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Cultura

Cefalù, Museo Mandralisca presenta la mostra “Intrecci”. Inaugurazione l’1 giugno

Marilu Giacalone

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Il Museo Mandralisca presenta la mostra “Intrecci”, realizzata in collaborazione con il Museo delle Trame del Mediterraneo di Gibellina. Inaugurazione l’1 giugno alle 18.00

La Fondazione Mandralisca e la Fondazione Orestiadi  presentano la mostra Intrecci, un progetto che mette in dialogo le più importanti opere dell’arte classica, custodite a Cefalù, con le opere più rappresentative dell’arte contemporanea ospitate al  
Museo delle Trame del Mediterraneo di Gibellina

Museo Mandralisca di Cefalù presenta la mostra Intrecci, frutto di un protocollo d’intesa tra la Fondazione Mandralisca e la Fondazione Orestiadi di Gibellina, che si inaugura giovedì 1 giugno alle ore 18.00 (via Mandralisca, 13).

Dal 2 giugno al 7 gennaio 2024 le principali sale di uno dei musei più visitati dell’Isola – nel 2022 si è posizionato tra i primi tre – accoglieranno una selezione di opere realizzate dai più grandi maestri dell’arte contemporanea esposte al Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina.

Opere scelte accuratamente nell’ottica di instaurare un dialogo, oltre il tempo e lo spazio, con le opere d’arte classica, già patrimonio del Mandralisca.

Saranno Alighiero Boetti, Mimmo Paladino, Jonida Xherri e Michele Canzoneri a rappresentare, ognuno con un’opera a tema e una declinazione ben precisa, l’anima contemporanea dell’arte confrontandosi con le peculiarità della vasta e diversificata collezione del barone Enrico Pirajno di Mandralisca.

«L’incontro e il dialogo tra artisti e le loro opere, unitamente alla diffusione della cultura in generale, rappresentano le linee guida sulle quali il barone di Mandralisca ha fondato la sua continua e accurata ricerca giungendo, con lungimiranza e perseveranza, alla realizzazione della Fondazione, nel 1853, e del Museo Mandralisca che custodisce, ancora oggi, un enorme patrimonio artistico», dichiara Vincenzo Garbo, Presidente della Fondazione Mandralisca.

«La mostra Intrecci testimonia la nostra volontà di portare avanti, e far proliferare, la visione del Barone, aprendo le porte a collaborazioni e scambi con musei e realtà culturali prestigiosi come la Fondazione Orestiadi di Gibellina. Crediamo fortemente che la bellezza e le opere frutto della creatività di artisti universalmente riconosciuti superino il tempo e lo spazio, riuscendo a sintonizzarsi tra loro e restituendo, ogni volta, un nuovo messaggio per le generazioni che si susseguono».

«La collaborazione tra la Fondazione Mandralisca e la Fondazione Orestiadi di Gibellina, in attuazione con un protocollo d’intesa che consentirà di svilupparsi nel tempo, inizia con questa mostra di particolare interesse e di notevole originalità», dichiara Calogero Pumilia, Presidente della Fondazione Orestiadi. 

«Metteremo a confronto con le opere d’arte classica del Mandralisca alcune tra le più rappresentative espressioni dell’arte contemporanea esposte nei nostri musei. Un modo per farle interloquire, espressioni estetiche e culturali di tempi molto lontani e diversi fra loro che tuttavia si integrano in modo efficace restituendo il senso che l’Arte, quale sia la sua espressione formale, risulta sempre manifestazione del Bello».

L’inedito percorso espositivo vedrà Il dolce far niente (Kabul 1979) di Boetti, iconico artista del XX secolo che affronta nell’opera il tema della scrittura, esposto nella Biblioteca del barone Mandralisca che custodisce reperti eccezionali – tra cui incunaboli ovvero testi stampati con caratteri mobili secondo le tecniche del ‘400 e ‘500 – per un totale di circa settemila volumi.

La seconda Sala del Museo, che presenta opere prevalentemente di arte sacra del Quattrocento, ha ispirato il direttore del Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina, Enzo Fiammetta – che ha curato la selezione di opere contemporanee da collocare a Cefalù – nello scegliere l’opera Sulle Tracce del primo cristianesimo Tra Tunisia e Sicilia (2009) del maestro dell’arte italiana Mimmo Paladino. Realizzata come manifesto per un’importante mostra presentata al Museo del Bardo di Tunisi, che analizzava le origini cristiane della Tunisia attraverso le predicazioni di Sant’Agostino originario di quelle terre, mostra l’evoluzione delle tecniche, dei colori e delle forme nel corso dei secoli, e la permanenza dei temi legati al sacro anche nel contemporaneo.

