Cultura
I cognomi dell’isola di Pantelleria / V parte: da Capozzoli a Chiacca
di Orazio Ferrara
CAPOZZOLI I Capezzoli di Pantelleria hanno origine dai fratelli Gaetano e Luigi, esiliati nell’isola dal governo borbonico nel luglio 1830 a seguito dei moti rivoltosi in Cilento (provincia di Salerno). Gaetano Capozzoli sposa la pantesca Angela Almanza, da cui ha Irene e Antonio. Irene, nata il 7 ottobre 1834, va in sposa il 25 febbraio 1873 (martedì) a Fortunato Salsedo. Dai due nasce Francesco Salsedo, coniugato il 24 luglio 1909 (sabato) con Rosa Fedele. Antonio Capozzoli si sposa il 17 ottobre 1868 (sabato) con Rosa Murana, da cui nasce Angela Capozzoli, sposata il 30 luglio 1898 (sabato) con Vincenzo Valenza. CAPUTO Il cognome si riscontra in Pantelleria agli inizi dell’Ottocento. Dai coniugi Giuseppe Caputo e Angela Pucello, ambedue nati a Pantelleria, nasce nell’isola di Lampedusa Vincenzo Caputo, il quale contrae matrimonio il 31 ottobre 1828 (venerdì) in Favignana con Antonia Greco, nata in Pantelleria e figlia di Pietro Greco e Mattea Sanguedolce. Vincenzo Caputo muore in Pantelleria il 17 giugno 1870 (venerdì). CARRERA (estinta) Anche Carrero; Carreras. E’ una casata dell’isola estinta dal 1953. Di origini spagnole, probabilmente dall’isola di Minorca, ma ancora prima dai Paesi Baschi al pari dei D’Aietti e dei Salsedo. Il primo Carrera in Pantelleria si qualifica soldato, in quanto di guarnigione al castello. Come tanti altri militi ebbe estesi terreni nell’isola, ancora oggi una località è denominata Piano Carrera. Arma dei Carrera: De oro, con dos bueyes de gules, uncidos a un arado. El jefe, de azur, con tres estrellas de oro puestas en faja (D’oro, con due buoi rossi, aggiogati a un aratro. Il capo, di colore azzurro, con tre stelle d’oro poste in una fascia). A fine ‘500 inizi ‘600 i coniugi Giovanni Carrera e sua moglie Antonia hanno un figlio di nome Giovanni, che in data 11 febbraio 1619 (lunedì) sposa Maria Romano. Quest’ultima coppia ha un figlio di nome anch’egli Giovanni, che il 9 aprile 1644 (sabato) contrae matrimonio con Maria Romeo. CARTA Il capostipite in Pantelleria, Bartholomeus Carta, è un soldato dei Tercios spagnoli arruolato in Sardegna, probabilmente nel territorio di Oristano. Arma dei Carta: D’azzurro al leone d’oro. Da Bartholomeus Carta e sua moglie Antonia nasce Giovanni Carta, che il 10 aprile 1630 (mercoledì)
sposa Leonora Garsia, figlia di Cosma e Domenica Garsia. Giovanni e Leonora hanno un figlio, Bartolomeo, che l’8 gennaio 1664 (martedì) contrae matrimonio con Maria Errera. CAVALLA’ Cognome originario probabilmente dal Messinese. A metà del Settecento vivono in Pantelleria i coniugi Leonardo Cavallà e Francesca Busetta con i figli Maria e Giuseppe. Maria Cavallà sposa il 28 agosto 1754 (mercoledì) Stefano Nicolosi, figlio di Pietro e Francesca Stuppa, mentre Giuseppe Cavallà contrae matrimonio con Agata Pandolfo, figlia di Giacomo e Maria D’Ancona, in data 17 ottobre 1771 (giovedì), CHIACCA (estinta) Anche De Chiacca. Casata assai antica, originaria della Sicilia, da tempo estinta in Pantelleria. In numerosi atti notarili siciliani dei secoli trascorsi s’incontrano personaggi di tale cognome, che si dichiarano di condizione nobile. Arma dei de Chiacca (variante): Di rosso al castello di tre torri d’argento. Una delle prime persone che troviamo in Pantelleria con questo cognome è Angela de Chiacca, figlia di Matteo de Chiacca e Elisabetta, la quale il 4 maggio 1608 (domenica) sposa Chuan De La Hoz, figlio di Bartolomé De La Hoz e Isabella, nativo di Saragozza e caposquadra spagnolo della guarnigione dell’isola. Angela de Chiacca muore in Pantelleria il 25 marzo 1648 (mercoledì), mentre il caposquadra Chuan de La Hoz era deceduto in data il 27 marzo 1637 (venerdì), sempre in Pantelleria. Discendente di Chuan De La Hoz e Angela de Chiacca è Maria Fortunata de La Hoz (trascritto nei registri adesso de Laos), nata il 24 ottobre 1677 da Giovanni de La Hoz e Giovanna Valenza. Maria Fortunata il 4 maggio 1715 va in sposa a Iacobo Salsedo di Leonardo, ascendente diretto, per linea materna, dell’estensore di queste note.
