Cultura
Il Giorno del Pane fatto in casa: fra Storia, tradizione e rito…

Pani schittu cala rittu (Cosa significa Pani schittu cala rittu? Significa, letteralmente, “Pane senza companatico va giù facilmente”. (Questo proverbio siciliano vuole dirci che l’affamato non ha motivi di fare lo schizzinoso) La storia del Pane in Sicilia… Nella nostra cultura culinaria il pane ricopre un ruolo primario e a differenza di altre città del meridione l’andare al “Panificio” è un rito quotidiano che si ripete sempre prima dei pasti e che segue i ritmi delle “infornate” a differenza di altri luoghi dove viene acquistato una sola volta al giorno; per questo abbiamo deciso di raccontarvi le Origini del pane. Molte volte nella trinacria (simbolo siculo) si trovano raffigurate le spighe di grano, questo perché l’isola era considerata il granaio dell’Impero Romano, ma la fertile Sicilia conosceva già l’arte di preparare il pane ai tempi degli antichi greci; Il mito di Cerere (madre Terra), la dea delle messi, della terra e dei campi, raffigurata come una nobile matrona con veste dorica ed una corona di spighe sul capo, colloca infatti proprio in Sicilia la civiltà del grano. Nell’isola, inoltre, le dominazioni che si sono susseguite hanno lasciato traccia anche sui banconi dei fornai: la varietà di frumento chiamata “tumminia” è riconducibile, ad esempio, al “trimeniaios greco”, il soffice “spincione” e collegabile alla “sponghia” (spugna) ellenica, mentre la “giuggiulena”, spesso spolverizzata su filoni e mafalde, rappresenta un retaggio della tradizione araba. Infine, un’altra caratteristica dei pani siciliani è che sono ricoperti in superficie di semi di sesamo, ingredienti importanti della cucina araba per esaltare gli aromi dei cereali che li compongono; la cottura avviene in forno a legna con rami d’ulivo o quercia.
Il giorno del pane con la nonna Marianna… Il venerdì di ogni settimana veniva a casa nostra la nonna Marianna per fare il pane in casa, era una bella consuetudine che consentiva alla nonna e alla mia cara mamma di scambiarsi vedute e novità ed era pure un momento di condivisione per tutta la famiglia. In quel periodo io e la mia famiglia abitavamo in una modesta casetta ubicata in un cortile di via Ioppolo a Ragusa ibla; nella parte alta della casa vi era solamente una camera da letto, un bagno ed un piccolissimo balconcino dove la mia cara madre teneva due vasi in terracotta uno di basilico l’altro di prezzemolo… ingredienti indispensabili (così asseriva mia madre…) per la cucina.
Nella parte bassa della casa vi era un dammuso, praticamente un monolocale diviso a metà da un paravento di legno che delimitava la zona tra il mio letto e la zona pranzo, infine c’era la cucina rigorosamente a legna… (allora quasi nessuno aveva la cucina alimentata con il gas…) fatta da piastrelle di un bel colore azzurro e i bordi con richiami floreali. Dopo una facile trattativa, mia madre riuscì ad ottenere il co-utilizzo di un altro locale cui si poteva accedere tramite una scala nera di pietra lavica, centrale rispetto all’edificio e che portava al secondo piano, dove abitavano i proprietari della piccola palazzina. Accanto al dammuso vi era un locale che era stato ricavato ristrutturando la rimessa dei cavalli e là, dove prima c’era la mangiatoia, era stato costruito uno splendido forno a legna, sulla cui sicurezza nessuno si era mai occupato. Il solaio si animava ogni sabato mattina, tanto durava il pane fatto in casa ed il settimo giorno era buono quanto il primo.
Il ricordo del “giorno del pane”, nonostante siano trascorsi più di sessanta anni, è ancora vivo in me; per me, bambino, quel giorno era una festa. A quei tempi molti facevano il pane in casa. Alcuni avevano un appezzamento di campagna coltivato a grano duro, naturalmente, e molti avevano qualcuno, parente o amico, che regalava loro la farina o la barattava con altri prodotti della terra. Chi non aveva il forno in casa portava i pani da cuocere al fornaio, ne ricordo un paio in zone diverse nel mio quartiere natio (gli Archi…). La “festa” cominciava molto presto, al mattino, ed io appena sentivo scendere Marietta e Nonna, saltavo giù dal letto perché volevo partecipare al rito. Non ho mai saputo come si chiamasse la Marietta di cognome (era una amica della nonna… la seguiva in tutto), era una quasi zia a noleggio.