La Sala della Pinacoteca ospiterà ben due opere il dialogo con il prezioso portolano, un antichissimo manuale per la navigazione costiera e portuale, custodito nel Museo. 

La prima è il Tappeto Mediterraneo (2016) dell’artista libanese Jonida Xherri, realizzato con centinaia di mattonelle in ceramica disegnate in atelier a Gibellina dai ragazzi dei centri di prima accoglienza che hanno transitano in Sicilia. L’opera è testimonianza delle speranze, della nostalgia e del vissuto di decine e decine di migranti che a rischio della loro vita hanno affrontato il mare senza una rotta sicura e, per questo, instaura un dialogo con il portolano che invece riporta rotte possibili, fisiche e virtuali per attraversare il Mediterraneo. La seconda opera è Lo sbarco di Ruggero II in Sicilia opera in ceramica di Michele Canzoneri collocata su una pedana bassa. L’artista siciliano, autore anche delle vetrate del Duomo di Cefalù, dedica il suo lavoro al Re Ruggero e riflette su questi luoghi  d’incontro di culture e popoli.

L’ultima sala, lo scrigno prezioso che custodisce il famosissimo Ritratto d’ignoto marinaio di Antonello da Messina, accoglierà, in dialogo, l’opera di Carla Accardi, facendo incontrare due maestri che hanno rivoluzionato la storia dell’Arte. Il primo è il grande esponente del Rinascimento Italiano, la seconda insieme agli artisti del gruppo Forma Uno, è passata alla storia scardinando i linguaggi dell’arte figurativa del Dopoguerra in Italia.

La complessità astratta di Frammenti (1955) della Accardi si misurerà con l’espressione unica e iconica del sorriso enigmatico e dello sguardo indecifrabile dell’opera di Antonello, mentre il bianco e nero si intreccerà, nella mente dello visitatore, con le decorazioni dell’abito del celebre marinaio.

La mostra rimarrà fruibile fino al 7 gennaio 2024 tutti i giorni dalle ore 9.00 alle 19.00 (nei mesi di luglio e agosto tutti i giorni dalle 9.30 alle 22.00; nei giorni festivi di Natale e Capodanno aperture 9.00 – 13.00 e 15.00 – 19.00). 

Costo biglietti: Intero euro 8,00, Ridotto1 euro 4,00 (gruppi da 10 persone in su / ragazzi dagli 11 ai 15 anni), Ridotto2 euro 4 (gruppi scuole / bambini dai 6 ai 10 anni).

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito al link https://www.fondazionemandralisca.it/categorie/categoria-67 oppure chiamare al numero 0921 421547.

Ambiente

Pantelleria, vendemmia 2025: i risultati tra siccità pregressa e peronospera

Direttore

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Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano

Ogni anno teniamo sott’occhio quella che una eccellenza indiscussa di Pantelleria: la viticultura.
Grazie a questa pratica di agricoltura decisamente eroica anche ai nostri tempi, l’isola ha conquistato uno spazio nei patrimoni dell’umanità, per cui l‘UNESCO ha conferito, lo ricordiamo, il riconoscimento proprio per la vite ad alberello.
Quest’anno abbiamo voluto fare un approfondimento, con una intervista, viste le recenti problematiche ambientali. Abbiamo contattato, all’uopo, Giovanni Bonomo, agricoltore eroico soprattutto per la passione che mette nel suo lavoro. Solerte, studioso, conosce i nomi latini di tutti o buona parte i parassiti che aggrediscono la vite, ma anche i capperi e altre colture importanti nella nostra economia. Con quel suo fare un pò romantico e un pò nostalgico, si sofferma ad analizzare soluzioni possibili per arginare problematiche simili, anche in modo sostenibile, si veda la conferenza che si terrà il 13 novembre prossimo e di cui parleremo in questo articolo.

