte, vestita di giallo e con una balestra in mano, che provoca confusione tra la folla e cerca di
evitare l’incontro tra Cristo risorto e la Madonna. Tutto accompagnato dai balli e dalla musica dei
diavoli e delle bande.
Ragusa Ibla
Ragusa Ibla si riempie di statue esposte dalle rispettive confraternite, mentre le luci delle chiese, il Venerdì Santo, restano spente per osservare un rispettoso silenzio. A Ispica si svolge una processione molto sentita: la via Crucis inizia alle 2:00 del mattino e sfila in processione la statua della Madonna. Si dice che in questa “vara” sia custodito un frammento della vera croce del Cristo, che i fedeli omaggiano di ex voto di cera.
Siracusa
Noto possiede la Santa Spina che si dice sia una delle vere spine della corona di Gesù, portata qui nel XIII secolo da un frate francescano. La reliquia è portata in processione il Venerdì Santo. A Sortino la notte fra il giovedì e il Venerdì Santo si accende di piccoli falò di rami secchi di mandorlo e agrumi, detti “farati”. Questi fuochi vengono accesi via via che la statua del Cristo portato in processione percorre le strade del paese.
Trapani
Celebre la processione dei Misteri, una delle più antiche manifestazioni religiose della Sicilia. Questa processione dura per quasi ventiquattro ore, durante le quali i Misteri (gruppi sacri raffiguranti le stazioni della via crucis) sfilano per la città in un’atmosfera densa di emozione.
Le Veroniche sono le protagoniste del giovedì Santo di Marsala: giovani donne e bambine sfilano per le strade ornate di sontuosi gioielli e portano con loro offerte votive e vassoi di pane. In questo breve viaggio vi ho raccontato soltanto alcune delle spettacolari tradizioni che animano la Sicilia durante le festività pasquali: non resta che scegliere una provincia, preparare un bel pranzo a sacco e partire alla volta della tradizione più antica o quella che ci affascina di più…
Quella Pasqua del ’67
Nei giorni precedenti la festa a casa mia in via Ioppolo ad Ibla si notava un continuo andirivieni di donne affaccendate, sporche di farina, questo perché la mia famiglia aveva fatto costruire un forno a pietra dalla capienza di oltre 40Kg che spesso veniva usato anche dai nuclei familiari del “Curtigghiu” (Cortile) per la cottura del pane e non solo. Certo penserete che l’accensione del forno, quell’andare avanti e indietro poteva essere ricondotto ad una giornata come tante altre, invece no! L’aria più mite, gli odori diversi, che provenivano dalle stoppie bruciate per riscaldare il forno, erano insoliti. Il lavorio delle massaie iniziava un po’ prima dell’alba, il loro vociare era un dolce allarme che qualcosa di interessante stava per accadere, oltre ad essere il preludio per una grande festa rionale.
Il piccolo quartiere degli Archi in quei giorni si animava come non mai: canestre vuote uscivano dalle singole porte per poi farne rientro, dopo qualche ora inspiegabilmente coperte da una “pezza” fumante, dalla quale spuntavano forme tondeggianti dorate… erano le “Mpanate” (Impanate). Ecco, verso metà giornata, meraviglie uscivano da quella “bocca infuocata”; dal “Ucieddu” con le uova sode, alla cassata con ricotta, alla crostata con ricotta e pezzettini di cioccolato, fino alla mia preferita, una bomba di calorie, un “ammasso” di delizie, un tutt’uno di pasta, salsiccia, uova sode, formaggi vari e chi più ne ha più ne metta, la “pizza cina” (la pizza piena), un tripudio di odori, sapori e visioni uniche al mondo.
Ma fra tutti questi piccoli e indelebili segni che la Pasqua era vicina, uno, nefasto per me,
proveniva dalla TV. Negli anni ’60-‘70 il Venerdì Santo, per me che ero (e sono) un assiduo cultore
del tubo catodico, era un deciso colpo al cuore. All’epoca erano solo due i canali che si riuscivano a
vedere e su entrambi, così come lo era il 2 novembre, musica classica per l’intera giornata…
Ma, nonostante ciò, ricordo con sana nostalgia quella Pasqua del ’67, poiché la festa era per noi
ragazzi un’anticipazione importante: si avvicinava la fine della scuola, ponendo fine a quella che,
per molti di noi, giudicavano una forma di reclusione.
