Cultura
ANNI ’50/’60: Gli anni del boom economico e del rinnovamento generazionale
ANNI ’50/’60: Gli anni del boom economico e del rinnovamento generazionale.
È nell’Italia del miracolo economico, dei primi esodi estivi, della FIAT 500, delle prime minigonne e
di Carosello, che, in Italia e anche in Sicilia, si notava un cambiamento epocale nel modo di
alimentarsi.
Un mio ricordo indelebile risale a quando a Novara le patatine fritte furono prodotte e vendute in
buste sigillate dalla P.A.I. (Prodotti Alimentari Industriali) e quando la Cremalba (nata nel 1950 in
seguito alla trasformazione della pasta alle nocciole Giandujot in un nuovo prodotto cremoso,
ideale per essere spalmato sul pane) diventa SuperCrema, antenata della Nutella.
“Il boom della carne, i cibi confezionati, il burro e il latte: cosa mangiavamo all’epoca del
miracolo economico, dove un’Italia finalmente affrancata dalla miseria mescolava tradizione e,
per la prima volta, consumi di massa”
Gli anni ‘50 sono unanimemente considerati dalla storiografia come il periodo durante il quale il
nostro paese, benché uscito sconfitto da una guerra lunga e sanguinosa, riuscì, pur tra
innumerevoli difficoltà, a diventare una delle nazioni più industrializzate dell’Occidente.
Sono in particolare gli anni del cosiddetto miracolo economico, il quinquennio compreso tra il 1958 e il 1963, a lasciare un segno indelebile nel tessuto sociale e culturale della nazione. Numerosi i fattori che hanno inciso su questa radicale trasformazione, per primo la fine del regime di autarchia che rivitalizzò il sistema produttivo italiano, costringendolo a modernizzarsi, Il Piano Marshall, che permise l’afflusso dei macchinari e del know how americani e infine il ruolo fondamentale svolto dai grandi conglomerati nazionali quali l’Eni di Enrico Mattei, l’Iri e l’Edison, per il progresso dell’industria petrolchimica e la produzione di fibre sintetiche e fertilizzanti. Gli esiti sociali del miracolo economico sono altrettanto variegati e complessi: si pensi al massiccio flusso migratorio dal Sud al Nord, all’esodo imponente dalle campagne verso i centri urbani, nonché all’abbandono, talora definitivo, dei modi e degli stili di vita preindustriali.
Tuttavia, la vera rivoluzione degli anni ‘50 è rappresentata da un sostanziale aumento del benessere materiale, grazie all’accesso da parte di una fetta sempre crescente della popolazione a quella sfera del loisir (Tempo libero) prima di allora del tutto sconosciuta ai più. Così il consumismo, reso possibile dal fordismo, ovvero dalla produzione in serie e automatizzata di beni di consumo, diventa la parola chiave per definire questa epoca. Non c’è da stupirsi pertanto se anche la dieta degli italiani subisce una serie di cambiamenti risolutivi.
Se nell’Italia agricola e preindustriale era il pane l’alimento principale della maggioranza della popolazione, nel corso degli anni ‘50 il cibo
identificativo dell’intero paese diventa invece la pasta: agnolotti, bucatini, maccheroni, penne,
spaghetti, purché sia pasta, condita con salsa di pomodoro che per il pranzo della domenica
diventa addirittura ragù. È del 1954 la scena gastronomica più famosa del cinema italiano: Alberto
Sordi che non riesce a trattenersi di fronte a un piatto di spaghetti in Un americano a Roma.
Un altro importante aspetto è rappresentato dall’introduzione degli elettrodomestici, che
finiranno col mutare radicalmente le abitudini alimentari degli italiani.
Tuttavia, è ancora lontano il
tempo del cibo surgelato, così solo in primavera si trovano al mercato i piselli, così come solo
d’estate sono reperibili le melanzane, i peperoni e i pomodori. Inoltre, la mancanza di autostrade e
di collegamenti agevoli non permette commistioni alimentari, dunque il panettone natalizio è una
rarità per i meridionali; il pesto lo si può assaggiare solo in Liguria, e per mangiare una vera pizza
bisogna andare a Napoli.