E così, esordiamo: Signor Bonomo, com’è andata la vendemmia di quest’anno?Partiamo dalla siccità dell’anno scorso che ha portato una certa sofferenza alle piante. Quest’anno invece è piovuto circa 600 mm, quindi un po’ d’acqua è entrata nel terreno, però le piante venivano da un periodo di indebolimento, in cui la vendemmia è stata pessima.
Quest’anno però le viti, queste viti che hanno piantato i nostri antenati, che le hanno scelte fondamentalmente molti migliaia di anni fa, potendo risalire sino ai fenici, perchè lo zibibbo arriva a Pantelleria con i fenici, hanno avuto un buon ristoro grazie appunto all’azione della pioggia. Seppur non sia stata abbastanza generosa.
Ma ciò che ha afflitto quest’anno le piante è stata la peronospera che ha inflitto loro un effetto di “bruciatura”. 

Vuole spiegare a chi non è del settore cos’è la peronospera? “La peronospera, è un parassita, venuto dall’America, come anche lo Oidio, che in Italia si chiama malaria. Esso si riproduce, si replica, e alla fine le foglie tenere e i grappoli teneri che vengono colpite restano come “bruciate”. L’intera isola ha sofferto di questo “attacco”.
 
Siamo a novembre, la vendemmia ormai è arrivata quasi al termine. A Pantelleria si fanno più raccolti, ce li vuole spiegare?Sì, oramai l’abbiamo terminata. La prima raccolta si fa all’incirca ad agosto, nelle zone troppo veloci, partendo dalla scogliera con le uve primizie.
Queste primizie, una volta partivano per fare le cosiddette gabbiette ed essere distribuite come uva da tavola. Fatta questa prima raccolta, via via si risale di quota.”

Quali sono i vitigni della tradizione pantesca?In gran parte è lo zibibbo, poi i panteschi avevano, un tempo per uso personale, il catarrato, il nero nostrale l’insolia, il garignano e altri vitigni secondari. Però ripeto, una volta questi coltivati per uso personale, l’uva che andava alla vendita era lo zibibbo.
“Questo perchè, in genere, l’agricoltore pantesco non  gradisce tanto lo zibibbo, specie il vino dalla prima raccolta che sa essere stucchevole.
“Ma, negli ultimi decenni, sono cominciati ad arrivare i Merlot, i Cabernet, i Shiraz e via discorrendo così.”

Soddisfacente la vendemmia 2025. Dati alla mano

La vendemmia di quest’anno ha prodotto un quantitativo e un qualitativo che ci (6:40) lascia soddisfatti?Come quantitativo si potrebbe fare un po’ di più, se non venissimo da un anno molto arido, come qualità è molto buono. L’uva passa appassisce sempre a quel livello là, quindi poi sono sia i viticoltori con la loro cura, sia gli enologi che fanno dei grandi vini.
Questo quando non piove proprio quando è durante la vendemmia, perchè va a peggiorarsi la qualità dell’uva. Questo, per fortuna non si è verificato in questa annata.
Ho parlato ieri con l’Antonio  D’Aietti l’enologo, forse il principale professionista dell’isola, e lui mi ha detto che stanno guardando gli ultimi arrivi delle varie particelle, delle varie produzioni: siamo sui un 22 mila, si potrebbe arrivare a  24-25 mila quintali.”

Tra qualche giorno si darà via a un corso formativo all’avanguardia, che vuole esporre l’isola ad uno step nel progresso dal punto di vista dei trattamenti. Organizzato dal Centro Giamporcaro e nato da una sua idea, cosa può anticiparci? “L’Università di Palermo ci ha indicato questo formatore, il prof. Luigi Rotondo. Il corso si terrà dal 13 al 16 ottobre e durerà 14 ore, distribuite in tre pomeriggi e una mattinata, cercando di conciliare l’orario con le esigenze degli agricoltori, che di solito lavorano sempre e non hanno mai tempo di fare i corsi.
L’idea è di chiarirci le idee sulla peronospora e altri parassiti,  formando i lavoratori del settore  anche con l’autoproduzione di alcuni preparati, per cercare anche di ridurre l’impatto chimico sulle coltivazioni, che poi la parte anche li mangiamo noi.”
“L’argomento è molto grande, rispetto anche a come si mantengono i terreni, tenendo presente pure l’età delle persone, i mezzi che hanno a disposizione, i guadagni.”