Infatti, per noi ragazzi di strada, la vera maestra di vita era lo scorrazzare per le viuzze e l’andare
nelle vicine vallate dell’Irminio o nelle “sciumare” (terreni adiacenti al fiume) completamente
padroni di noi stessi. Festa! Questa parola si sentiva ovunque, dal cortile spazzato e pulito, agli
uomini che vi sostavano con le camicie bianche fresche di bucato, le scarpe lucide per l’occasione
e si scambiavamo pareri e cortesie. Persino gli alberi a quel tempo sembravano più felici. I loro
fiori erano più splendenti, più vivi non soffrivano certo l’inquinamento di oggi. Ed ora? Cos’è la
Pasqua ora?
Si, forse andiamo ancora in chiesa. Non ci manca certo il pane, ma ci manca quello
spirito di solidarietà, di comprensione e di rispetto verso le cose e le persone. Abbiamo
trasformato il mondo. Ci obbligano a vivere come una continua corsa all’oro. È importante, per noi
tutti, ritrovare e risentire profumi e usanze che vanno sempre più perdendosi nel tempo, chi come
me ha vissuto quel periodo certamente capirà.
Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi
Cultura
Pantelleria, lavori di adeguamento, messa in sicurezza ed efficientamento energetico della palestra della Scuola Media “Dante Alighieri”
Alla cittadinanza, Il Sindaco comunica che l’Amministrazione comunale di Pantelleria ha portato a compimento l’iter amministrativo e progettuale necessario per il recupero e la piena rifunzionalizzazione della palestra della Scuola Media “Dante Alighieri”, struttura da tempo inagibile e fortemente attesa dalla comunità scolastica dell’isola. Il Sindaco comunica che l’intervento rientra in una più ampia strategia di riqualificazione dell’edilizia scolastica, con l’obiettivo prioritario di garantire sicurezza, accessibilità, sostenibilità energetica e qualità degli spazi destinati alle attività formative e sportive.
Il progetto prevede opere di adeguamento strutturale e funzionale, la messa in sicurezza dell’edificio, il miglioramento delle prestazioni energetiche attraverso l’installazione di impianti moderni e l’utilizzo di fonti rinnovabili, nonché il completo ripristino della fruibilità della palestra per studenti, associazioni sportive e iniziative collettive. Il Sindaco comunica che l’intervento consentirà di restituire alla cittadinanza una struttura fondamentale per la crescita educativa, sociale e sportiva dei giovani di Pantelleria, colmando una carenza che per anni ha inciso negativamente sull’offerta di spazi adeguati alle attività motorie.
L’Amministrazione è consapevole che l’esecuzione dei lavori potrà comportare disagi temporanei; tuttavia, il cronoprogramma è stato definito con l’obiettivo di contenere l’impatto sulle attività scolastiche, con una durata complessiva stimata in circa 14 settimane. L’Amministrazione continuerà a seguire con attenzione tutte le fasi successive, dall’affidamento dei lavori alla loro realizzazione, assicurando trasparenza, rispetto dei tempi e tutela dell’interesse pubblico. Pantelleria guarda avanti, investendo sulle scuole, sulla sicurezza e sul futuro delle nuove generazioni.
Cultura
Il violinista di Solarino Don Paolo Teodoro e le radici di una tradizione di due secoli
La storia nascosta di un paese che ha fatto della musica una firma identitaria
Nel 1827, quando il paese non era ancora Comune, un documento d’archivio rivela la presenza inattesa di un musicista professionista. Da allora Solarino non ha mai smesso di essere una comunità musicale.
Solarino – Nel 1827 il paese non era ancora autonomo e viveva un momento di transizione politica e amministrativa. Eppure, in quell’anno cruciale, emerge un dettaglio sorprendente che permette di leggere la storia locale da una prospettiva nuova. Tra gli atti conservati presso l’Archivio di Stato di Siracusa compare il nome di Don Paolo Teodoro, registrato come violinista.
Un dato che, per l’epoca, spacca in due l’immagine consueta di un borgo rurale fatto solo di agricoltori e artigiani.
Il musicista che rompe gli schemi
Il documento mostra chiaramente che Don Paolo Teodoro non era soltanto un residente rispettato di Solarino. Era un musicista. Un ruolo insolito in un contesto rurale del primo Ottocento, dove la musica raramente compariva nelle registrazioni ufficiali. Teodoro abitava in via Fontana, insieme alla moglie Costantino Eloisa, ma la sua formazione aveva radici ancora più profonde. Da giovane, infatti, era cresciuto in una parte dell’attuale Palazzo Requesens, allora indicato come Piano Palazzo n.2, oggi cuore dell’odierna Piazza del Plebiscito, luogo simbolo della vita sociale solarinese. Una crescita in un ambiente architettonico e culturale privilegiato che spiega – almeno in parte – la precocità di una vocazione musicale riconosciuta persino dagli atti civili borbonici.