Foto: Arma dei Carrera
Cultura
Pantelleria, inaugurato il busto a dr. Zurzolo tra gente commossa, riconoscente e affiatata
L’opera è stata realizzata dal M° Michele Cossyro
Si è svolta ieri, 7 dicembre 2025, la cerimonia di scopertura del busto dedicato al compianto dottor Michele Zurzolo.
In una silenziosa Piazza Perugia, le gente arrivava quasi in punta di piedi, per non disturbare un momento che sarebbe stato prezioso per quel sito e per la comunità pantesca tutta.
Il Sindaco Fabrizio D’Ancona ha aperto la celebrazione annunciando diversi interventi tra cui quello di Maria Casano, che ha promosso l’idea, quello della moglie Anna Maria Brignone, delle due nipoti.
“Il Dottore Michele Zurzolo, nel corso della sua vita professionale, si è dedicato anima e corpo a tutta questa comunità e oserei dire anche a tutta la cittadinanza di Pantelleria – Ha esordito il primo cittadino – Ma molti di voi hanno avuto anche la possibilità di conoscere un amico, una persona che ha fatto della sua professione una storia di vita. Lui era una persona di altri tempi e lo ha dimostrato. Abbiamo ritenuto come di regola accade quando una persona si contraddistingue in questa vita terrena per le sue attività, per le sue azioni, per le sue gesta, di ricordarlo in una maniera particolare. Abbiamo deciso di fare un busto commemorativo e di posizionarlo in questa piazza Perugia che è sostanzialmente il cuore di questa contrada.”
Di poi i ringraziamenti alla giunta comunale e, in modo particolare, ai consiglieri Giuseppe Maddalena e Nadia Ferrandes che hanno perorato il progetto, fino al suo completamento.
Così, dopo i toccanti pensieri dei familiari del dr. Zurzolo, l’intervento di Michele Cossyro. L’artista che ha portato il nome di Pantelleria nel mondo con le sue opere ha ben accolto l’invito a realizzare la richiesta, facendo una vera copia non solo delle sembianze, ma anche dell’espressione del medico. Realizzando un basamento singolare, in pietra lavica, ha poi come proseguito l’opera con il busto di bronzo, adesso lucido e liscio.
Tra i presenti anche il presidente del Consiglio Comunale, Giuseppe Spata, diversi politici, i presidenti dei circoli e di alcune associazioni importanti, tutti testimoni della benevolenza, dell’umiltà, della nobiltà di un uomo coraggioso, che metteva il paziente sopra ogni altra esigenza e pensiero, elargendo diagnosi sempre precise e puntuali e mai sbagliate, nonostante la strumentazione dell’epoca, a Pantelleria.
Va ricordato, non in ultimo, che il Dr. Zurzolo era un grande studioso originario della Calabria, eppure, egli aveva eletto Pantelleria come sede della sua dimora e del suo lavoro, dove ha affrontato vita e professione sempre con un immancabile e inestimabile sorriso bonario e rassicurante.
La toccante cerimonia si è conclusa con la benedizione di Don Ramses.
Cultura
Pantelleria, oggi presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore
Questo pomeriggio, 7 dicembre 2025, dalle ore 16.30, presso i noti locali del Circolo Ogigia di Pantelleria Centro, si terrà la presentazione del libro “Le note stonate” di Antonino Maggiore.
Ad affiancare l’autore, Franca Zona e Giovanna Drago, apprezzate donne di cultura, che si alterneranno in una intervista conoscitiva del libro.
Antonino Maggiore, classe 1982, è un docente di musica presso la scuola primaria di Pantelleria, dove unisce rigore e creatività, nel quotidiano rapporto con l’infanzia.
Lo scrittore pantesco non è alla sua prima opera. Negli anni ha già pubblicato due raccolte poetiche: “Niente di importante” e una “Penna x amico“, grazie alle quali ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti.
“Le note strane” è un romanzo autobiografico: in viaggio intimistico tra fragilità ed ironia, attraversando il confine spesso sottile tra disperazione e gioia, risa e pianto.
Con il delicato contributo musicale di Maria Bernardo, si profila un piacevole pomeriggio letterario, al caldo e tra “degustatori” di libri.
L’ingresso è libero
Cultura
I racconti del vecchio marinaio di Pantelleria: Il rito antico della dragunera
Quel giorno lasciai gli scogli di San Leonardo più presto del solito, mentre i miei amici erano ancora a mollo a mare, in un’acqua trasparente e azzurrina come solo il mare di Pantelleria sa esserlo. Mi soffermai ancora una volta a leggere le scritte multicolori che rendevano meno triste il vecchio bunker di cemento armato della seconda guerra mondiale. L’amore di sempre: “ti voglio bene, “un cuore solo”, “ti amerò per sempre” precedute da un nome femminile e tante altre scritte, eredità amorose di generazioni di giovani panteschi. Una però faceva a pugni con tutte le altre, “Mariuccia buttana”. Doveva essere stato davvero un brutto tradimento, per bollarlo con un marchio di fuoco e per tramandarlo così ai posteri.