Nonostante la levataccia trovavo, sempre, già attrezzato il locale oltre la scalinata. Mia madre intenta a supervisionare la stanza in modo che non mancasse nessun elemento per l’evento settimanale, mentre la Marietta e la Nonna avevano già montato la “brìula” (o “scaniaturi” dipende dalla zona) una grande tavola di legno a forma di enorme racchetta, e già avevano versato sul pianale una montagna di farina col buco in mezzo. Praticamente ai miei occhi avevano costruito l’Etna e al centro avevano fatto un buco a forma di cratere dove veniva rovesciato il lievito madre. Ricordo ancora l’acre profumo e l’aspetto inquietante del lievito madre; ricordo anche che veniva immediatamente reintegrato perché si rigenerasse per la volta successiva. Nonna si sedeva cavalcioni sulla parte stretta della brìula e, piano, piano, formava l’impasto che, raccolta tutta la farina, doveva essere lavorato con l’aiuto di Marietta, la quale con movimenti ritmici, alzava ed abbassava il bastone di legno (briuni) sapientemente fissato alla base ad una staffa, entrambi, bastone e staffa, con fori appositamente predisposti e attraversati da un cilindretto di legno che ne bloccava la fuoruscita. Serviva a schiacciare l’impasto.
Ci tenevo moltissimo ad aiutare Marietta e lei pazientemente lasciava che mi attaccassi al briuni per “scaniari” il pane e ogni tanto un pizzico di pasta cruda mi finiva, di soppiatto, in bocca (per me era un vero divertimento…). Era buonissima e non era vero, come sostenevano i “grandi” per non farmela mangiare, che mi sarebbe venuto il mal di pancia. Mai successo. Aspettavo con impazienza la lievitazione dell’impasto che veniva avvolto in tovaglie di cotone e coperte di lana e, finalmente, dopo un paio d’ore, arrivava il momento di creare le forme del pane.
La fase “creativa”, non si fermava alle forme classiche che vediamo in certe immagini datate che ci prospettano forme con spighe o fiori, ma, specialmente durante le feste natalizie e pasquali si arricchiva di alberelli, stelle, pecorelle e cestini con uova sode. Io pretendevo il mio pezzo di impasto da lavorare e così infilavo anche la mia pagnottella in mezzo a quel ben di dio. Le forme composte si lasciavano riposare per una mezz’oretta. Nel frattempo, veniva presa la legna dal solaio che serviva per accendere il forno. Era una cupola di pietra di cui Nonna era il “tecnico”; conosceva le frasche che servivano per accenderlo e il segreto del tipo di legno da usare cioè un legno che non rilasciasse cattivi odori al pane. Credo usasse legno di ulivo. Accesa la fiamma mia madre chiudeva il forno con una porta di metallo e, quando il fuoco si esauriva, spostava ai lati del forno, con una specie di rastrello, le braci ardenti e infornava il pane utilizzando una grossa pala come quella per le pizze. Mia madre approfittava del “giorno del pane” per infornare anche le “scacce” (una specie di calzone), leccornia con all’interno pomodoro, cipolla, basilico e caciocavallo. In pratica mia madre aveva trasformato “il giorno del pane” in un “giorno del profumo” che si levava dal forno e si espandeva per la via annunciando che quel giorno, in quel dammuso, si sarebbe mangiato proprio bene, suscitando una certa invidia nel vicinato a cui per educazione si chiedeva: “volete favorire?” e i vicini altrettanto educatamente rispondevano: “Grazie, come se avessimo accettato”.
Noi bambini del ’57 così ci divertivamo, senza IPOD, IPHON e PC. Mio padre in casa non c’era perché il “giorno del pane” era sempre a lavoro presso la barberia… ma veniva con cuor allegro perché già degustava al solo pensiero le prelibatezze che avrebbe trovato a mezzogiorno… Ci tengo a dichiarare, per concludere, che nonostante il forno a legna, la scala del solaio a pioli e il pavimento non tanto solido, nessuno si è mai fatto male e non mi considero un sopravvissuto. Mi chiedo invece se supererò, con altrettanta nonchalance, le varie varianti del covid, i venti di guerra che soffiano da est o, come cantava Battiato, le correnti gravitazionali.