Una tradizione musicale che Solarino non ha mai abbandonato
Il caso di Don Paolo Teodoro non è un episodio isolato, ma il primo tassello visibile di una storia più lunga. Perché a differenza di tanti altri centri siciliani, Solarino non ha mai smesso di essere un paese musicale. Bande storiche, maestri locali, scuole di musica, gruppi giovanili, famiglie che tramandano strumenti da generazioni, musicisti nazionali , la musica, qui, non è un accessorio, ma un linguaggio collettivo. E questa continuità testimonia una capacità rara: fare dell’arte una parte della propria identità civile. Non tutte le comunità hanno saputo compiere questa scelta. Molti centri rurali hanno perso nel corso del Novecento le proprie tradizioni culturali, travolti da emigrazione e modernizzazione. Solarino, invece, ha seguito una traiettoria diversa: ha difeso la musica, l’ha fatta propria, l’ha trasformata in patrimonio comune.
Questo è il vero punto di forza del paese. Una maturità culturale che trova le sue prime radici in persone come Don Paolo Teodoro: uomini capaci, già due secoli fa, di portare l’arte dentro la vita quotidiana di una comunità in trasformazione. Oggi, quando strumenti e prove musicali risuonano nelle case, nelle scuole e nelle piazze, è possibile intravedere un filo diretto con quella firma d’archivio del 1827. Solarino continua a distinguersi per il suo fermento artistico. E la storia del violinista Don Paolo Teodoro si rivela allora molto più che una curiosità d’epoca: è l’origine documentata di un percorso identitario che il paese ha scelto di portare avanti con orgoglio. Due secoli dopo, Solarino resta un paese che suona e questa è, senza dubbio, una delle sue vittorie più grandi.
Laura Liistro
Cultura
Elena Pizzuto Antinoro: da Santo Stefano Quisquina alla scena internazionale della ricerca linguistica
Donna siciliana, studiosa di straordinaria competenza e voce autorevole della ricerca italiana, Elena Pizzuto Antinoro è considerata una delle figure più influenti negli studi contemporanei sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.
Psicologa, linguista e ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha contribuito in modo determinante al riconoscimento della Lingua dei Segni Italiana (LIS) come sistema linguistico pienamente strutturato, superando visioni riduttive che ne avevano a lungo limitato la comprensione. Il suo percorso accademico si è svolto tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove ha approfondito la Lingua dei Segni Americana (ASL) entrando in contatto con metodologie di ricerca all’avanguardia. Questa esperienza internazionale fu decisiva: rientrata in Italia, introdusse nuovi paradigmi analitici che avrebbero innovato radicalmente lo studio della LIS, collocando la ricerca italiana in un dialogo costante con quella mondiale. Caratteristica centrale del suo lavoro fu l’approccio interdisciplinare.
Elena operò a stretto contatto con persone sorde, analizzando i processi cognitivi, le strutture linguistiche e le dinamiche comunicative della lingua visivo-gestuale. Le sue pubblicazioni rappresentano oggi un riferimento fondamentale non solo in Italia, ma anche nel contesto internazionale degli studi sulle lingue dei segni. Tra le iniziative più rilevanti da lei guidate figura VISEL, progetto dedicato allo sviluppo di sistemi di scrittura per la lingua dei segni e alla definizione di strumenti didattici innovativi. Un contributo che ha ampliato le possibilità di ricerca e di accesso alla comunicazione visiva, rafforzando il ruolo dell’Italia nel panorama scientifico globale. Colleghi e collaboratori ricordano Elena Pizzuto Antinoro come una professionista rigorosa, dotata di una forte integrità etica e di una visione capace di anticipare nuove prospettive. Il silenzioso applauso con cui la comunità sorda l’ha salutata ne sottolinea il profondo impatto umano e scientifico.
Oggi, Elena Pizzuto Antinoro è riconosciuta come una figura chiave della linguistica internazionale e un esempio di eccellenza femminile nel mondo accademico. Siciliana, figlia di Santo Stefano Quisquina, ha portato la sua terra d’origine nei principali centri di ricerca del mondo, lasciando un’eredità destinata a influenzare a lungo gli studi sulla comunicazione e sulle lingue dei segni.
Laura Liistro
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