Giunsi sulla banchina e lo vidi seduto sulla solita bitta di fronte al castello, la nuvola azzurrina del fumo della sua pipa gli conferiva una strana aureola di mistero. Avevo deciso di porgli alcune domande, ma appena mi vide cominciò a parlare con voce arrochita dal tabacco e dalla salsedine. “Il veliero Madonna di Trapani era un vero e proprio gioiello della marineria pantesca. Due alberi, bompresso lungo come una lancia, vele latine che sapevano piegarsi al vento, ma non alla paura. Patrun Vitu, il suo comandante, era un uomo di mare e di silenzi infiniti, con le mani dure come la nostra pietra lavica e gli occhi di un verde misterioso, che avevano visto tempeste e miracoli. Nelle sue mani il timone seguiva docilmente l’invisibile linea della rotta fissata.
Quel giorno, ero ancora picciotto ‘i varca, avevamo da diverse ore passatu l’isola di Ustica e puntavamo, con tutte le vele spiegate su Trapani, fermarci qui la notte e il giorno seguente tornare a Pantiddraria, dove dovevamo sbarcare delle merci comprate a Napoli. Il mar Tirreno sembrava quieto e il vento amico, ma ‘ogni marinaio sa che “Cu ventu e cu mari nun si fa cuntrattu” (Col vento e col mare non si fa contratto). Così all’improvviso il cielo cambiò.
Una linea nera si stese sull’orizzonte, e il vento cadde morto di colpo. I marinai si guardarono l’un l’altro muti e attoniti. Il capitano Vito salì sul ponte e scrutò quel cielo nerastro e la vide: una dragunera (tromba marina), la maledizione antica e rabbiosa per chi va per mare. Essa, sottile e affilata, scendeva dal cielo come il dito di dio marino irato, girando vorticosamente sull’acqua.
Il nostromo Turi colse l’ansia e il timore degli altri uomini dell’equipaggio e chiese a patrun Vitu di virare. Ma Vito no, non solo perché la cosa era impossibile per mancanza di vento, ma perché egli era uomo che accettava intrepido le sfide in mare. Lui conosceva lu ritu anticu, lo aveva visto fare
da suo nonno e da suo padre prima di lui. Aprì il baule sotto il timone e ne trasse un coltello d’ossidiana, nero come la notte e affilato come il silenzio che precede la burrasca. Poi disse deciso “Mantenete la rotta, non si fugge davanti alla dragunera. Si tagghia”.
Si diresse a prua e la sua figura alta e possente sembrò dominare le onde. Il vento intanto aveva ripreso a soffiare forte e impetuoso che a momenti gli strappava il berretto. La dragunera si avvicinava, ululando conne una magara. Vito attese, fermo, come nu parrinu davanti all’artari. Quando la coda della tromba marina fu a portata, egli disse vecchie parole che non si potevano intendere, poi tracciò con il coltello d’ossidiana una grande croce nell’aria e recitò a voce alta questa preghiera:
Nniputenza di lu Patri,
Sapienza di lu Figghiiu,
pi virtù di lu Spiritu Santu
e pi nnomu di Maria
sta cuda tagghiata sia
Un suono sordo, come un lamento, si levò dal mare. La vorticosa colonna d’acqua si dissolse e il cielo si aprì all’azzurro. Tutti noi marinai, increduli, guardavamo ammirati e a un tempo intimoriti il capitano come si guarda un uomo che ha parlato allora allora con gli spiriti. Vito tornò al timone, rimise il coltello di ossidiana nel baule e disse solo: “Adesso a casa”. Al tramonto del giorno dopo Pantelleria ci apparve all’orizzonte, nera e fiera e materna. Il Madonna di Trapani, come sempre, entrò in velocità nello stretto passaggio che dava al porto vecchio. Solo capitan Vito e qualche altro patrun si potevano permettere di sfidare la scogliera cartaginese semisommersa.
La voce del subitaneo taglio della dragunera si sparse, in un battibaleno, in tutte le contrade dell’isola e da quel giorno ogni marinaio pantesco che incrociava patrun Vitu lo salutava con rispetto misto ad ammirazione. Perché non tutti sanno tagghiare la coda a una tromba marina. E soprattutto non tutti hanno il coraggio di farlo”.
Il vecchio marinaio si tacque definitivamente.
Girò le spalle e si mise a guardare, assorto, il mare
come aspettasse l’arrivo di qualcuno, intanto la nuvola azzurrina del fumo della pipa, che lo
avvolgeva in tenui volute, gli conferiva un certo non so che di misterioso.
Orazio Ferrara

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