Abbiamo notato  che questo corso è  considerato talmente valido, che il centro Giamporcaro ha radunato parecchi sostenitori: oltre Comune e Parco Nazionale, il Consorzio Vini Doc, le cantine Pellegrino, Emanuela Bonomo e Donnafugata. Poi Fertigess e Stelmond Bio, ma anche l’Autonoleggio Policardo, seppur non sia del settore. “Infatti, già durante una riunione dello scorso marzo abbiamo invitato diverse aziende, le più importanti hanno risposto, quindi Donna Fugata, Pellegrino, adesso è arrivata anche Emanuela Bonomo. Abbiamo anche come sponsor il Noleggio Policardo che è sempre molto sensibile ad appoggiare iniziative per il territorio. Tutta questa gente ha creduto in questo progetto presentato dal Giamporcaro, con il suo presidente Anna Rita Gabriele. Il  Giamporcaro dura da 30 anni con un grande lavoro alle spalle: è uno dei maggiori soggetti attivi dal punto di vista sociale, culturale, il tutto, essendo una associazione no profit lo fa gratuitamente per la comunità di Pantelleria.”

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Cultura

Pantelleria, tutti a sgrappolare per il passito. Donne riunite tra uva passa, chiacchiere e cultura

Direttore

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Un gruppo di donne squisitamente tutte pantesche da generazioni, un pomeriggio un pò uggioso, ma tiepido, una tavola ospitale e si va in scena.

Mariuccia, Rosa, Maria, Annita, Anna, Michele e altre signore delle contrade attigue Khamma e Tracino, tra un grappolo e l’altro rievocano ricordi, improvvisano battute, risate, il tutto non con completa leggerezza, bensì con la consapevolezza di stare eseguendo un lavoro dal duplice valore: economico per la produzione del passito e culturale, per il gusto e lo stimolo sempre vivo di mantenere le tradizioni antiche della nostra straordinaria Pantelleria.

Una telefonata e via il gruppo si era creato. Ma anticamente come facevano ad accordarsi con le case distanti, senza mezzi di locomozione? Eppure belli e folti erano i gruppi che si adunavano in una casa per pomeriggio e serate a sgrappolare, tessere mustazzola, e sbucciare uva per la marmellata.
La finalità? Aiutarsi vicendevolmente e ritrovarsi in compagnia.

In tutto questo cast al femminile, l’unica quota azzurra è rappresentata da Michele, un gran signore galante e simpatico, di quelli di altri tempi che, temerariamente è riuscito a reggere e sopportare il chiacchiericcio infinito delle cummari. Le mani sapienti, appiccicose, che sanno di buono.

Il pomeriggio non è bastato poichè il quantitativo di raspi di uva è assai, quindi appuntamento al prima possibile, ma solo dopo aver raccolto le olive, perchè a Pantelleria non ci si ferma mai.
C’è sempre da fare.

Ma cosa accade agli acini appassiti, rigorosamente al sole su stenditoi che rivestono tetti, passiaturi e aie?

Tante le teorie e le modalità, per raggiungere tutti lo stesso risultato, un’eccellenza: il passito di Pantelleria.

Lo zibibbo, una volta essiccato, viene aggiunto al mosto dove riposerà e agirà chimicamente per tre mesi, ma anche su questo ciascun coltivatore ha la sua.
Alcuni, ancora, aggiungono l’uva passa in due o tre soluzioni, step; addirittura  aziende che lo producono con 10 aggiunte.

A Pantelleria vi sono varie zone, sia a livello di latitudine che di altitudine e l’esposizione incide sulla dolcezza dell’uva.

Adesso le cantine hanno la tecnologia che permette per esempio di  fare un mosto, metterlo in un serbatoio, refrigerarlo quindi a 5-6 gradi  per evitare che fermenti e poi quando si ha l’uva secca, si unisce. Partita la fermentazione, questo mosto  si ottiene il grado alcolico desiderato.
Si pensi che alcuni passiti sono sui 20 gradi di zucchero, che si ottengono aggiungendo 200 grammi di zibibbo appassito.

Il passito di Pantelleria è un gran prodotto che richiede molto lavoro, sacrificio, le cui origini risalgono all’antichità e che tutto il mondo corteggia.