Ragion per cui, l’alimentazione di quegli anni è totalmente basata su
prodotti locali, stagionali e freschi. Ma come detto poco sopra, il vero salto, insieme economico e
culturale, viene favorito dall’avvento degli elettrodomestici, primo fra tutti il frigorifero, che
diventa un vero e proprio feticcio per tutte le casalinghe dell’epoca; i primi, messi in commercio
dalla Fiat, sono senza congelatore, di color bianco e dal design smussato e tondeggiante.
Nel 1958 la Citterio introduce sul mercato gli affettati in vaschette sottovuoto, inizia così il lento
ma inarrestabile declino di un rituale tutto italiano: il taglio dei prosciutti davanti al cliente da
parte del salumiere; le norcinerie, dove sapienti figure artigianali si erano dedicati sino ad allora
alla gloria del maiale, cominciano a chiudere, rimpiazzate dai supermercati; il primo, creato dalla
Supermarkets Italiani, che allora era in maggioranza del magnate americano Nelson Rockfeller,
apre a Milano, in Viale Regina Giovanna, nel 1957.
Qui è possibile trovare prodotti come il
pomodoro in tubetto, che decreta il successo del marchio Mutti, e i Bucaneve Doria, biscotti a
forma di fiore con la glassa di zucchero e il buco centrale. E poi il panettone Motta, i dadi da
brodo, le minestre in barattolo della Cirio, le scatolette Simmenthal, i crackers all’americana, le
caramelle al miele Ambrosoli, il liquore Strega.
Si comincia anche a consumare, sia pur in modeste quantità, la carne in ossequio al regime
alimentare iperproteico importato dagli Stati Uniti. E quando, nelle occasioni solenni, si vuole
mangiare fuori casa si va in trattoria, vero punto di riferimento della memoria gustativa dell’epoca.
Qui i costi sono modesti e i sapori intensi.
L’ostessa prepara i cibi, mentre il marito porta in sala i
piatti. Le specialità delle trattorie sono i piatti regionali.
Anni 60: nazionalizzazione ed esterofilia
Nasceva un’Italia nuova, espressione nostrana di un American way of life tutto acquisti e
consumismo: in cucina questo si tradusse, da un lato, con la corsa all’acquisto dei cibi un tempo
considerati “ricchi” e diventati di massa, celebrati dalla neonata televisione e ora alla portata di
tutti grazie ai primi supermercati.
Il boom del consumo di carne bovina – da sempre simbolo di
benessere, fino a qualche anno prima – è lì a testimoniarlo, così come l’affermazione su tutto il
territorio nazionale di piatti considerati un tempo regionali, come la pizza e i vari tipi di pasta. Una
sorta di “alfabetizzazione del gusto” o “italianizzazione della tavola” – d’altronde sono gli anni di
Alberto Manzi e Non è mai troppo tardi – che in fondo “fecero gli Italiani” assai di più di quanto
avessero sognato un secolo prima i nostri padri risorgimentali. Ma c’è anche il rovescio della
medaglia: i “vecchi” cibi fatti in casa iniziano ad essere visti con disprezzo e ad essere sacrificati
sull’altare del cibo confezionato e industrializzato, una tendenza che si radicalizzerà negli anni 70.
Ma vediamo allora quali sono i 10 piatti simbolo degli anni 60.
1. Fettuccine al doppio burro
I primi supermercati, ma anche le latterie del Nord Italia, sono pieni del grasso per eccellenza di
quegli anni: il burro. Questo ingrediente è praticamente ovunque, e già dal decennio precedente
aveva sfondato nella cucina romana poi arrivo anche in Sicilia. Negli anni 60 possono essere
considerate un piatto simbolo le tagliatelle al doppio burro del Ristorante Il Sorcio a Donnalucata
(Scicli), ricetta nata nel lontano 1908 ma che dopo il 1960 conoscerà il suo massimo splendore.
2. Tagliatelle paglia e fieno con prosciutto, pancetta e pecorino toscano
Questo piatto tipico della cucina toscana, in cui parte delle tagliatelle vengono prodotte con purea
di spinaci, iniziò negli anni 60 ad uscire dall’ambito regionale e ad affermarsi in tutto il Paese. Il
condimento originale? Pancetta, prosciutto e pecorino toscano. L’era della panna è ancora
lontana.