La poesia dell’amico fornaio E poi un amico, di indole sensibile dedica al pane alcuni versi che racchiudono una quotidianità scandita da gesti sapientemente misurati e la consapevolezza di un mestiere unico. Tra tanti panini e pani, iu, supra tutti àiu lu vantu, ca farina, l’acqua e a natura a livitari e poi lu mantu, facci a cruci e s’arriposa c’accussi un’è na cosa, n’tà maidda mpastanu li vrazza camìa, adduma ligna r’alivi e crozza. Vastidduna, menzichili e quartini i furnati l’amu a fari beddi chini, pigghiami sta tavula, proimi stu pani ca à essiri prontu prima di rumani, agghiurnò e prima ca lu addu canta a genti già pa strata ri lu ciavuru si ncanta. Cu su porta a travagghiari, cu su sarba pi tri ghiorna, cu sulu u tasta… e doppu torna cu lu fa cu tantu amuri tutti i notti li fa ghiorna, picchì ‘mpasta, aspetta… e ‘nfurna fa lu pani cu l’amuri tramannatu cu passioni e strasuratu, sfurnalu ch’è prontu, emu all’avutra e va ‘mpasta ca sta furnata un ci bbasta. Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi
Cultura
Pantelleria . Accorpamento classi liceo, La Francesca (PD) “Decisione inaccettabile”

“Una decisione incomprensibile e inaccettabile quella dell’Ufficio Scolastico Provinciale che ha deciso l’accorpamento delle classi del Liceo Scientifico e del Liceo delle Scienze Umane in un’unica classe per il prossimo anno scolastico 2025-2026. Nello stesso tempo manifestiamo pieno appoggio e solidarietà alla protesta dei genitori dell’istituto superiore a Pantelleria che hanno denunciato, fra l’altro una palese violazione del diritto allo studio.”
E’ questo quanto dichiara il Segretario del Partito Democratico di Pantelleria, Giuseppe La Francesca a seguito dell’incomprensibile decisione di accorpare le prime classi del Liceo Scientifico e del Liceo delle Scienze Umane in un’unica sezione per l’anno scolastico appena iniziato. Vengono così annullate, continua La Francesca, le legittime aspirazioni di 15 ragazzi che avevano fatto una scelta consapevole sul proprio percorso di studio e per l’ennesima volta non si tiene in considerazione le nostre condizioni di insularità. “Non vorrei che dopo che hanno costretto le nostre mamme a partorire fuori Pantelleria, anche tutti i nostri ragazzi siano costretti a iscriversi alle scuole superiori fuori isola!”
Pur consapevoli, chiude il Segretario del PD Pantelleria, che tale scellerata decisione è stata assunta dall’Ufficio Scolastico Provinciale, è necessario che la politica tutta prenda forte e convita posizione sulla vicenda perché per l’ennesima volta è in gioco il futuro dei nostri ragazzi e della nostra isola.
Per approfondire: Pantelleria, accorpate in una sola classe studenti di licei differenti. E’ protesta
Ambiente
Pantelleria diventa “Isola Asinabile”: ad ottobre 1ª edizione festival per l’asino pantesco

L’Isola di Pantelleria celebra il suo legame storico con l’asino e si prepara a diventare la prima “Isola Asinabile” d’Italia
Dal 5 al 12 ottobre 2025, si terrà la prima edizione del “Festival Asinabile”, un evento che punta a valorizzare il ruolo di questo animale, simbolo di fatica, resilienza e, oggi, di riscoperta sociale e terapeutica.
Organizzato dall’Ente Parco Nazionale Isola di Pantelleria in collaborazione con il Comune di Pantelleria, la Regione Siciliana e numerosi partner, il festival è un’iniziativa che va oltre la semplice celebrazione: vuole essere un’occasione per riconnettersi con la natura, promuovere il turismo sostenibile e riscoprire l’importanza dell’asino pantesco.
“Tramite l’asino pantesco riusciremo a riscoprire esperienze di bellezza e grande emotività in modo semplice, circondati dalla meraviglia del paesaggio di Pantelleria – dichiara Italo Cucci, commissario straordinario del Parco – “Prendiamo l’impegno, tramite la celebrazione dell’animale simbolo dell’isola, di far partire da qui un messaggio di positività e bellezza in un periodo storico molto difficile. Sono certo che questo evento lascerà a ciascuno dei partecipanti un grande arricchimento, interiore ecco perché sarà importante esserci”.