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Cultura

Pantelleria e l’asso degli aerosiluranti a Margana: Guido Robone

Orazio Ferrara

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Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici

Dai primi di maggio e per tutta l’estate dell’anno 1941 fu dislocata all’aeroporto di Margana la 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti al fine di contrastare i convogli navali britannici, che andavano a rifornire l’isola di Malta ridotta ormai allo stremo dal lungo assedio delle forze dell’Asse.

La 278a era dotata del velivolo Savoia-Marchetti S.M.79 detto Sparviero, un aereo trimotore ad ala bassa multiruolo. Si riconosceva immediatamente per la tipica “gobba” dietro l’abitacolo di volo, gobba in cui alloggiavano mitragliere Breda-SAFAT da 12,7 mm. Per tale tipicità era denominato dagli avieri scherzosamente anche col nomignolo di “gobbo maledetto”.
Distintivo della 278a: quattro gatti, due bianchi e due neri. Motto: “Pauci sed semper immites” (Pochi ma sempre implacabili). Uno degli S.M.79 di stanza a Margana, identificato con il numero “278-1”, era l’aereo dal tenente pilota Guido Robone da Como. Il Robone, quand’era ancora un giovane sottotenente, era stato uno dei pochi ad aver superato la durissima selezione di piloti, che il 25 luglio 1940 a Gorizia erano andati a costituire il primo “Reparto Sperimentale Aerosilurante”.
Di quel gruppo ristretto faceva parte anche l’allora tenente Carlo Emanuele Buscaglia, che sarà poi uno dei più famosi aviatori nella specialità degli aerosiluranti, riuscendo ad affondare oltre 100 000 tonnellate di naviglio nemico. Le onorificenze concesse al Buscaglia testimoniano del suo indomito valore: Medaglia d’oro, ben sei Medaglie d’argento, Croce di Ferro di 2ª Classe, due avanzamenti di gradi per merito di guerra. E scusate se è poco. In molte missioni di guerra Robone fu gregario di Buscaglia Da sottolineare che anche Buscaglia avrà modo di operare, col suo aerosilurante, da Pantelleria nel giugno del 1942 al tempo della vittoriosa battaglia di “Mezzo giugno”, in cui la Royal Navy inglese subirà una pesante e umiliante sconfitta. Quando il tenente pilota Guido Robone giunse a Margana in quella calda estate del ‘41, lo precedeva la fama di asso, come confermavano i nastrini azzurri appuntati sul petto di due medaglie d’argento.

Le medaglie

Motivazione della prima medaglia: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante già provato per ardimento in molteplici rischiose e difficili azioni di guerra, il giorno 14 ottobre in ore notturne raggiunta una formazione navale nemica,

nonostante violentissima reazione contraerea, la attaccava decisamente riuscendo a colpire un incrociatore.
Confermava cosi le sue elevate doti di combattente, alto senso del dovere e sprezzo del pericolo Cielo del Mediterraneo, 14 ottobre 1940-XVII”.

Motivazione della seconda: “Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, di provato valore guidava il proprio apparecchio all’attacco di formazioni navali nemiche in mare aperto ed in munitissime basi riuscendo a colpire col siluro tre unità.

II giorno 11 gennaio 1941 al rientro da una lunga azione di ricognizione offensiva condotta in mare aperto con condizioni atmosferiche proibitive, a causa di perdita di benzina si ritrovava senza carburante lontano dalla base su zona montagnosa. Anziché affidare la propria salvezza al paracadute, preferiva effettuare un pericolosissimo atterraggio notturno di fortuna con siluro a bordo riuscendo a portare in salvo l’equipaggio, l’arma e parte del materiale. Nel nobile tentativo restava ferito. Cielo del Mediterraneo, 2 novembre 1940-11 gennaio 1941-XIX”.
Dalle motivazioni precedenti si può comprendere bene quale tempra d’uomo e di pilota fosse il Robone. D’altronde quest’ultimo, al suo arrivo a Pantelleria, era appena reduce da un altro successo, conseguito nei mari prospicienti l’Africa Settentrionale decollando dal campo di Berka (Bengasi).
Infatti alle ore 19:25 del precedente 21 aprile 1941, aveva attaccato con la solita determinazione e con il consueto indomito coraggio una formazione navale britannica, silurando, malgrado la furiosa contraerea, la petroliera British Lord di 6.000 tonnellate e danneggiandola gravemente.
Dell’efficacia del siluramento si ebbe poi conferma anche dagli inglesi.

Orazio Ferrara
(1 – continua)

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