3. Insalata di carne in scatola
Carne confezionata e a buon mercato: è l’erede delle “scatolette” dei soldati americani, e per gli
italiani ancora alle prese con le ristrettezze alimentari è una specie di sogno. Stiamo parlando della
carne in scatola. Le pubblicità del tempo la consigliavano assieme a lattuga, pomodori e una
spruzzata di succo di limone.
4. Crema spalmabile Cosa sarebbe, l’Italia, senza la sua Nutella? La più famosa delle creme spalmabili, a base di gianduia, nacque ad Alba nel 1964. Il suo successo fu immediato e da essa nacquero numerose ricette. Le più celebri? Il pinguino alla nutella e i biscottini con cocco e nutella.
5. La bistecca alla fiorentina
Piatto antico, la bistecca alla fiorentina. Eppure, la carne bovina di prima qualità, fino a quel
momento, era un lusso praticamente inarrivabile: solo con il benessere la bistecca, fiorentina e no,
si affermerà come pietanza di massa. Negli anni 60 e 70 i consumi di carne bovina, simbolo del
tanto agognato benessere, arrivano a livelli da record. Una prima inversione di tendenza avverrà
solo nel 1982 con il sorpasso della carne suina, in precedenza demonizzata dai nutrizionisti.
6. Il latte
“Bevete più latte / il latte fa bene / il latte conviene/ a tutte le età! / Bevete più latte / prodotto
italiano / rimedio sovrano / di tutte le età”.
Così recitava l’ossessivo motivetto del felliniano
Boccaccio ’70. Che perseguita il povero Peppino De Filippo alle prese con il provocante manifesto
di una prosperosa Anita Ekberg. Ma da Gianni Morandi alle latterie, il latte è uno dei nuovi simboli
del benessere come la carne, fuoriuscendo dalle tradizionali aree di consumo montane. E il gelato,
soprattutto industriale, non sarà che una delle sue manifestazioni più gustose.
7. Le merendine snack
Tra i simboli dei nuovi stili alimentari ci sono gli snack confezionati, quelle merendine che faranno
impazzire grandi e piccini. Un esempio? La Fiesta, altra invenzione della Ferrero.
8. Sandwich e picnic
Nell’Italia neo-urbanizzata, la domenica la parola d’ordine è picnic: si riscopre il panino, che i più
esterofili preferiscono chiamare “sandwich”. Ma i più estremisti ricorrono a pesanti paste al forno
per non dimenticare i profumi di casa
9. Polpette al sugo
Maledette polpette al sugo. I primi vagiti del benessere, la carne a buon mercato e l’ultima ondata
migratoria verso gli Stati Uniti li trasformeranno in uno dei simboli della cucina italiana all’estero.
Tanto da finire perfino negli spaghetti, alimentando stereotipi non proprio edificanti per la nostra
gastronomia e il nostro Paese.
10. Torta all’ananas
La voglia d’esotico percorre già l’Italia, e allora ecco la torta all’ananas, di particolare successo a
Natale e dintorni.
Un mio ricordo alimentare che risale al 1967 “Il mitico Gelato di Don Firili, le patatine fritte della
PAI e la Cremalba…”
Un ricordo indelebile della mia adolescenza è la merenda che consumavo nel mio quartiere degli Archi ad Ibla
Era consuetudine che quando la mia cara mamma andava a lavorare all’ospedale Maria Paternò Arezzo, per il turno delle 14:30 fino alle 22:30, mi donasse una moneta da cento lire che io spendevo a mio piacimento per passare in modo gradevole tutto il tempo che rimanevo nel quartiere degli Archi dove mio padre aveva la barberia. Generalmente spendevo quella intera somma in prodotti alimentari. Nel primo pomeriggio andavo dalla bottegaia “Donna Vicè” e ordinavo un panino francese con la mitica Cremalba (era una pasta alle nocciole Giandujot cremoso) ideale per essere spalmata sul pane; era contenuta in un grande barattolo a due colori e due sapori ben distinti… uno marrone e l’altro bianco/rosa) costo 50 lire. In un secondo momento ordinavo un bel cono (piccolo) a due gusti vaniglia e cioccolato al chiosco del padre del mio amico di giochi Giuseppe, costo 30 lire… ed infine ad tarda serata compravo le patatine fritte (le patatine Pai sono state introdotte sul mercato nel 1965 da Pai Company), costo 20 lire. Ebbene quando sentivo il fischio di richiamo di mio padre… (non esistevano ancora i telefonini, solo pochi avevano in casa il telefono fisso…) sapevo che dovevo immediatamente far ritorno per andare a prendere mia madre presso l’ospedale per il fine turno di lavoro.