Con la direzione organizzativa di Massimo Montanari, fondatore dell’asineria didattica «Asini di Reggio Emilia» ed esperto di educazione ambientale, il festival si articola in tre aree tematiche principali, accessibili a residenti e turisti di ogni età:
- Piazza Asinabile (Piazza Cavour): Un hub creativo e didattico con stand, laboratori manuali, giochi antichi e un recinto dove interagire e coccolare gli asinelli. Attività come “Asino Lab” e la “Ludonkey” renderanno l’apprendimento divertente per i più piccoli.
- Cammini Asinabili: Passeggiate guidate alla scoperta dei tesori naturalistici di Pantelleria, con percorsi che conducono al recinto di Sibà, dimora degli asini panteschi. Un’occasione per esplorare l’isola con una carota in tasca e celebrare il rapporto con questi affascinanti animali.
- Parole d’Asino: Un ciclo di convegni, dibattiti e incontri culturali che daranno voce a esperti, scrittori e viaggiatori. Tra gli ospiti, figure di rilievo come Daniele Bigi dell’Università di Bologna e Giuseppe Pace, responsabile del progetto di recupero dell’asino pantesco. Saranno esplorate le potenzialità della pet therapy, l’asino come compagno di viaggio e le storie di chi ha dedicato la propria vita a questi animali.
L’evento si aprirà domenica 5 ottobre con l’inaugurazione ufficiale in Sala Consiliare, e si articolerà in numerose attività organizzate aperte alla cittadinanza che riguardano momenti di svago, attività didattiche specifiche per le scuole di ogni ordine e grado, e un convegno conclusivo, sabato 11 ottobre, che sancirà ufficialmente il riconoscimento di Pantelleria come “Isola Asinabile”.
Il Festival Asinabile è reso possibile grazie alla collaborazione di numerose associazioni, che contribuiranno a rendere il programma ricco e variegato. Esoprattutto con l’importante presenza delle aziende agroalimentari e artigianali pantesche che arricchiranno le iniziative di identità territoriale. Il programma completo è visionabile su sito del parco nella sezione dedicata al Festival Pantelleria Asinabile.
Cultura
Divieto dei cellulari a scuola, le reazioni degli studenti di Pantelleria

Sul non uso dei telefoni in classe: interviste a Filippo Maccotta e Emanuele Pinna
Tra le diverse novità che interessano il mondo scolastico, dal 15 settembre 2025 per la Regione Siciliana, tra i banchi delle scuole di ogni ordine e grado è vietato l’utilizzo cellulare.
Figli e famiglie sono divisi: c’è chi la ritiene una strategia formativa e chi, invece, non è d’accordo.
Abbiamo così voluto conoscere la reazione degli studenti di Pantelleria, su questa novità che tanto clamore ha riscontrato.
Sono stati scelti a campione due giovani di diversi contesti scolastici. Si tratta di studenti modello, molto impegnati e maturi per l’età e l’epoca storica che stanno vivendo.
Filippo Maccotta
Il primo, Filippo Maccotta, 15enne al II anno di liceo scientifico, ci ha innanzitutto spiegato che attualmente nel suo istituto i cellulari verranno conservati negli zaini, per tutto l’arco della giornata scolastica e non potranno essere usati nemmeno durante la ricreazione. Nel caso non dovesse funzionare, i docenti o chi per loro provvederanno a requisire gli smartphone.
“Anche prima durante le lezioni il telefono non si poteva utilizzare e sono d’accordo, ma il divieto di utilizzarli durante la ricreazione mi sembra esagerato. L’anno scorso, nonostante si potesse usare durante la ricreazione, stavamo in gruppo e non solamente al telefono. Reputo che sia un po’ inutile proibirlo durante la ricreazione e credo peggiori la situazione perché ci si sente più incatenati. “
Emanuele Pinna
La seconda testimonianza ci arriva da Emanuele Pinna, in classe terza media
Emanuele, cosa ne pensi di questa nuova normativa? “Sono d’accordo con questa nuova normativa perché permette a tutti noi studenti, soprattutto a quelli meno responsabili, di non usare il telefono a scuola. Siamo tutti più coscienti, sapremo quando è corretto utilizzarli e quando no. Sono favorevole al divieto.”
Giada Zona
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