NUOVO PROVERBIO: SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO Un proverbio molto comune ci dice che “si stava meglio quando si stava peggio” intendendo con questo che le novità non sempre portano ad un miglioramento. Più semplicemente credo che sia un rimpianto per i tempi passati. Rimpianto inteso come nostalgia, come qualcosa che ci è sfuggito e scivolato via nel tempo. Prendendo spunto da Massimo Catalano (musicista e personaggio televisivo) e dai suoi aforismi surreali (“Meglio vivere bene con due pensioni che male con una sola”, “Meglio essere promossi a
giugno che bocciati a settembre”, “Meglio essere giovani, belli e ricchi che vecchi, brutti e poveri”) direi che è il caso di dire “Si stava meglio quando si stava meglio”. C’erano vere relazioni sociali, rispetto per gli insegnanti, aria pulita, un benessere diffuso, un debito pubblico basso, poco traffico e stress assente, famiglie unite, etc. Eravamo liberi e più moderni di oggi e soprattutto senza limitazioni nei rapporti con l’ambiente. L’incuria e l’abbandono del territorio non sapevamo nemmeno cosa fossero, il mostro della burocrazia repressiva lo potevamo immaginare solamente attraverso orribili incubi notturni. E quindi ripeto “SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO”
Salvatore Battaglia
Presidente Accademia delle Prefi
Cultura
“Io che nasco immaginaria”, presentazione del libro della stilista Chiara Boni all’atelier di Valentina Costanzo a Palermo
Cinquant’anni di moda, una storia di forza, amicizia e coraggio, dedicata a tutte le donne che sanno fare squadra
La stilista Chiara Boni sarà protagonista del nuovo appuntamento della rubrica “Donne, incontri e confronti”, che si svolgerà all’atelier espositivo della designer Valentina Costanzo, in via Petrarca 35, a Palermo, sabato 8 novembre dalle ore 17.30.
La celebre stilista fiorentina, nonché cavaliere del lavoro, costumista e personaggio tv, presenterà la sua autobiografia “Io che nasco immaginaria”, che intreccia vita privata, carriera internazionale e le grandi trasformazioni del costume. Ad intervistare l’autrice sarà la scrittrice Francesca Maccani, pluripremiata autrice di Donne dell’Acqua Santa. Ospiti Margherita Tomasello, presidente di Terziario Donna di Confcommercio, Gigi Vinci, trend setter, Sara Nicosia, modella negli Anni ‘90. Seguirà un momento conviviale con aperitivo. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Per informazioni 3297874484.
La storia di “Io che nasco immaginaria”
Dalla Firenze ribelle, dove nasce all’inizio degli anni Settanta con la griffe “You Tarzan me Jane”, alla Milano degli anni ’80, fino al successo della sua iconica collezione La Petite Robe, di abiti stretch eleganti ma pratici per viaggiare perché ripiegabili in una bustina, che hanno conquistato le passerelle di New York e l’America.
“Io che nasco immaginaria”, autobiografia di più di cinquant’anni di moda di Chiara Boni, curata dal critico Daniela Fedi ed edito da Baldini+Castoldi, è un racconto appassionato di una storia di forza, amicizia e coraggio, dedicata a tutte le donne che sanno fare squadra. Un viaggio intimo e potente tra moda, passioni e crescita femminile.
Un’emozionante scalata nella montagna di ricordi della stilista che si snoda parallelamente al racconto di un’Italia che cresce e cambia nelle vicissitudini politiche, negli scontri generazionali, nella trasformazione dei costumi.
Donne, incontri e confronti all’atelier Valentina Costanzo
La rubrica
“Donne, incontri e confronti” è stata ideata dall’eclettica imprenditrice e designer nel mondo del gioiello, Valentina Costanzo, per unire arte, cultura e design, prevede momenti con autori, stilisti e personalità del territorio per creare occasioni di dialogo all’interno di un ambiente creativo e inclusivo. Iniziata lo scorso anno, ha visto la partecipazione dello scrittore Danilo Sacco edito da Feltrinelli, della stessa Maccani e degli stilisti siciliani trapiantati a Milano Giovanni Luca Lo Paro e Stefano Angarano, di JLAdore Couture, con le loro borse d’autore ispirate al Gattopardo. “Come designer, – spiega Valentina Costanzo – appartengo al mondo artistico e traggo ispirazione da qualsiasi cosa, da un libro, da un quadro, per questo ho trasformato il mio atelier in un piccolo centro di scambio culturale per mettere in connessione la gente. L’ho sempre immaginato così, abbinando l’arte orafa, il design e la creatività alla cultura”.
Cultura
L’Ente Parco alla Fiera Cavalli di Verona
L’Ente Parco sta sbarcando alla 127esima Fiera Cavalli di Verona con tante sorprese e novità, ospite dello Stand dell’Asineria “Asini di Reggio Emilia” di Massimo Montanari.
Domani parteciperà al meeting “Verso l’Agenda 2030: i benefici e le opportunità dei Parchi Nazionale e delle Aree Marine Protette” dove verrà presentato il percorso di Agenda 2030 di strategia sostenibile intrapreso dal Parco con il Progetto di “Pantelleria Asinabile”.
Una nuova tappa del percorso partecipativo di coprogettazione per promuovere una offerta esperenziale di turismo lento, ecosostenibile, nel rispetto dell’unicità della Perla Nera in compagnia dell’animale simbolo dell’isola.
Sempre domani, proiezione in anteprima del film documentario del Festival Pantelleria Asinabile del regista Nicola Ferrari.
Cultura
Federalberghi Palermo accordo con alberghiero Piazza per formazione giovani
Turismo e formazione, Federalberghi e l’istituto alberghiero Pietro Piazza insieme per costruire il futuro dei giovani siciliani
Palermo, 03.11.25 — Un incontro di visioni, esperienze e responsabilità condivise ha sancito oggi una nuova, importante alleanza tra Federalberghi e la rete nazionale degli istituti alberghieri, rappresentato dal presidente Vito Pecoraro, dirigente scolastico dell’Ipsseoa Pietro Piazza.
Presente anche l’assessorato comunale al Turismo, insieme ai rappresentanti delle categorie professionali dei Maître e del Bar Tending, in un tavolo di confronto che guarda con concretezza e passione al futuro dei giovani siciliani.
L’accordo prevede l’avvio di un percorso formativo dedicato agli studenti del terzo e quarto anno degli istituti alberghieri, con moduli specifici di preparazione al mondo del lavoro curati direttamente da Federalberghi. L’obiettivo è creare un ponte reale tra scuola e impresa, offrendo ai ragazzi non solo competenze, ma soprattutto una prospettiva occupazionale certa e stabile all’interno del comparto turistico.
“Vogliamo che i nostri ragazzi restino in Sicilia, che credano nelle potenzialità straordinarie di questa terra — dice Rosa Di Stefano, presidente di Federalberghi Palermo e vicepresidente di Federalberghi Sicilia — Il turismo non è solo accoglienza, è economia, identità e futuro. Ma soprattutto è lavoro vero, qualificato, che nasce dalla formazione e cresce nella passione”.
L’iniziativa punta a valorizzare il capitale umano come motore di sviluppo del turismo siciliano, attraverso percorsi di stage, tirocinio e inserimento lavorativo presso le strutture aderenti a Federalberghi, in vista della prossima stagione estiva.
“Investire nella formazione significa costruire un sistema turistico più forte, capace di trattenere i talenti e di generare valore sul territorio. Questo è il nostro impegno comune”, ha sottolineato Vito Pecoraro.
Il turismo, in Sicilia, continua a essere un settore chiave per la crescita economica e sociale.
Da questa sinergia nasce un messaggio chiaro: formare bene per lavorare meglio, dando ai giovani la possibilità di scegliere di restare, di credere, di contribuire alla costruzione di un futuro possibile — qui, nella loro terra.
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